“Le immissioni rumorose che eccedano la soglia della normale tollerabilità sono di per sé idonee a provocare una compromissione dell’equilibrio psico-fisico del soggetto ripetutamente esposto ad esse”. È il principio enunciato dalla Cassazione nel confermare la condanna a carico di una discoteca a risarcire con 10mila euro ciascuno i condòmini del palazzo adiacente, disturbati dalla musica ad alto volume. Di seguito un estratto della sentenza.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III civ., sent. 27.6.2016,
n. 13208
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I FATTI
Gli odierni controricorrenti, meglio specificati in epigrafe, proposero appello avverso la sentenza del Tribunale di Como, che, accogliendone solo in parte le domande proposte in quella sede, aveva condannato la s.r.l. J., in qualità di affittuaria e gestore dell’azienda denominata “A. club”, esercente l’attività di discoteca, all’apposizione di idonea sigillatura delle porte-finestre site al primo piano, rigettando quella volta al risarcimento dei danni da immissioni rumorose, percepibili dagli appartamenti degli attori, attesa l’eliminazione (o quantomeno il notevole ridimensionamento) dell’attività acustica indicata come lesiva della salute, in assenza di una prova rigorosa del danno lamentato. La corte di appello di Milano, investita dell’impugnazione proposta dagli attori in prime cure, la accolse in parte, condannando la società convenuta al pagamento, in favore di ciascuno di essi, della somma di 10mila euro.
Per la cassazione della sentenza della Corte meneghina la J. s.r.l. ha proposto ricorso sulla base di 2 motivi di censura.
Resistono le parti appellanti con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale (nella sostanza, da ritenersi condizionato), cui resiste con controricorso la ricorrente principale.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorsi devono essere riuniti.
Il ricorso è principale infondato.
Al suo rigetto consegue l’assorbimento di quello incidentale.
Con il primo motivo, si denuncia violazione ed erronea applicazione degli artt. 844, 2043, 2059, 2697 c.c.; mancato e/o omesso esame di fatto decisivo per il giudizio.
Il motivo – con il quale si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui omette di considerare che l’accertata intollerabilità delle immissioni non esonera la parte dall’onere di provare una specifica compromissione della sua salute, non potendosi identificare il danno risarcibile come compromissione in re ipsa, né tantomeno con meri fastidi naturalmente conseguenti alle immissioni moleste – è privo di pregio.
Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha preliminarmente osservato come gli istanti avessero documentato con certificazioni mediche le condizioni di salute lato sensu patologiche conseguenti all’esposizione prolungata ad un livello eccessivo di rumore – pur specificando poi che, anche in assenza di tale documentazione, si sarebbe in ogni caso dovuto presumere il danno subito dalle persone soggette alle immissioni intollerabili.
Pertanto, corretta in parte qua la motivazione (non essendo astrattamente predicabile la configurabilità di un danno in re ipsa), il dispositivo della sentenza risulta conforme a diritto, potendo il giudice, in subiecta materia, avvalersi della regola di comune esperienza secondo la quale le immissioni rumorose che eccedano la soglia della normale tollerabilità sono di per sé idonee a provocare una compromissione dell’equilibrio psico-fisico del soggetto ripetutamente esposto ad esse (ex aliis, Cass. 5844/2007).
Deve, pertanto, ritenersi, che le allegazioni, la documentazione, e l’evocazione di una regola di comune esperienza siano sufficienti ad integrare i necessari estremi dell’an e del quantum probatorio richiesto al fine dell’accoglimento della domanda risarcitoria.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione ed erronea applicazione degli artt. 1226, 2056, 2697 c.c..
Il motivo è infondato.
La doglianza secondo la quale nessun accertamento specifico sarebbe stato compiuto dal giudice di merito al fine di quantificare il danno, difatti, si infrange sul costante insegnamento di questa Corte regolatrice, a mente del quale la liquidazione equitativa del danno è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, sia quando la determinazione del relativo ammontare sia impossibile, sia quando, in relazione alla peculiarità del caso concreto, essa si presenti particolarmente difficoltosa, costituendo oggetto di un giudizio di fatto che si sottrae, se non inficiato da errori logico-giuridici, al controllo di legittimità (Cass. 6414/2000; 20271/2002; 12613/2010).
Non essendo ravvisabili, nella specie, i predetti vizi nel corpo della motivazione della sentenza impugnata, il motivo deve essere rigettato.
Il ricorso principale è pertanto rigettato.
Al suo rigetto consegue l’assorbimento di quello incidentale, nella sostanza condizionato (come risulta dalla lettura della p. 47 dell’atto di resistenza).
Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza.
Liquidazione come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi euro 2900, di cui 200 per spese.