[A cura di. avv. Daniele De Bonis, responsabile Area Giuridica BMItalia] L’eliminazione delle barriere architettoniche in condominio è stata oggetto di interventi normativi che hanno evidenziato il particolare favore che il legislatore accorda a tale tipo di intervento, dapprima con la legge n. 13/1989 e di poi anche con la legge n. 220/2012 di riforma del condominio.
L’art.2 della legge 13/1989 stabilisce che, per le deliberazioni relative alle innovazioni finalizzate ad eliminare le barriere architettoniche, è sufficiente la maggioranza indicata dall’art.1136 c.c., comma 2 (disposizione poi confluita nell’art. 1120 comma 2 c.c. all’esito della riforma del Condominio ad opera della legge 220/2012). Lo stesso articolo riconosce al soggetto disabile, laddove l’assemblea condominiale non deliberi entro tre mesi dalla richiesta, il diritto di realizzare a sue spese opere mobili facilmente rimovibili, ed ampliare le porte d’accesso.
Per effetto del favore espresso dalla legge verso gli interventi di eliminazione delle barriere architettoniche, attuato in concreto anche dalla giurisprudenza, è possibile dunque sia che il singolo condomino ponga in essere l’intervento, sia che il condominio deliberi l’adozione dell’intervento con una maggioranza agevolata.
Occorre premettere una breve sintesi sulle modalità con cui uno, più condòmini o il condominio possono decidere di eliminare le barriere architettoniche.
Partendo da tale ultima ipotesi, l’intervento può essere deliberato dall’assemblea secondo gli specifici quorum previsti dall’art. 1120, comma 2, n.2 c.c., ed in tal caso le spese saranno ripartite tra tutti i condòmini come ogni altra spesa condominiale.
Il criterio di riparto delle spese è quello generale di cui all’art. 1123, comma 1 che indica le innovazioni deliberate dalla maggioranza tra quelle espressamente soggette al criterio della proporzionalità del valore della singola proprietà rispetto all’intero edificio condominiale ed è pacifico che l’eliminazione delle barriere architettoniche costituisca un’innovazione, come confermato dalla costante giurisprudenza (cfr. sul punto ex multis Cass. n. 6129/2017).
Sarà, dunque, applicabile anche l’art. 1123, comma 3 a norma del quale “Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità” (c.d. “condominio parziale”).
Occorre precisare che, come chiarito dalla Suprema Corte con sentenza n. 24235 del 29/11/2016 in un caso relativo all’installazione dell’ascensore, in tema di deliberazioni condominiali, l’installazione di opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 27, comma 1, e al D.P.R. n. 384 del 1978, art. 1, comma 1, costituisce innovazione che, ai sensi della L. n. 13 del 1989, art. 2 è approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta rispettivamente dall’art. 1136 c.c., commi 2 e 3; tutto ciò ferma rimanendo la previsione della citata L. n. 13 del 1989, art. 2, comma 3, che fa salvo il disposto dell’art. 1120 c.c., comma 2 e art. 1121 c.c., comma 3 (Cass. n. 14384/04).
La condizione di inservibilità del bene comune all’uso o al godimento anche di un solo condomino, che, ai sensi dell’art. 1120 c.c., comma 3, rende illegittima e quindi vietata l’innovazione deliberata dagli altri condòmini, è riscontrabile anche nel caso in cui l’innovazione produca una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene (cfr. Cass. n. 20639/05, che in applicazione di tale principio ha ritenuto illegittima una delibera condominiale che, nel restringere il vialetto di accesso ai garages, rendeva disagevole il transito delle autovetture).
Dunque, le innovazioni dirette a eliminare barriere architettoniche, non derogano all’art. 1120 c.c., comma 3, ma solo alla maggioranza che diversamente è prescritta dall’art. 1136 c.c., comma 5, richiamato dall’art. 1120 c.c., comma 1. Pertanto ove detta innovazione sia lesiva dei diritti di altro condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative (Cass. n. 6109/94), ed ove l’installazione renda talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino (Cass. n. 28920/11), la stessa sarà vietata ai sensi dell’art. 1120 comma 3 c.c..
La spesa potrebbe però anche rientrare tra le spese gravose o voluttuarie previste dall’art. 1121 c.c., ed in tal caso dovrà essere ripartita secondo le modalità ivi previste.
Testualmente, l’art. 1121 c.c. così recita: “Qualora l’innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio, e consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condòmini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa.
Se l’utilizzazione separata non è possibile, l’innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condòmini che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.
Nel caso previsto dal primo comma i condòmini e i loro eredi o aventi causa possono tuttavia, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera“.
L’intervento di eliminazione delle barriere architettoniche può anche essere realizzato dal singolo condomino ex art. 1102 comma 1 c.c. secondo cui “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa“. In tal caso, le spese saranno a carico del singolo condomino o del gruppo di condòmini che hanno realizzato l’intervento (in tale ultimo caso, le spese saranno tra loro ripartite in base agli accordi privatistici tra di essi intervenuti e non in base alle norme che regolano la ripartizione delle spese condominiali).
In ultima ipotesi, l’intervento può essere realizzato dal singolo condomino, decorsi tre mesi dalla richiesta fatta al condominio ai sensi dell’art. 2 della legge n. 13/1989: anche in tal caso le spese saranno a suo carico per “servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages” (sul punto si precisa che tale previsione è stata applicata dalla giurisprudenza in via estensiva anche ad esempio agli ascensori (v. Cass. n. 6129/2017).
