Anche se frutto di una precedente concessione edilizia, l’immobile che non rispetta le distanze legali disposte dal Piano Regolatore entrato in vigore prima che l’edificio fosse stato costruito, è illegittimo e va retrocesso. Questa la vicenda oggetto della controversia sfociata in Cassazione. Ecco come si sono espressi i giudici, con la sentenza 9491 dell’11 maggio 2015.
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Corte Cassazione
II sez. civ., sent. 11.05.2015,
n. 9491
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 16-3-1992, T.M. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Perugia C.V. e M.B. e, premesso di essere comproprietario di un immobile sito nel Comune di Assisi, località (omissis), distinto al Catasto Comunale al foglio (omissis), confinante con la proprietà dei convenuti, costituita da un terreno con sovrastante fabbricato a due piani ad uso abitazione, chiedeva la condanna del V. e della B. all’arretramento di quella parte di tale immobile edificato a distanza inferiore a metri 10 dalla costruzione esistente sul proprio terreno in violazione del D.M. 2-4-1968 n. 1444, nonché delle norme tecniche di attuazione del Regolamento Edilizio del Comune di Assisi.
Si costituiva in giudizio il V. contestando il fondamento della domanda attrice di cui chiedeva il rigetto. Si costituiva altresì la B. svolgendo una analoga richiesta e chiedendo altresì in via riconvenzionale la condanna del M. all’arretramento dell’immobile di sua proprietà in quanto costruito in violazione delle norme sulle distanze prescritte dal nuovo Regolamento Edilizio Comunale.
Intergrato il contraddittorio nei confronti dei comproprietari del M., ovvero i suoi 4 figli, che restavano contumaci, il Tribunale adito con sentenza del 7-6-2005, accoglieva la domanda attrice e, per l’effetto, condannava i convenuti alla demolizione della costruzione fino alla distanza di metri 10 dal fabbricato di proprietà dei M., e respingeva la domanda riconvenzionale.
Proposto gravame da parte del V. e della B. cui resistevano i 4 figli del M., in proprio e quali eredi di T.M., la Corte di Appello di Perugia con sentenza del 25-5-2009 ha respinto l’impugnazione.
Il giudice di appello ha rilevato che il P.R.G. del Comune di Assisi di cui si discuteva era stato approvato ed era entrato in vigore prima dell’inizio e del completamento dei lavori da parte degli appellanti, e successivamente alla emanazione del D.M. 2-4-1968 n. 1444, rispetto al quale era nuovo; nessuna questione, poi, poteva sussistere in merito alla previsione nel P.R.G. del riferimento esplicito al suddetto D.M., posto che l’art. 23 delle N.T.A. allegate al P.R.G. prevedeva la conformità dei criteri di determinazione dei limiti di distanza tra fabbricati alle disposizioni degli artt. 8 e 9 del D.M. stesso, ed addirittura prevedeva distanze maggiori per le abitazioni di tipo a) e b); inoltre neppure poteva trovare accoglimento la tesi degli appellanti in ordine alla asserita legittimità di opere intraprese in virtù di una licenza edilizia rilasciata prima dell’entrata in vigore della norma cogente, dovendosi aderire all’orientamento giurisprudenziale maggioritario secondo cui la normativa edilizia applicabile in materia di distanze tra costruzioni è quella vigente al momento di inizio dei lavori, né rilevava che l’erigenda costruzione fosse conforme alla concessione edilizia rilasciata in base al P.R.G. previgente, perché anzi il provvedimento concessorio decade se la costruzione non è iniziata prima dell’entrata in vigore della normativa sopravvenuta, e non è compiuta nel triennio successivo.
Avverso tale sentenza il V. e la B. hanno proposto un ricorso affidato a tre motivi cui i 4 figli del M. hanno resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono nullità del procedimento per intervenuta prescrizione, posto che l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado era stato notificato il 16 ed il 18-3-1992, ovvero oltre dieci anni dopo la data del rilascio della concessione edilizia, avvenuto il 27-10-1971; invero la prescrizione del diritto fatto valere da T. M. aveva iniziato a decorrere dal momento in cui era stata data pubblicità al suddetto rilascio.
Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando insufficiente motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto l’operatività del nuovo P.R.G., che aveva recepito il D.M. 2-4-1968 n. 1444, in epoca anteriore all’entrata in vigore del Regolamento Edilizio; essi sostengono al contrario che le previsioni del menzionato D.M., per essere applicabili, dovevano essere preliminarmente recepite nello strumento urbanistico locale, ovvero in un Regolamento Edilizio, con il quale i Comuni dettano norme afferenti i distacchi dai fabbricati, senza che eventuali indicazioni esistenti nel P.R.G. o nelle N.T.A. potessero in alcun modo rilevare, non avendo tali disposizioni alcuna efficacia precettiva.
Con il terzo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 31 della L. 17-8-1942 n. 1150, rilevano che, indipendentemente dal fatto che l’effettiva sopraelevazione e l’ampliamento del manufatto esistente erano iniziati il 30-5-1972, appariva evidente che erano già stati effettuati lavori finalizzati alla realizzazione del manufatto stesso, posto che, in caso contrario, alla data del 30-5-1972 – ovvero all’atto della entrata in vigore del nuovo strumento urbanistico – la concessa licenza edilizia, ai sensi dell’articolo sopra menzionato, sarebbe automaticamente decaduta.
Il Collegio rileva preliminarmente che nella fattispecie, in presenza di una sentenza impugnata depositata il 25-5-2009, trova applicazione “ratione temporis” l’art. 366 bis c.p.c. che prescrive a pena di inammissibilità per ciascun motivo, nei casi previsti dall’art. 360 primo comma numeri 1-2- 3 e 4, la formulazione di un quesito di diritto che costituisca una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di trovare applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata; inoltre detto articolo prescrive, sempre a pena di inammissibilità per ciascun motivo, nel caso previsto dall’art. 360 primo comma numero 5 c.p.c., una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.
Orbene tutti gli enunciati motivi, con i quali, come sopra esposto, sono state denunciate violazione e falsa applicazione di legge (primo e terzo motivo) e vizi di motivazione (secondo motivo), sono del tutto privi sia di quesiti di diritto sia di un momento di sintesi del fatto controverso, cosicché essi sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., come eccepito dai controricorrenti.
Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di euro 200 per esborsi e di euro 2.500 per compensi.