[A cura di: avv. Andrea Marostica] Prima della riforma del 2012, la legge prevedeva semplicemente che ogni condomino potesse “intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante” (art. 67, co. 1, disp. att. cod. civ.).
Nulla era previsto in merito alla forma (scritta od orale) dell’atto di delega. Nondimeno, la dottrina osservava che: l’art. 1393 cod. civ., che stabilisce che il terzo che contratta col rappresentante possa sempre esigere che questi giustifichi i suoi poteri, esprime un principio di carattere generale a tutela dell’interesse del terzo alla certezza dell’imputabilità dell’attività stessa al rappresentato; sulla base di ciò si riteneva che, qualora un soggetto intendesse partecipare ad un’assemblea asserendo di essere rappresentante di un altro condomino in base a delega verbale, gli altri condòmini avessero diritto di pretendere che egli fornisse, in qualsiasi modo idoneo, la prova di tale delega (Peretti Griva, Il condominio delle case divise in parti, Torino, 1959, p. 476).
Nella disciplina previgente, inoltre, non venivano posti limiti al numero di deleghe che la stessa persona poteva ricevere; né erano prescritte limitazioni circa il rapporto intercorrente tra il rappresentante e la compagine condominiale, dunque era possibile conferire il potere rappresentativo ad un altro condomino, all’amministratore, ad un terzo privo di rapporti con il condominio (come ad esempio un avvocato).
La novella legislativa ha avuto cura, quanto alla forma dell’atto di delega, di precisare che il rappresentante che interviene in assemblea debba essere munito di delega scritta. Questo ha posto fine al dibattito sviluppatosi in precedenza, ove ci si chiedeva se fosse necessaria la forma scritta o se fosse sufficiente la forma orale.
Alla luce della nuova disposizione, in sede di conteggio delle prescritte maggioranze non potrà essere considerato:
Quanto al numero di deleghe che la stessa persona può ricevere, è ora previsto che se i condòmini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condòmini e del valore proporzionale. Ne deriva che: se i condòmini sono meno di venti o venti, non sussistono limiti al numero di deleghe che la stessa persona può ricevere; se i condòmini sono più di venti, la stessa persona non può rappresentare più di un quinto dei condòmini e del valore proporzionale.
Occorre chiarire alcuni aspetti. Come deve essere calcolato il numero dei condòmini? I requisiti del numero dei condòmini e del valore proporzionale sono cumulativi o alternativi?
Il primo. Si ritiene che il numero dei condòmini debba essere calcolato facendo ricorso non al numero dei titolari di diritti reali sulle unità immobiliari, bensì al criterio delle teste. Esemplificando: marito e moglie comproprietari di una unità immobiliare valgono due se si guarda al numero di titolari, valgono uno se si utilizza il criterio delle teste.
Il secondo. La disposizione descrive il limite di potere rappresentativo che non deve essere superato utilizzando l’espressione “un quinto dei condòmini e del valore proporzionale”. Se uno stesso soggetto rappresenta più di un quinto delle teste ma meno di un quinto dei millesimi, oppure all’inverso meno di un quinto delle teste ma più di un quinto dei millesimi, la soglia deve intendersi superata? Si ritiene di no: il legislatore, nell’accostare i due criteri, utilizza la congiunzione copulativa “e”, non la congiunzione disgiuntiva “o”. Ne deriva, ad esempio, che potrà partecipare all’assemblea il portatore di deleghe rilasciate da più di un quinto dei condòmini rappresentanti, però, meno di un quinto del valore millesimale.
Da ultimo, si segnala che è stato introdotto l’espresso divieto di conferire all’amministratore deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea (art. 67, co. 5, disp. att. cod. civ.).
l rappresentato delegante può conferire al rappresentante delegato una delega in bianco oppure una delega titolata. Nel primo caso il rappresentante non specifica in quale modo il rappresentante dovrà esprimere il voto sulle varie questioni poste all’ordine del giorno; nel secondo caso, invece, l’operato del rappresentante è vincolato dalle espresse indicazioni del rappresentato.
Ciò detto, con riferimento alla conformità o alla difformità tra potere conferito ed esercizio del medesimo, possono logicamente darsi quattro situazioni:
Nel primo caso nulla quaestio, il rappresentante è dotato del potere rappresentativo ed esprime legittimamente il voto in piena libertà. Nel secondo caso di nuovo non sorgono questioni: il rappresentante è dotato del potere rappresentativo ed esprime il voto in modo conforme alle istruzioni ricevute. Nel terzo caso si configura un eccesso di potere: il rappresentante è dotato del potere rappresentativo ma eccede nell’esercizio del medesimo, esprimendo un voto difforme dalle istruzioni ricevute. Nel quarto caso si configura l’ipotesi del falsus procurator: il rappresentante non è dotato del potere rappresentativo ed esprime il voto senza averne il potere.
Negli ultimi due casi si pone il problema di stabilire chi possa far valere la difformità tra potere conferito ed esercizio del medesimo e quali conseguenze ne derivino per la delibera assembleare assunta.
La giurisprudenza, si veda Cass. civ., Sez. II, 30 gennaio 2013, n. 2218, afferma che “In tema di condominio, i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato debbono ritenersi disciplinati, in difetto di norme particolari, dalle regole generali sul mandato, con la conseguenza che solo il condomino delegante e quello che si ritenga falsamente rappresentato sono legittimati a far valere gli eventuali vizi della delega o la carenza del potere di rappresentanza, e non anche gli altri condòmini estranei a tale rapporto”.
Dunque, soltanto il condomino rappresentato – e non gli altri condòmini – potrà fare valere il vizio, sia nel caso di eccesso di potere sia nell’ipotesi di falsus procurator, impugnando la delibera assembleare.
In particolare per l’ipotesi del falsus procurator, a sostegno della tesi esposta circa la legittimità esclusiva del condomino falsamente rappresentato a fare valere il vizio impugnando la delibera, è possibile richiamare l’art. 1398 cod. civ., il quale afferma che colui che abbia contrattato con il falso rappresentante (nella vicenda condominiale, il riferimento deve intendersi agli altri condòmini) può unicamente chiedere a questo il risarcimento dei danni per avere confidato senza sua colpa nella sussistenza del potere rappresentativo, non anche fare valere la inefficacia del negozio concluso. Non sono mancate, peraltro, opinioni differenti, avendo alcuni sostenuto che è dubbia l’applicabilità della disposizione citata al condominio e che nella materia condominiale l’atto del rappresentante, se pure posto in essere nell’esercizio del potere attribuito dal condomino nel proprio interesse, è destinato a produrre effetti giuridici non solo nella sfera del rappresentato, ma anche e soprattutto nei rapporti tra i condòmini, posto che contribuisce a formare la c.d. volontà del condominio (Cass. civ., Sez. II, 26 aprile 1994, n. 3952).