Se ai fini dell’installazione del dispositivo antibarriera ai sensi della legge 13/1989 è necessaria la presenza di un soggetto disabile residente, anche in funzione della erogazione di contributi pubblici, e se l’installazione in autonomia è consentita esclusivamente alla persona disabile, non altrettanto può dirsi dell’uso del dispositivo: una volta che lo stesso sia installato il dispositivo suddetto può servire contemporaneamente altri soggetti che vivono nel medesimo condominio.
La funzione antibarriera del dispositivo realizzata con il contributo pubblico in applicazione della normativa volta all’eliminazione delle barriere architettoniche, non viene meno, dunque, nel caso di decesso della persona nel cui interesse il dispositivo stesso è stato installato, ovvero nel caso di perdita della qualità di condomino del soggetto medesimo.
È questo il principio espresso dalla seconda sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 3858 del 26 febbraio 2016.
La Suprema Corte chiarisce che la normativa in materia di eliminazione delle barriere architettoniche persegue un interesse generale alla accessibilità agli edifici che va oltre i diritti e le esigenze del singolo disabile. Nella fattispecie, la Corte ha respinto la domanda proposta da un condomino, che chiedeva al disabile nel cui interesse era stato installato il servo-scala (nel frattempo deceduto) di collocare sul pianerottolo di sua pertinenza il relativo seggiolino dopo l’uso in quanto la presenza dello stesso seggiolino determinava, secondo la sua prospettazione, una riduzione del diritto all’uso della scala condominiale.
I giudici di legittimità hanno confermato la sentenza di primo grado, che aveva accertato che l’ingombro provocato dal seggiolino del servo scala creava una limitazione del tutto tollerabile del diritto del ricorrente al pari uso della scala comune, occupando pochi scalini della stessa.
Tale pronuncia si sofferma sulla “funzione antibarriera” degli impianti installati per l’eliminazione delle barriere architettoniche. Questi impianti, seppur installati su iniziativa del singolo disabile, svolgono una funzione sociale costituzionalmente tutelata che va oltre gli interessi del singolo, a beneficio di tutti i condòmini.
Il condomino ricorrente aveva eccepito la nullità della sentenza di merito, (in quanto pronunciata a favore degli eredi del disabile che aveva installato il servo scala) poiché, secondo la sua prospettazione, gli stessi non avevano titolo a stare in giudizio, trattandosi di un diritto personalissimo legato alla condizione di soggetto disabile, diritto che si sarebbe quindi estinto con il decesso del medesimo.
La Suprema Corte, nel rigettare l’eccezione, ha invece escluso la configurabilità di un “diritto personalissimo” all’uso dell’impianto: “la finalità pubblicistica sottesa alla normativa in tema di eliminazione delle barriere architettoniche, espressione a sua volta del principio di solidarietà, che consente di ritenere irrilevante, ai fini della installa zione di dispositivi inamovibili di accesso negli edifici, l’esistenza di condomini disabili (Cass., sez. II, sentenza n. 18334 del 2012 in materia di ascensore)“.
Ciò, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, “impedisce di configurare il diritto al mantenimento e all’uso dei dispositivi cosiddetti provvisori, ove già installati, come diritto personale ed intrasmissibile del condomino disabile, che si estingue con la morte dello stesso. La normativa in materia di eliminazione delle barriere architettoniche persegue infatti, attraverso la tutela dell’interesse particolare dell’invalido, un interesse generale alla accessibilità agli edifici“.
Su punto si segnala altresì un recente intervento del Consiglio di Stato che, nell’annullare un provvedimento della Sovrintendenza dei Beni culturali che ostacolava l’esecuzione di un torrino di fine corsa e di un impianto non visibili dalla pubblica strada, ha affermato che le norme sull’abbattimento delle barriere architettoniche non si applicano solo ai portatori di handicap ma anche agli anziani e alle persone che hanno disagi fisici e/o motori e, non in ultimo, anche a coloro che devono ricevere una potenziale visita da questi soggetti (ad esempio la figlia che abita in un appartamento cui, altrimenti, la madre anziana non potrebbe accedere).
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4824 del 28 settembre – 18 ottobre 2017, nel richiamare anche precedenti giurisprudenziali della Suprema Corte e della Corte Costituzionale così statuisce: “Sotto il profilo soggettivo, come chiarito di recente da Cass. civ. sez. II 28 marzo 2017 n.7938, la normativa di favore di cui alla l. 13/1989 si applica anche quando si tratti di persone anziane le quali, pur non essendo portatrici di disabilità vere e proprie, soffrano comunque di disagi fisici e di difficoltà motorie. La legge in questione infatti, in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, esprime il principio secondo il quale i problemi delle persone affette da una qualche specie invalidità devono essere assunti dall’intera collettività, e in tal senso ha imposto in via generale che nella costruzione di edifici privati e nella ristrutturazione di quelli preesistenti, le barriere architettoniche siano eliminate indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte di persone disabili, trattandosi comunque di garantire diritti fondamentali – così C. cost. 10 maggio 1999 n.167 e Cass. civ. sez. II 25 ottobre 2012 n.18334 – e non di accordare diritti personali ed intrasmissibili a titolo di concessione alla persona disabile in quanto tale, come affermato da Cass. civ. sez. II 26 febbraio 2016 n.3858.)”.