[A cura di: avvocato Rodolfo Cusano]
L’occasione dello studio di tale particolare questione mi è stata data in esecuzione dell’incarico di difesa di un condominio, al quale l’amministratore aveva notificato un decreto ingiuntivo in cui richiedeva il pagamento dei compensi relativi ad anni precedenti. In tale difesa ebbi a domandarmi se, come fino ad oggi si era ritenuto, potevano i compensi dell’amministratore godere ancora della prescrizione ordinaria decennale di cui all’art. 2946 c.c..
Il ragionamento, cui affidavo la mia difesa era il seguente: detto articolo 2946 c.c. prevede testualmente: “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente (954, 1014, 1073, 1442) i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso dei dieci anni”. Di poi l’art. 2956 c.c.: “Si prescrive in tre anni il diritto: 1- dei prestatori di lavoro, per le retribuzioni corrisposte a periodi superiori al mese; 2- dei professionisti, per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative; (…)”.
Sulla base di detta normativa era quindi importante stabilire se l’attività di amministratore di condominio comportava o meno l’attribuzione della qualifica di professionista.
Se prima della riforma ciò era in dubbio, a seguito della riforma del condominio avutasi con legge n. 220 del 2012, art. 71 bis, il legislatore ha previsto tutta una serie di requisiti tra cui il possesso del diploma di maturità e la frequenza obbligatoria del corso di formazione e di aggiornamento annuale, così come, appunto, già accadeva per altri professionisti quali avvocati, dottori commercialisti, ecc.. A confermare detto indirizzo, la legge n. 4/2013 la quale espressamente prevede che appartengono all’elenco delle professioni senza albo una serie di figure come, per esempio, tributaristi, amministratori di condominio, consulenti legali in materie stragiudiziali, urbanisti.
Da ciò ne deriva che oggi, a sommesso avviso dello scrivente, non vi sono più dubbi sul fatto che l’attività di amministratore di condominio sia un’attività professionale, e che conseguentemente il relativo compenso sia attratto nella previsione di cui all’art. 2956 c.c. delle prescrizioni brevi triennali. Se a ciò si aggiunge che l’art. 2935 c.c. stabilisce che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, abbiamo il quadro completo della disciplina. Esso comporta che l’amministratore matura il diritto al compenso anno per anno (in seguito all’altra previsione che l’incarico dura un anno) ed è dalla data di tale compimento che decorre la prescrizione. Si badi bene: anno per anno. Per tale motivo, l’amministratore che alla cessazione dell’incarico o successivamente chieda il pagamento dei compensi oltre i tre anni può vedersi opporre la prescrizione da parte del condominio stesso. Ed è, appunto, ciò che è stato riconosciuto con la sentenza 2115/2017 del 10/08/2017, con cui detta tesi è stata accolta ed il D.I. richiesto dall’amministratore per i suoi compensi è stato annullato.
Per completezza di difesa si fa presente che nella stessa sentenza l’amministratore, in sede di riconvenzionale, ha chiesto anche il pagamento delle somme anticipate per il condominio, ma su tale domanda il giudice non si è pronunciato avendola ritenuta inammissibile perché tardiva. Sul punto vi è da dire che l’art. 2935 c.c. stabilisce la stessa prescrizione triennale anche per le spese sostenute per lo svolgimento dell’incarico. Ma possiamo ritenere che le anticipazioni rientrano nella previsione normativa delle spese? E, comunque, potrebbe sempre l’amministratore chiederle come indebito arricchimento?