[A cura di: Prof. Avv. Rodolfo Cusano (nella foto) – Avv. Amedeo Caracciolo]
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Nota a Cass. civ. II,
n. 23743 del 28.10.2020
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L’ordinanza n. 23743/2020 della II sezione civile della Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da un amministratore rimosso dall’incarico per gravi irregolarità. Al contempo, tale arresto offre interessanti spunti di osservazione ribadendo, da un lato, una serie di principi di diritto fondanti l’istituto della revoca da parte dell’Autorità giudiziaria arrivando ad affermare, dall’altro, che una pronuncia giudiziale di revoca non comprimerebbe definitivamente il diritto dell’amministratore revocato di essere rinominato, rilevando soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva.
Tale ultimo assunto, per le ragioni che di seguito saranno esposte, appare poco convincente e non condivisibile alla luce di una lettura sistematica dell’impianto normativo post-Riforma.
Un condomino lamentava il diniego dell’amministratore alle richieste di presa visione ed estrazione copia a proprie spese di una serie di documenti contabili e condominiali.
Sono due le norme che vengono in rilievo nelle fattispecie come quella in rassegna.
In primo luogo, l’art. 1129 c.c. che obbliga l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e ad ogni rinnovo dell’incarico, a comunicare i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale (se si tratta di società, anche la sede legale e la denominazione), il locale ove si trovano i registri obbligatori (anagrafe, contabilità, verbali, nomina/revoca) nonchè “i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta all’amministratore, può prendere gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata”.
La seconda norma, parimenti rilevante, è il novellato art. 1130-bis c.c., il quale espressamente prevede che i condòmini (al pari dei titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari) possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese. Per converso, sussiste l’obbligo dell’amministratore di tenuta delle scritture e dei documenti giustificativi per dieci anni dalla relativa registrazione.
È ormai pacifico che, nei casi in cui vengano denegate le legittime richieste del singolo condomino di accesso alla documentazione condominiale, lo stesso può esperire l’apposito rimedio processuale del ricorso ex art. 702-bis c.p.c. per cd. “obbligo di fare” in quanto l’amministratore è legato al Condominio da un particolare rapporto di mandato e, pertanto, nei rapporti tra questi ed i condòmini si applicano le norme in tema di contratto di mandato, in quanto compatibili. Su tutte, particolare rilevanza assume l’art. 1713 c.c., norma relativa all’obbligo gravante sul mandatario di rendere al mandante il conto della gestione (Cass. civ. II n. 1286/1997; Trib. Napoli Nord dec. 21 luglio 2020).
Quello appena descritto è un rimedio di natura contenziosa, volto ad instaurare una causa civile, pur con rito sommario, nei confronti dell’amministratore in qualità di legale rappresentante dell’ente condominiale, e dunque nei confronti del condominio stesso, che sopporterà le spese ed i compensi legali in caso di soccombenza, salvo rivalersi successivamente sull’amministratore.
Diversa la scelta effettuata dal condomino-ricorrente nel caso in commento, in quanto lo stesso adiva il Tribunale di Foggia onde sentire disporre la revoca giudiziale dell’amministratore di condominio sul presupposto del reiterato omesso adempimento di quest’ultimo alle richieste di visionare la documentazione contabile condominiale e di estrarne copia.
A differenza del precedente rimedio, quello del ricorso per revoca giudiziale è procedimento che coinvolge l’amministratore in proprio e non anche la compagine condominiale (Cass civ. II n. 9348/2017; Cass. civ. II n. 23995/2013).
Il ricorso veniva accolto e confermato anche in secondo grado dalla Corte d’Appello di Bari.
A voler sussumere il contegno omissivo dell’amministratore nell’alveo delle gravi irregolarità di cui all’art. 1129 c.c., comma 12, esso consisteva nel non aver ottemperato alla richiesta di fornire lo stato dei pagamenti e delle eventuali liti in corso (art. 1130 n. 9 c.c. richiamato dall’art.1129, co. 12 n. 7 c.c.). Ciò senza considerare che ulteriore norma violata era proprio l’art. 1130-bis c.c. di cui si è detto innanzi e che, in ogni caso, l’elencazione delle gravi irregolarità di cui al comma 12 dell’art. 1129 c.c. non è tassativa. Alla condanna alle spese dell’amministratore si accompagnava, altresì, il divieto di questo di essere rinominato nel condominio in questione.
Avverso il decreto della Corte d’Appello di Foggia, che confermava il provvedimento di revoca di primo grado, l’amministratore proponeva ricorso per Cassazione, non limitando il sindacato della Suprema Corte alla sola statuizione in tema di spese legali, ma lamentando diversi errori in procedendo ed in iudicando e conseguentemente insistendo per la cassazione del provvedimento di secondo grado, sul presupposto della natura sostanzialmente contenziosa di detto procedimento, che aveva statuito sulle spese e i compensi legali.
