A seguito di dissapori di vicinato, scardina il portone del condominio; un vicino, comproprietario del condominio, lo querela. Lui si fa appello rispetto alle sentenze di primo e secondo grado. Ecco come si è pronunciata la Corte di Cassazione.
——————
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. n. 956,
ud. 15.12.2015
——————
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Sondrio confermava la sentenza con la quale il Giudice di Pace aveva ritenuto responsabile M.L. del reato di danneggiamento, condannandolo alla pena della multa ed al risarcimento del danno in favore della parte civile.
2.1. Il Tribunale riteneva accertato che l’imputato, con azione particolarmente violenta ed ispirata da dissapori di vicinato, aveva reso inservibile, spingendola violentemente tanto da scardinarla e sbattendola contro il muro, la porta in legno massiccio d’ingresso al condominio del quale era comproprietario insieme alla parte civile L.M., che aveva sporto querela.
2.2. Non poteva, inoltre, dubitarsi della circostanza che la descritta condotta avesse danneggiato il bene, né che l’azione violenta fosse stata assistita dal dolo, anche tenuto conto che un fratello dell’imputato, intervenuto sul luogo del fatto, aveva rimproverato il congiunto per quel che aveva commesso.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo:
1) carenza ed illogicità di motivazione in merito all’assenza della condizione di procedibilità, dal momento che la parte civile, non abitando nell’immobile ove era accaduto il fatto, non avrebbe assunto la qualità di persona offesa dal reato ma solo di soggetto danneggiato, sicché non sarebbe stata legittimata a sporgere querela;
2) carenza di motivazione in merito all’omessa acquisizione della prova documentale consistente nell’acquisizione di un accertamento peritale effettuato in epoca pregressa al reato e nell’ambito di un procedimento civile, al fine di attestare che il portoncino d’ingresso dell’edificio era già ammalorato e non sarebbe stato ulteriormente danneggiato dalla condotta dell’imputato;
3) carenza di motivazione in ordine alla sussistenza del dolo, dal momento che il M.L. si sarebbe limitato a “scuotere l’infisso” e, comunque, questo era fortemente danneggiato prima della sua condotta;
4) mancanza di motivazione in ordine alle argomentazioni a sostegno dell’intero atto di appello, non avendo il Tribunale motivato su nessuna delle circostanze oggetto del gravame avverso la decisione di prime cure.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Quanto al primo motivo, deve sottolinearsi che la parte civile, L.M., oltre che soggetto danneggiato dal reato, era anche persona offesa, tenuto conto che egli era comproprietario dell’immobile la cui porta d’ingresso era stata oggetto della condotta ascritta all’imputato.
Il reato di danneggiamento, infatti; è un reato contro il patrimonio, sicché è in primo luogo il proprietario (o comproprietario) della cosa danneggiata a subire una lesione dell’interesse penalmente protetto, con ciò assumendo la qualità di persona offesa legittimata a proporre querela, cui possono aggiungersi, ribaltando l’assunto del ricorrente, anche i titolari di diritti di godimento sull’immobile, come, per esempio, il conduttore, secondo quanto affermato dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione (sez. 2, n. 2869 del 02/03/1999; sez. 2, n. 13636 del 30/11/1999).
Per il che, il motivo è manifestamente infondato.
2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, avuto riguardo al fatto che la stessa difesa, nel sottolineare che l’imputato aveva rimesso la porta nei cardini subito dopo averla divelta, non ha contestato la circostanza che l’infisso, come bene evidenziava il Tribunale, fosse stato addirittura scardinato ed asportato dalla sua sede naturale.
In tale condotta violenta si sostanzia il danneggiamento del bene, a prescindere da quali fossero state le condizioni dell’infisso prima dell’evento, accertamento correttamente ritenuto del tutto superfluo dal Tribunale con motivazione puntuale se pur sintetica.
3. In ordine al terzo motivo, deve precisarsi che nella condotta dell’imputato, siccome descritta, si evidenzia l’elemento intenzionale del dolo, che trovava radici nella esistenza di precedenti contrasti tra le parti private, evidenziate dal Tribunale e che la stessa difesa ha lasciato intravedere accennando ad una controversia civile tra costoro tuttora in corso.
Le altre deduzioni difensive – sul significato da attribuire alla testimonianza del fratello dell’imputato – non scalfiscono tale dato decisivo in punto di ricostruzione dell’elemento psicologico, inerendo, peraltro, al merito della vicenda e non a profili di legittimità inerenti la patologia della motivazione verificabili in questa sede.
4. Il quarto motivo di gravame è del tutto generico, limitandosi ad una critica generale della sentenza impugnata, attraverso la citazione di massime giurisprudenziali senza alcun riferimento ai capi ed ai punti specifici della motivazione del provvedimento.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 1000 alla Cassa delle Ammende.