[A cura di: avv. Emanuele Bruno – www.studiobruno.info] La fattispecie della proprietà privata destinata ad uso pubblico, assai diffusa nel passato, momento in cui il settore edilizio era deregolamentato, resta, ancora oggi, sebbene con dinamiche differenti, situazione diffusa.
L’ipotesi di scuola è quella di un cortile o di una strada che, di proprietà privata (del singolo o del condominio), è quotidianamente destinata ad uso di tutti i cittadini e quindi di uso pubblico.
In situazioni di tal fatta, il diritto di proprietà è compresso da plurime condotte (pluralità degli utenti) che, utilizzano la proprietà privata nella convinzione di utilizzare la cosa pubblica. Tale compressione può derivare da accordo delle parti o da situazione di fatto.
Se vi è accordo, è presumibile che in esso si trovi anche la regolamentazione del rapporto; al contrario, ove si faccia riferimento ad una situazione di fatto, come si dirà nelle righe a seguire, la giurisprudenza ha inteso dare rilievo alla situazione apparente e non alla situazione di diritto.
Il Consiglio di Stato pone attenzione alle caratteristiche strutturali mentre la Cassazione indica l’elemento caratterizzante nel c.d. “uso collettivo”, ovvero, valorizza la situazione apparente per effetto della quale l’utenza usa lo spazio nella falsa convinzione che si tratti di cosa pubblica.
Il concetto può essere applicato tanto alle vie di transito quanto, per esempio, alle zone utilizzate come parcheggio o, semplicemente, destinate genericamente all’uso pubblico.
In tal senso, Cass. n. 5637/1995: “Perché un’area privata possa ritenersi assoggettata per usucapione ad una servitù pubblica di passaggio è necessario, oltre all’intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse. Ne consegue che deve escludersi l’uso pubblico quando il passaggio venga esercitato soltanto dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione.
Il comma 1, art. 2, D. Lvo n. 285/1992 (Codice della Strada), statuisce che “ai fini dell’applicazione delle norme del presente codice si definisce “strada” l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali”.
Superando ogni incertezza: la definizione di “strada”, che comporta l’applicabilità della disciplina del relativo codice, non dipende dalla natura, pubblica o privata, della proprietà di una determinata area, bensì dalla sua destinazione ad uso pubblico, che ne giustifica la soggezione alle norme del codice della strada per evidenti ragioni di ordine pubblico e sicurezza collettiva – Cass. 14367/2018.
La questione rileva, anche, ai fini della R.C. auto che è attiva quando il veicolo è in area privata ad uso pubblico: Il concetto di circolazione stradale di cui all’art. 2054 cod. civ. include anche la posizione di arresto del veicolo e ciò in relazione sia all’ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia alle operazioni propedeutiche alla partenza o connesse alla fermata, sia, ancora, rispetto a tutte le operazioni che il veicolo è destinato a compiere e per il quale può circolare sulle strade. Ne consegue che per l’operatività della garanzia per R.C.A. è necessario che il veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull’area ad essa parificata, mantenga le caratteristiche che lo rendano tale in termini concettuali e, quindi, in relazione alle sue funzionalità non solo sotto il profilo logico ma anche delle eventuali previsioni normative, risultando invece indifferente l’uso che in concreto se ne faccia, sempreché esso rientri nelle caratteristiche del veicolo medesimo – Cass. SS.UU. n. 8620/2015.
In linea con lo stesso principio, il veicolo in sosta (si pensi ai veicoli parcheggiati e “dimenticati”) su area privata ad uso pubblico è obbligato ad essere munito di assicurazione.
Tribunale di Nocera Inferiore, 28.03.2017 – Ai fini dell’applicazione della normativa (della assicurazione obbligatoria) della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, sono equiparate alle strade di uso pubblico tutte le aree di proprietà pubblica o privata aperte alla circolazione del pubblico, intendendosi per tali, quanto alle aree private, quelle in cui la circolazione è consentita ad una cerchia indeterminata di persone, diverse dai titolari dei diritti sulle aree medesime, sia pure sotto specifiche condizioni o per particolari finalità. Affinché sorgano ed operino la presunzione di colpa stabilita dall’art. 2054 c.c. a carico del conducente del veicolo e la conseguente responsabilità del proprietario, è necessario che ricorra il presupposto della circolazione del veicolo su strada pubblica o su strada privata soggetta ad uso pubblico o, comunque, adibita al traffico di pedoni o di veicoli. Pertanto, non è applicabile la presunzione di colpa di cui all’art. 2054 c.c. nel caso in cui non ricorra detto presupposto ed il danno sia stato prodotto in area privata nella quale non esista traffico e circolazione di veicoli.
Si è detto che la strada o l’area privata è ad uso pubblico quando è destinata all’uso collettivo. L’uso collettivo è un peso, una servitù, che grava sulla proprietà privata comprimendola, ovvero, riducendo il diritto di utilizzo del proprietario.
L’uso pubblico, per intensità e continuità, sovrasta, almeno in linea di principio, il diritto di proprietà che resta invisibile (se non inesistente) alla conoscenza dell’utilizzatore che, salve eccezioni, non è nelle condizioni di conoscere la situazione reale.
Chi legge è forse in grado di affermare con certezza che la via che percorre in auto tutti i giorni ed il luogo in cui parcheggia il veicolo è di proprietà della P.A.? Assolutamente no.
Se la P.A., nelle diverse declinazioni, acconsente all’uso della proprietà privata per finalità pubblica può andare esente da responsabilità?
Cass. n. 7/2010 – Il Comune, che consente alla collettività l’utilizzazione, per pubblico transito, di un’area di proprietà privata, si assume l’obbligo di accertarsi che la manutenzione dell’area e dei relativi manufatti non sia trascurata. Ne consegue che l’inosservanza di tale dovere di sorveglianza, che costituisce un obbligo primario della P.A., per il principio del neminem laedere, integra gli estremi della colpa e determina la responsabilità per il danno cagionato all’utente dell’area, non rilevando che l’obbligo della manutenzione incomba sul proprietario dell’area medesima. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto la responsabilità di una Amministrazione comunale per i danni cagionati ai proprietari di un fondo dal cedimento del relativo muro di confine a seguito del deflusso di acqua riversatosi sullo stesso tramite la strada, privata ma di uso pubblico, di accesso al campo sportivo di proprietà comunale).
La sentenza spiega bene che, ove la P.A. acconsente all’utilizzo pubblico di area privata, pone su se stessa l’obbligo di provvedere alla manutenzione.
Cass. n. 3216/2017 – In tema di responsabilità da negligente manutenzione delle strade, è in colpa la Pubblica Amministrazione che non provveda alla manutenzione o messa in sicurezza delle aree, anche di proprietà privata, latistanti le pubbliche vie, quando da esse possa derivare pericolo per gli utenti delle strade, né ad inibirne l’uso generalizzato; ne consegue che, nel caso di danni causati da difettosa manutenzione d’una strada, la natura privata di questa non è, di per sé, sufficiente ad escludere la responsabilità dell’amministrazione comunale ove, per la destinazione dell’area e per le sue condizioni oggettive, la stessa era tenuta alla sua manutenzione.