[A cura di: avvocato Maria Saveria Del Vecchio – Ape Confedilizia Torino – www.apetorino.it] La ripartizione delle spese per il servizio idrico, quando non è stata determinata da una diversa convenzione (regolamento di matrice contrattuale o una statuizione assembleare totalitaria) è disciplinata dalle regole generali dettate dalle norme vigenti in materia.
Come per ogni altro servizio condominiale occorre rifarsi al codice civile che individua i criteri da applicare. Il principale è il criterio della ripartizione delle spese secondo i millesimi di proprietà; altri criteri, sussidiari al principale, consentono una ripartizione in base all’uso che ciascun condomino può fare di un determinato bene o servizio.
Infine, resta sempre la possibilità per l’assemblea dei condomini di elaborare criteri ad hoc, purché siano adottati con il consenso di tutti i condòmini (nel senso di tutti i partecipanti al condominio e non solo all’assemblea).
Nel caso del servizio idrico, dove l’utilizzazione individuale è effettivamente misurabile, la spesa può essere ripartita in base alla rilevazione del consumo del singolo. Per poter applicare tale modalità è però necessario che il condominio si doti di contatori individuali.
Normalmente i costi dell’acqua in condominio si compongono di più voci: il costo della fornitura dell’acqua e alcuni costi fissi (come ad esempio canoni, costi fissi indicati in bolletta). Per i consumi individuali dell’acqua il consumo sarà rilevato dai contatori di riferimento, mentre per i consumi comuni (ad es. irrigazione verde condominiale) ed i costi fissi, invece, la spesa dovrà essere ripartita tra tutti i condòmini sulla base dei millesimi di proprietà.
Occorre anche tener presente che l’art. 1117 n. 3 del codice civile indica tra le parti comuni dell’edificio gli impianti idrici. Da ciò discende che anche le spese di conservazione, manutenzione ed esercizio dell’impianto dovranno essere commisurate alla quota millesimale di spettanza dei condòmini che ne ricavano utilità.
Nel caso il condominio non sia dotato di contatori individuali, e in assenza di diversa convenzione tra le parti, bisognerà rifarsi al principale criterio di ripartizione alla stregua di ogni altro servizio condominiale, e quindi, suddividere il costo del servizio idrico tra i condòmini in ragione dei millesimi di proprietà, così come stabilito dall’art. 1123, comma 1, c.c. A tal proposito la Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. II, 1 agosto 2014, n. 17557) ha stabilito che: “Nel condominio le spese relative al consumo dell’acqua devono essere ripartite in base all’effettivo consumo se questo è rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche e quando ciò non è possibile la ripartizione delle spese va effettuata ai sensi dell’ art. 1123, 1 comma, c.c., in base a valori millesimali delle singole proprietà”.
La Corte, ha affermato che l’obbligazione assunta dal condomino trova infatti fondamento nel diritto di comproprietà sulla cosa comune e, anche se il singolo condomino non ne faccia uso diretto, possono esserci altre spese comunque collegate al mero fatto della titolarità della fornitura: ad esempio, per la pulizia dell’appartamento, per l’innaffiatura delle piante, la pulizia di parti comuni o per perdite d’acqua. Inoltre, vi è sempre una componente “fissa” di fornitura rappresentata dal minimo garantito quale quota fissa per la disponibilità del servizio, indipendentemente dal consumo effettivo.
Il servizio idrico condominiale dovrebbe essere oggetto di attenzione dell’amministratore e dei condomini non solo quando si discute della ripartizione delle relative spese, ma anche dal punto di vista della sua integrità e salubrità. L’impianto idrico e i relativi collegamenti sono oggetto di proprietà comune fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condòmini.
L’impianto idrico condominiale gli impianti che dalla saracinesca di consegna dell’acqua da parte dell’acquedotto portano l’acqua potabile ai rubinetti degli appartamenti condominiali. Queste condutture sono parti comuni ai sensi dell’articolo 1117 del codice civile, e l’amministratore deve disciplinarne l’uso e compiere gli atti conservativi, in modo che ne sia assicurato il migliore godimento a tutti i condòmini.
L’amministratore ha quindi anche la responsabilità di verificare l’integrità dell’impianto idrico. Se, a seguito dei controlli, vi sia motivo di ritenere che nella fase di trasporto dal contatore all’utenza finale le caratteristiche dell’acqua possano essere alterate, ad avviso di chi scrive, l’amministratore non solo sarebbe tenuto a fare le verifiche del caso, ma anche ad adottare i provvedimenti urgenti e necessari a ristabilire i requisiti di potabilità.
Infatti, alcune tipologie di impianti, a causa dell’usura o per i materiali utilizzati nella realizzazione delle tubature di adduzione, potrebbero esporre i condòmini a dei rischi; pertanto, in presenza di simili circostanze, un controllo periodico sarebbe quantomeno opportuno. L’acqua, infatti, potrebbe addirittura essere portatrice di batteri letali (come la legionella) e questo impone un’attenzione ancora maggiore quando si tratta di controlli.
A tal proposito il parere del 10 giugno 2004 sull’articolo 5 del d. lgs. 31/2001 ha chiarito che per gli edifici ad uso esclusivamente abitativo, “l’amministratore del condominio ovvero, in assenza di questo, i proprietari non hanno l’obbligo di effettuare le attività e i controlli previsti dal decreto in oggetto (sulla potabilità e salubrità dell’acqua), bensì quello derivante dall’attività di controllo dello stato di adeguatezza e di manutenzione dell’impianto”.
Qualora l’amministratore, conoscendo il cattivo stato delle condutture ovvero la presenza di perdite o di cattivi odori lamentati dai condòmini, non abbia preso provvedimenti ed effettuato le verifiche necessarie, si presentano profili di responsabilità e potrebbe essere soggetto alle sanzioni, anche molto elevate, previste dal d.lgs n.31/2001. Egli, infatti, in qualità di mandatario dei condòmini, deve agire con la diligenza del buon padre di famiglia e compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio.
Da quanto sopra emerge che l’amministratore pur non essendo tenuto per legge ad effettuare controlli capillari sulla salubrità dell’acqua, abbia comunque l’obbligo di verificare lo stato di adeguatezza e di manutenzione dell’impianto. Quindi, l’amministratore ha la responsabilità di garantire che i requisiti di potabilità dell’acqua non vengano alterati per cause imputabili alla rete idrica condominiale.
Qualora le condizioni dell’impianto (vetustà, usura, tipologia di materiali impiegati) possano cagionare un’alterazione della qualità dell’acqua, l’amministratore non solo è tenuto a fare le verifiche del caso, ma dovrebbe adottare i provvedimenti necessari a ristabilire i requisiti di potabilità. In caso non lo facesse potrebbe incorrere nelle sanzioni di cui al d.lgs n.31/2001.