Avv. Roberto Rizzo – Foro di Cosenza
Il “blocco degli sfratti”, ha determinato profondi “disorientamenti giurisprudenziali”, in quanto le pronunce dei Giudici di merito hanno evidenziato orientamenti profondamente differenti
Il quadro normativo di riferimento.
La grave crisi economica ingenerata nel Paese dalla diffusione della pandemia da Coronavirus, ha, com’è noto, indotto il Governo a dichiarare lo stato d’emergenza sanitaria e, di conseguenza, ad intervenire, a più riprese, facendo ampio ricorso allo strumento della decretazione, legislativa e d’urgenza, per cercare di limitare al minimo gli effetti negativi per l’economia italiana.
Uno dei settori nei quali si è registrato un più incisivo intervento normativo è stato quello del mercato immobiliare, ed in particolare il comparto delle locazioni, nell’ambito del quale, verosimilmente al fine di dare un sostegno al reddito di tutte quelle attività sottoposte a chiusura totale in epoca di lockdown, si è disposto il blocco degli sfratti.
Il quadro normativo di riferimento, può essere così delineato: il primo provvedimento da ricordare è rappresentato dall’art.103 del c.d. Decreto “Cura Italia”, ossia il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, nella Legge 24 aprile 2020, n. 27, il quale ha disposto la sospensione di tutti i provvedimenti di rilascio di immobili, anche ad uso non abitativo, fino al 1° settembre 2020.
Successivamente, Il Decreto “Rilancio” (Decreto Legge n. 34/2020) in virtù di un emendamento inserito dalla Legge di conversione 17 luglio n. 77/2020, all’articolo 17-bis ha prorogato la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio, e quindi degli sfratti, fino al 31 dicembre 2020.
Infine, il Decreto “Milleproroghe” (Decreto Legge 31 dicembre 2020, n. 183) ha previsto che: “la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo (…) è prorogata sino al 30 giugno 2021 (…).”
Questioni interpretative preliminari.
In questo contesto normativo, si è posta, in primo luogo, l’esigenza di comprendere esattamente, da un punto di vista ermeneutico, cosa dovesse intendersi per “blocco degli sfratti”, o, più precisamente, per “sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili, anche ad uso non abitativo” e si è delineata la seguente tesi interpretativa, basata sul presupposto per il quale: l’esecuzione forzata per consegna o per rilascio (oggetto di sospensione) inizia con la notifica del preavviso di rilascio al debitore esecutato, di cui all’art. 608 c. p.c.
Ne consegue che, a far tempo dal 17 marzo 2020 (data di entrata in vigore del “Cura Italia) e fino al 30 giugno 2021 non potrà procedersi alla notifica di alcun atto di preavviso di rilascio, fondato su un titolo giudiziale.
Tantomeno potrà effettuarsi alcun accesso con l’ufficiale giudiziario per l’esecuzione del rilascio, mentre nulla vieta né di iniziare un giudizio finalizzato ad ottenere la convalida di sfratto, né di notificare un atto di precetto, posto che trattasi di atto estraneo all’esecuzione, ancorché prodromico a questa.
Se, poi, prima del 17 marzo 2020 è stato notificato all’esecutando l’atto di precetto di rilascio, ma non si è proceduto alla notifica del preavviso, il decorso del termine di efficacia del precetto rimane sospeso per tutta la durata della sospensione ed alla cessazione della sospensione esso riprenderà a decorrere dal giorno in cui si era arrestato.
Infine, se prima del 17 marzo 2020, è stato notificato all’esecutato l’atto di preavviso di rilascio ex art. 608 c. p. c., con indicazione di una data di accesso compresa nel periodo di sospensione, è chiaro che all’accesso si potrà procedere, solo previa notifica di un nuovo preavviso di rilascio, in una data successiva alla cessazione della sospensione
Lo stato della Giurisprudenza.
Il “blocco degli sfratti”, nel senso sopra delineato di sospensione dell’esecuzione per consegna o per rilascio, ha determinato profondi “disorientamenti giurisprudenziali”, in quanto le pronunce dei Giudici di merito –chiamati a valutare l’incidenza sulle morosità dei locatari dell’effetto pandemico- hanno evidenziato due orientamenti profondamente differenti e, per certi versi, inconciliabili.
Un primo orientamento, decisamente restrittivo, fa capo all’Ordinanza del Tribunale di Roma, VI Sez. Civ., n. 45986 del 16 dicembre 2020, in virtù della quale il Giudice, a conclusione della fase introduttiva di un giudizio per convalida di sfratto per morosità, con contestuale opposizione dell’intimata, ha disposto il rilascio di un immobile locato a fini commerciali in danno di una società che si era resa morosa per diverse mensilità.
L’emergenza sanitaria, osserva il Tribunale, non è di per sé, condizione legittimante l’inadempimento del conduttore.
In particolare, ad avviso del Giudicante, la limitazione dei diritti fondamentali che si è verificata in epoca pandemica, non è riconducibile alla diffusione del virus ed alla pur innegabile emergenza sanitaria, ma all’emanazione di una serie di atti amministrativi – i DPCM- i quali avrebbero addirittura eliminato alcuni dei fondamentali diritti dell’Uomo riconosciuti dalla Costituzione e dalle Convenzioni Europee.
