Anche sulla scia dei buoni risultati fatti conseguire, nell’ultimo anno, dall’immobiliare turistico, sta crescendo il numero di bed & breakfast ospitati all’interno di stabili condominiali. Ma come si fa ad aprirne uno? Come si fa a superare l’eventuale riottosità dei condòmini? Come ci si rapporta con il regolamento condominiale? Sono alcune delle questioni oggetto della dissertazione proposta da Confabitare, che riportiamo di seguito.
L’attività di b&b per i proprietari si configura come un’opportunità di messa a reddito di immobili, destinati altrimenti a restare inutilizzati, e di certo più conveniente di una locazione per tempi lunghi, che appare invece più gravosa per via delle spese, della manutenzione e del carico fiscale.
Per aprire un b&b occorre presentare una Scia, che consente di avviare immediatamente l’attività. La documentazione necessaria varia da comune a comune: di norma occorrerà esibire la planimetria dell’immobile, un’auto-dichiarazione sul titolo di possesso (proprietà o locazione) e i certificati sulla regolarità degli impianti, una polizza assicurativa che copra eventuali danni subiti dai potenziali clienti. La materia è disciplinata dalla legge 217 del 17/05/1983, “Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica”, e da leggi e regolamenti regionali che prevedono dei requisiti minimi, ma l’ostacolo maggiore è rappresentato dai conflitti condominiali.
Aprire un b&b all’interno di un condominio non è impresa facile, in quanto occorre vincere la resistenza, più o meno fondata, dei vicini. La Cassazione è intervenuta per una lite scoppiata a causa dell’interpretazione di una clausola contenuta nel regolamento condominiale del seguente tenore: «È fatto divieto di destinare gli appartamenti a uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato». Secondo la Corte di Appello di Roma, il b&b può essere esercitato esclusivamente all’interno di una civile abitazione. Quindi, se il regolamento condominiale vieta di destinare gli appartamenti a uso diverso da quello di civile abitazione e il b&b può essere esercitato in una civile abitazione, ne discende, per forza di cose, che il regolamento condominiale non vieta il b&b. La Cassazione conferma il verdetto della Corte d’Appello e conclude affermando che, «in materia condominiale, il regolamento non può impedire ai condòmini la destinazione delle unità abitative per l’esercizio dell’attività di bed and breakfast, non comportando per l’utilizzo degli appartamenti a tale scopo il cambio di destinazione d’uso ai fini urbanistici. Non sussiste peraltro alcuna incompatibilità della destinazione alberghiera con quella prescritta dalla norma del regolamento condominiale, ove l’attività di bed and breakfast non comporti conseguenze pregiudizievoli per gli altri condòmini» (Cass. civ., sez. II, sent. 20 novembre 2014, n. 24707).
Secondo la Cassazione non è vietato adibire l’abitazione privata posta all’interno di un condominio ad attività di “affitta camere”, purché, bene inteso, non si rechi pregiudizio ai vicini.
In definitiva, chi vuole creare un b&b non necessita dell’approvazione dell’assemblea condominiale, a meno che ovviamente il regolamento condominiale non vieti espressamente l’esercizio di tale attività e purché non si arrechino danni ai vicini di casa.
Quasi parallelamente abbiamo l’ord. n. 7004 del 13/11/2014, depositata in data 16/01/2015, con cui la Cassazione stabilisce che è necessario verificare quanto disposto dal regolamento condominiale. Nell’occasione si tratta di stabilire la legittimità della delibera assembleare che autorizzava un condomino a esercitare l’attività di bed and breakfast. La Cassazione conferma il parere della Corte d’appello, ma, questa volta, viene data maggiore importanza alla volontà assembleare che può decidere autonomamente di autorizzare o negare l’esercizio del b&b a prescindere dal rispetto delle norme urbanistiche e regolamentari in materia di turismo. Di conseguenza viene dichiarata l’invalidità della delibera assembleare assunta a maggioranza, che aveva autorizzato due condòmini allo svolgimento del bed & breakfast all’interno della propria unità immobiliare. Interessante la motivazione: viene denunciato il contrasto tra l’attività di b&b e l’uso abitativo contrattualmente stabilito nel regolamento condominiale contrattuale che prevedeva: «I proprietari del fabbricato si impegnano sin da ora a destinare esclusivamente ad abitazione singoli piani loro assegnati, impegnandosi categoricamente a non modificare tale destinazione». Nel caso in esame, hanno sottolineato che «circa la rilevanza della legge regionale che esclude che il bed and breakfast possa integrare un mutamento di destinazione d’uso, occorre ribadire che la legge regionale ha finalità diverse, relative alla classificazione delle attività (alberghiera o non alberghiera), e non può incidere sui rapporti privatistici e sugli obblighi che reciprocamente si assumono i condòmini, in questo caso con un regolamento contrattuale». La Cassazione evidenzia altresì che normalmente, quando il regolamento condominiale contrattuale contiene una clausola che vieta il cambio di destinazione d’uso degli immobile, la volontà delle parti è quella di evitare che le singole unità immobiliari vengano utilizzate per un uso diverso dall’abitazione dei condòmini eliminando altre possibilità di utilizzo.