La Seconda Sezione civile (relatore Cons. Scarpa), dichiara il ricorso inammissibile in quanto, per orientamento granitico, il decreto della Corte d’Appello che conferma la pronuncia di revoca dell’amministratore di condominio da parte del Tribunale è provvedimento di volontaria giurisdizione avverso il quale non è ammesso ricorso per cassazione se non nell’ambito della regolamentazione delle spese.
La Suprema Corte, a questo punto, passa in rassegna i caratteri principali del procedimento di revoca giudiziale dell’amministratore di condominio delineandone la natura giuridica.
A dire della Corte, in particolare:
1 – Si tratta di procedimento che si svolge in camera di consiglio e che si conclude con decreto reclamabile innanzi la Corte d’Appello (art. 64 disp. att. c.p.c.).
2 – Si struttura come giudizio camerale plurilaterale tipico, che culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o “status”.
3 – Ne deriva che il decreto con cui la Corte d’Appello provvede, su reclamo dell’interessato, in ordine alla domanda di revoca dell’amministratore di condominio, non avendo carattere decisorio e definitivo, non è, come detto, ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., mentre può essere revocato o modificato dalla stessa Corte d’Appello, per un preesistente vizio di legittimità o per un ripensamento sulle ragioni che indussero ad adottarlo, ai sensi dell’art. 742 c.p.c., atteso che quest’ultima disposizione si riferisce, appunto, unicamente ai provvedimenti camerali privi dei caratteri di decisorietà e definitività (cfr. Cass. Sez. 1, 06/11/2006, n. 23673).
4 – Il decreto con cui la Corte d’Appello rigetti, come nella specie, il reclamo sul provvedimento di revoca dell’amministratore di condominio, non costituisce “sentenza”, ai fini ed agli effetti di cui all’art. 111, comma 7, Cost., essendo sprovvisto dei richiesti caratteri della definitività e decisorietà, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi, non pregiudica il diritto del condomino ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, né il diritto dell’amministratore allo svolgimento del suo incarico. Trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato, atteso che la pronuncia di revoca resta pur sempre inserita in un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale, e non può perciò costituire autonomo oggetto di impugnazione per cassazione, avendo anche la pronuncia sull’osservanza delle norme processuali necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato.
5 – Sempre a parere della Corte, il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, ai sensi degli artt. 1129 c.c. e 64 disp. att. c.c., costituisce un provvedimento di volontaria giurisdizione, in quanto sostitutivo della volontà assembleare ed ispirato dall’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela dell’interesse alla corretta gestione dell’amministrazione condominiale in ipotesi tipiche di compromissione della stessa.
6 – L’art. 1129 c.c. affida la titolarità del potere di revoca solamente all’assemblea, mentre la revoca disposta dall’autorità giudiziaria ha un esplicito carattere sanzionatorio, sicché, rispetto ad essa, il ruolo del singolo condomino è esclusivamente di impulso procedimentale.
7 – Pur incidendo sul rapporto di mandato tra condòmini ed amministratore, il decreto di revoca non ha carattere decisorio, e non preclude la richiesta di tutela giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio contenzioso, relativa al diritto su cui il provvedimento incide.
Da tali assunti la Suprema Corte fa discendere, quale corollario, che, il divieto di nomina dell’amministratore revocato dal Tribunale sarebbe solo temporaneo e non comprimerebbe definitivamente il diritto dello stesso di ricevere l’incarico, rilevando soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione.
Il divieto di nomina posto dal riformato art. 1129, comma 13, c.c. funzionerebbe, in realtà, nei confronti dell’assemblea, precludendole di rendere inoperativa la revoca giudiziale con una delibera che riconfermi l’amministratore rimosso dal tribunale (e ciò pure se siano ormai venute meno le ragioni che avevano determinato la sua revoca).
Questo orientamento, tuttavia, non può non fare i conti con il comma 13 dell’art. 1129 c.c., norma inderogabile ed immediatamente successiva alle elencazioni non tassative delle ipotesi di gravi irregolarità. Detta norma stabilisce espressamente che “in caso di revoca da parte dell’autorità giudiziaria, l’assemblea non può nominare nuovamente l’amministratore revocato”.
L’arresto in commento, invero, liquida tale contrasto affermando che “non è determinante in senso contrario il disposto del comma 13 dell’art. 1129 c.c.”.
Un differente indirizzo interpretativo appare maggiormente aderente ad una interpretazione sistematica delle norme in materia di condominio.