Secondo l’opinione del Giudice capitolino, i DPCM, avendo natura amministrativa e non forza di legge, non avrebbero assolutamente potuto limitare libertà costituzionalmente garantite.
Trattasi, pertanto, di atti certamente incostituzionali, in quanto emessi su un presupposto –l’esistenza di un rischio sanitario- che non rientra tra gli eventi legittimanti la dichiarazione di stato d’emergenza, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera c) del D. Lgs. 1/18, il quale prevede espressamente che si possa procedere alla dichiarazione del citato stato d’emergenza: “solo per eventi calamitosi di origine naturale o riconducibili all’attività dell’uomo.”
Da ciò, inevitabilmente, discende che la parte locataria, a fronte di atti amministrativi illegittimi, che ne hanno compresso la libertà personale e lavorativa, avrebbe dovuto attivarsi per procedere all’impugnazione –consentita- degli stessi onde rimuoverne, alla radice, i pregiudizi conseguenziali.
Prestando, viceversa acquiescenza ad essi, deve sopportarne le conseguenze negative, anche in termini economici.
Con l’Ordinanza del Tribunale di Trani del 01.09.2020, si afferma il principio diametralmente opposto, in quanto il Magistrato non ha inteso disporre l’immediato rilascio dell’immobile da parte del conduttore moroso, sulla base del disposto dell’art. 91 del D.L. 18/2020 –il c.d. Decreto Cura Italia- il quale ha stabilito che, ai fini di escludere la responsabilità del conduttore che si sia reso moroso nel pagamento dei canoni, occorre valutare sempre gli effetti che il rispetto delle prescrizioni imposte dalla decretazione d’urgenza da parte sua, ha avuto sulla capacità reddituale del medesimo.
In altre parole, sarà possibile escludere la responsabilità dell’obbligato –come nel caso di specie- solo quando egli abbia dimostrato che, per effetto immediato e diretto del rispetto delle norme restrittive contenute nei vari DPCM, non abbia potuto effettivamente lavorare e produrre il fatturato abituale, con ricadute negative nel pagamento del canone di locazione.
Tale pronuncia pare ispirarsi alla della Relazione n. 56 dell’8 luglio 2020, redatta dall’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione col chiaro intento di fornire indicazioni nomofilattiche nell’interpretazione dell’intera normativa d’urgenza, in materia di sfratti per morosità, nella parte in cui recita: “Spetta al debitore (…) per slegarsi dalla responsabilità, (…) in linea con la previsione dell’art. 1218 c. c., offrire la prova circostanziata del collegamento eziologico fra inadempimento e causa impossibilitante rappresentata dal rispetto delle prescrizioni di contenimento dell’epidemia.”
Nello stesso senso, ricordiamo, tra le tante, la Sentenza n. 617/2020 emessa dal Tribunale di La Spezia , l’Ordinanza del Tribunale di Milano del 07 dicembre 2020, nonché l’Ordinanza del Tribunale di Venezia del 28 luglio 2020 , le quali sembrano far propendere l’ago della bilancia verso l’affermazione di una posizione “più morbida”, nella valutazione dell’inadempimento del conduttore alla luce dell’effetto pandemico, anche in considerazione di due recentissime risposte ad altrettanti interpelli fornite dall’Agenzia delle Entrate: le nn. 5 e 6 del 05 gennaio u.s.
In tali pronunce, si legge chiaramente che la quarantena imposta dal Covid 19 e le conseguenti interruzioni dei lavori di ristrutturazione, possono considerarsi idonee ad impedire la decadenza dal beneficio della detrazione degli interessi passivi del mutuo acceso per l’acquisto della casa, per un importo non superiore a 4mila euro, a condizione che questa sia adibita a dimora abituale entro un anno dall’acquisto oppure, in caso di ristrutturazione, nel termine di due anni dallo stesso evento.
Conclusioni.
Siamo ben consapevoli che le risposte fornite agli interpelli da parte dell’Agenzia delle Entrate non hanno valore di legge (si veda Cass. Civ., Sentenza n. 6185 del 10.03.2017), non sono vincolanti né per il contribuente, per né il giudice, non costituendo fonte di diritto.
D’altra parte, però, siamo altrettanto consapevoli della rilevanza che le stesse assumono nella pratica quotidiana, ben potendo incidere, in base al loro contenuto, sull’assetto patrimoniale dei singoli soggetti.
Come comporre questo innegabile vulnus attualmente esistente nel nostro ordinamento giuridico? Come conciliare la posizione di chi, in piena pandemia, ha subito l’ordine di rilascio dell’immobile, con quella, diametralmente opposta, di chi, invocando la medesima esimente, ossia l’emergenza sanitaria, ha ottenuto tutela giudiziaria o è stato ammesso a godere di importanti benefici fiscali?
Non abbiamo risposte da fornire, né soluzioni certe. Siamo, al contrario, assaliti da complessi dubbi interpretativi e chiediamo una risposta giuridicamente sostenibile.
Nell’attesa non possiamo non notare, senza peraltro prendere alcuna posizione in merito, che di fatto, si è determinata una situazione fortemente squilibrata nel rapporto tra i proprietari e gli inquilini, posto che mentre per i secondi sono previste diverse forme di agevolazioni, per i primi non vi è allo stato alcun rimedio ad una situazione di stallo che vede l’unità immobiliare occupata e, di fatto, tassata, ma non altrettanto produttiva di reddito.