Relativamente a canne fumarie e distanze legali dagli edifici limitrofi, l’art. 890 c.c. rinvia alle norme locali, e solo in mancanza demanda l’accertamento al Giudice. È quanto ricordato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 10814 del 26 maggio, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 26.5.2015, n. 10814
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione ritualmente notificata D.B. convenne in giudizio – davanti al Tribunale di Sassari – Z.G. esponendo che nel 1991 quest’ultimo aveva realizzato una canna fumaria sulla facciata del proprio immobile i cui fumi e resti di combustione venivano immessi nella proprietà di esso attore posta ad una distanza di m. 8,70 con superamento della normale tollerabilità; inoltre la bocca del camino era stata realizzata in difformità dalle prescrizioni stabilenti l’altezza di m. 1 sopra il colino dei tetti per una distanza di almeno 10 metri; chiese la condanna alla realizzazione delle modifiche necessarie ad innalzare la canna fumaria di 1 metro sopra il colmo più alto nell’area di metri 10 circostanti.
Il convenuto si costituì con varie eccezioni ed il tribunale accolse la domanda disponendo l’innalzamento del comignolo, decisione riformata, in parziale accoglimento del gravame, dalla Corte di appello di Cagliari, sezione di Sassari, che rigettò la domanda proposta per violazione dell’art. 890 c.c. osservando che né la norma codicistica né il regolamento edilizio vigente all’epoca prevedevano distanze per la canna fumaria mentre quella di metri dieci era prevista nell’art. 6 comma 15 dpr 1391/1970, norma dichiarata inapplicabile dal primo giudice, senza censura sul punto di alcuna parte.
Ricorre D.B. con quattro motivi, resiste Z.G.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo si lamentano violazione degli articoli 890 c.c., 57 r.e. e 42 reg. di igiene perché contrariamente a quanto reputa la sentenza disciplinano le distanze ed integrano l’art. 890 c.c., con quesito.
Col secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 2697 c.p.c., recte c.c., perché erra la sentenza nel ritenere D.B. gravato della prova di nocività, con quesito.
Col terzo motivo si deducono difetto di motivazione sulla sufficienza della prova offerta da Z.G. sulla innocuità della fabbrica e violazione degli artt. 111.6 Cost,
112 c.p.c., 132 c.p.c..
Col quarto motivo si denunzia insufficiente motivazione con indicazione del fatto decisivo non considerato nella nocività o pericolosità della canna fumaria.
Ciò premesso si osserva:
La Corte di appello ha dedotto che né l’art. 890 c.c. né l’art. 7 del r.e. prevedono distanze per le canne fumarie mentre quella di metri dieci era prevista nell’art. 6 comma 15 dpr 1391/1970, norma dichiarata inapplicabile dal primo giudice, senza censura sul punto di alcuna parte.
In ordine alla nocività o pericolosità, il D.B. non aveva fornito alcuna prova mentre controparte aveva documentato l’esistenza di due provvedimenti giudiziari, in particolare ex art. 700 c.p.c., che avevano escluso conseguenze nocive per l’appartamento e la salute dell’appellato.
Ciò premesso, la prima censura afferma l’esistenza di una normativa sulle distanze esclusa dalla sentenza (si legge, invero, a pagina quattro che sia l’art. 890 c.c. che l’art. 57 del reg. ed. non contengono alcuna prescrizione in tema di distanze ed in particolare la norma regolamentare prevede solo una altezza dei comignoli di almeno un metro dal colmo delle coperture, in modo da evitare danni a terzi per i fumi).
Va tuttavia considerato che l’art. 890 c.c. rinvia alle norme locali e solo in mancanza demanda l’accertamento al Giudice.
Se è violata la norma locale, la nocività o pericolosità è presunta iuris et de iure, mentre se manca la norma locale la presunzione è iuris tantum.
Nel caso in esame la sentenza cita l’art. 42 del regolamento locale di igiene il quale prevede che lo sbocco superiore dei fumaioli … dovrà elevarsi almeno di un metro sul tetto della casa più alta vicina, al momento della costruzione del camino stesso.
Una distanza, sia pure in verticale, è prevista e pertanto è integrato l’art. 890 c.c. ed il giudice non aveva alcun potere discrezionale al riguardo.
Nel controricorso si sostiene che il regolamento edilizio del 1989 avrebbe abrogato quello di igiene del 1942 ma il rilievo è inesatto in quanto hanno oggetti diversi (l’uno lo sviluppo urbanistico, l’altro la tutela della salute).
La norma codicistica fa riferimento alle distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, a quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza.
Donde raccoglimento del primo motivo con assorbimento degli altri.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti gli altri, cassa sul punto la sentenza impugnata e rinvia, anche per spese, alla Corte di appello di Cagliari.