Recentemente la Cassazione ha ritenuto legittima la clausola contenuta nel regolamento di condominio che vieta di trasformare un appartamento in bed & breakfast, e il proprietario non può neanche opporre la circostanza che, in passato, tale uso sia stato consentito, in quanto la violazione pregressa non giustifica nuove violazioni (Cass. sent. 01/01/2016, n. 109). Motivo del contendere sempre la liceità dell’attività di b&b condotta da uno dei condòmini. Illegittima secondo il condominio, sulla base di un preciso divieto contenuto nel regolamento contrattuale; legittima secondo l’interessato, in quanto, a suo dire, non espressamente vietata. In effetti, a leggere il testo della sentenza, si capisce subito che il regolamento non menzionasse esplicitamente il cosiddetto b&b, quanto piuttosto l’attività alberghiera di affittacamere e di pensione. La Suprema Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla conformità alla legge della sentenza d’appello che aveva accolto il ricorso del condominio, ha dunque evidenziato che «la Corte di merito, correttamente attenendosi alla ratio della disposizione dell’art. 9 del regolamento, quale risultante dal suo tenore letterale, ha evidenziato, con argomentazioni assolutamente logiche e aderenti alla natura dell’impegno assunto dai condòmini, che l’attività di b&b rientra tra quelle vietate, essendo in tutto riconducibile all’attività di affittacamere, espressamente non consentita dal testo regolamentare» (Cass. civ., Sez. II, sent. 23/12/2010, n. 26087).
A finire sotto la lente, questa volta, è una clausola del regolamento condominiale che stabilisce letteralmente: «È vietato di destinare gli appartamenti a uso di qualsivoglia industria o di pubblici offici, ambulanze, sanatori, gabinetti per la cura di malattie infettive o contagiose, agenzie di pegni, case di alloggio, come pure di concedere in affitto camere vuote o ammobiliate o di farne comunque un uso contrario al decoro, alla tranquillità, alla decenza ovvero al buon nome del fabbricato». La Corte di Cassazione, confermando il verdetto della Corte d’appello, sentenzia che non vi è alcuna differenza tra l’affittacamere e il b&b: l’attività è vietata, perché in contrasto con il regolamento di condominio (Cass. civ., Sez. II, sent. 01/01/2016, n. 109). Per inciso, l’attività di affittacamere è una abitazione privata, o una parte di essa, adibita all’uso esclusivo degli ospiti, per cui, sotto molteplici aspetti è simile ai b&b. Ancora una volta si discute dell’equiparazione tra b&b e affittacamere. In questo caso il regolamento condominiale non menziona esplicitamente il b&b, ma vieta l’attività alberghiera di affittacamere e di pensione.
Un b&b può essere gestito, oltre che da una persona fisica, anche da una società o da un privato che opera in via professionale, ossia con partita iva. La società che gestisce il b&b paga le tasse sul fatturato proveniente dall’attività. Quanto alle operazioni passive, ovvero alla possibilità di portare in detrazione e “recuperare” l’Iva versata, il contribuente ha l’onere di provare l’inerenza del costo sostenuto rispetto all’attività esercitata. I proventi dell’attività, al netto delle spese documentabili, sono tassati come “redditi diversi”, derivanti da attività commerciale non esercitata abitualmente.
Il “fatturato” su cui pagare le imposte, sarà determinato dai ricavi al netto delle spese sostenute e documentate inerenti l’attività. Il b&b viene considerata come una attività saltuaria e non richiede l’apertura della partita Iva, né l’iscrizione alla Camera di Commercio purché l’attività sia discontinua. Quanto ai costi sostenuti per l’inizio dell’attività, trattandosi di oneri pluriennali, la deduzione sarà fatta secondo un criterio di ammortamento pluriennale.
La detenzione di un apparecchio televisivo comporta l’obbligo del pagamento di un canone annuale. L’Agenzia delle Entrate, con il comunicato del 26/04/2016 ha chiarito che i titolari di un b&b sono tenuti al pagamento del canone speciale; se intestatari di utenza elettrica residenziale, possono evitarne l’addebito presentando la prescritta dichiarazione sostitutiva di non detenzione. I b&b, inoltre, sono sottoposti al canone SIAE.