Ed infatti, si segnalano sul punto:
1) Tribunale di La Spezia, sent. n. 139 del 6 marzo 2020 che ha annullato la delibera di nomina quale amministratore della Società di amministrazione la quale presentava all’interno del proprio organico il precedente amministratore revocato giudizialmente per cui ad essere incaricata della gestione del condominio, era la stessa persona già resasi protagonista di gravi irregolarità accertate dal Tribunale.
La legge, argomenta il Tribunale ligure, non consente alla maggioranza assembleare di eleggere quale amministratore una società strutturata in modo tale che la persona fisica in concreto chiamata a svolgere le attività di gestione del condominio sia il medesimo professionista già revocato.
Tali considerazioni inducono a non limitarsi a una lettura formale della norma in esame ma, viceversa, ad aderire a una interpretazione sostanziale dell’espressione “amministratore revocato” ivi utilizzata, che faccia appunto riferimento alla persona fisica resasi responsabile della condotta inadempiente posta a fondamento del provvedimento di revoca del Tribunale.
Pertanto, una delibera di tal segno è sicuramente invalida.
2) Anche il Tribunale di Lecco con sent. n. 701 del 13 giugno 2014 ha parimenti annullato la delibera di nomina ad amministratore della moglie del professionista già revocato dall’Autorità giudiziaria. Tale nomina, argomenta il Tribunale, è stata adottata non tanto nell’interesse del Condominio ma solo nell’interesse della maggioranza alla quale si oppone la minoranza individuata negli attori del procedimento di impugnativa di delibera di nomina. La violazione dell’art. 1129 comma 13 c.c., è stata in questo caso configurata come “eccesso di potere” da parte dell’assemblea che ha assunto un contegno esorbitante dalle proprie attribuzioni di legge.
Se dunque non può essere nominato come amministratore una persona facilmente riconducibile al professionista revocato, sia esso un di lui parente o una Società di cui lo stesso sia amministratore o anche solo socio destinato a gestire il condominio, a fortiori non potrà lo stesso professionista ripresentarsi come mandatario della compagine condominiale dopo che l’Autorità giudiziaria ne abbia disposto la revoca.
La sentenza in commento ha il pregio di delineare la natura di volontaria giurisdizione del procedimento di revoca che non rimane scalfita dalla circostanza che l’autorità giudiziaria statuisca sulle spese legali. Ciò in ragione della contrapposizione di interessi in conflitto che legittima l’applicazione dell’art. 91 c.p.c. (cfr Corte di Appello di Milano, 15.12.2004; Cass. civ., sent. n. 18487 del 01.09.2014).
Non risulta parimenti convincente il risultato cui perviene la Corte in merito all’interpretazione del divieto di ricandidatura dell’amministratore revocato limitato alla sola prima assemblea successiva al provvedimento di revoca. Ciò soprattutto perché, partendo da una analisi meramente processuale sulla assenza di giudicato nei procedimenti camerali, la Cassazione finisce per riportare i risultati di detta analisi in ambito sostanziale, arrivando a svilire la portata di una norma inderogabile quale è l’art. 1129, comma 13.
Una corretta interpretazione di tale ultima norma, contrariamente a quanto deduce la Corte, comporterebbe che il divieto di nuova nomina sia perpetuo. Si giunge a questo risultato qualunque sia il criterio interpretativo adottato, sia se si ragioni in termini di interpretazione letterale, sia se si adotti un criterio logico – sistematico o telelologico, volto ad individuare la ratio della norma oggetto di interpretazione che, oltre alla sostituzione della volontà assembleare in caso di grave irregolarità, risiede nella tutela della minoranza.
A suffragio di quanto appena detto si tenga presente che il legislatore legittima anche un solo condomino alla proposizione del ricorso per revoca giudiziale. Tale funzione verrebbe svilita se si consentisse la ri-nomina, a distanza di qualche tornata assembleare, dell’amministratore giudizialmente revocato, traducendosi nel cd. “abuso della maggioranza”, individuato nei precedenti di merito passati in rassegna (Tribunale di La Spezia, sent. n. 139 del 6 marzo 2020, Tribunale di Lecco sent. n. 701 del 13 giugno 2014).
Ancora, l’interpretazione fornita dalla Corte aumenterebbe a dismisura il contenzioso condominiale, venendo meno all’esigenza deflattiva dello stesso (obiettivo che si è posto il legislatore con la previsione e/o l’adattamento di molteplici strumenti deflattivi quali la mediazione obbligatoria, la negoziazione assistita o il procedimento ex art. 696-bis c.p.c.). Ciò in quanto una delibera di nomina di un amministratore revocato comporterebbe, come si è visto, l’impugnativa della stessa in quanto nulla e/o annullabile. Non solo. Per chiudere il cerchio, giova ribadire che l’esecuzione di una delibera nulla non esimerebbe l’amministratore (già revocato giudizialmente) da responsabilità professionale (Cass. civ. II, n. 23076/2018, rel. Cons. Scarpa).