Civile convivenza in condominio: norme, sentenze e poteri dell’amministratore
[A cura di: avv. Emanuele Bruno – www.studiobruno.info] Il condominio esiste quando unità private condividono, hanno in comune, usano insieme, alcuni spazi.
Quando le proprietà sono contigue è inevitabile che si creino servitù che possono espandere o ridurre l’estensione del singolo diritto di proprietà. Si pensi ad un giardino di pertinenza di una unità immobiliare su cui affacciano gli immobili costruiti sulla verticale superiore. Il proprietario del giardino espanderà il godimento della sua proprietà, per esempio organizzando feste, con evidente interessamento (o riduzione di godimento) delle proprietà superiori.
Il condominio, è ente all’interno del quale coesistono il diritto di usare la proprietà privata con la gestione-uso della proprietà comune.
La proprietà comune
La proprietà comune, individuata dall’art. 1117 c.c., attiene tutte le parti che sono poste a servizio della proprietà privata e/o quelle parti non assegnate al singolo (una sala comune condominiale non è essenziale alla vita del condominio ma può essere, per titolo, destinata alla proprietà comune).
La proprietà comune deve essere (artt. 1117 e s.s. c.c.) destinata all’uso convenuto, la modifica della destinazione d’uso avverrà con metodo assembleare e nel rispetto delle maggioranze di legge. Lo stesso criterio regola la possibilità di trasformare la proprietà comune in privata o viceversa.
Il diritto di usare la parte comune, sebbene proporzionato all’unità immobiliare di proprietà privata (art. 1118 c.c.), può espandersi purché non si alteri la destinazione d’uso e non si impedisce agli altri partecipanti di farne parimenti uso (art. 1102 c.c.).
Alterazione della cosa comune
La nozione di uso e godimento comprende qualsiasi facoltà del partecipante di compiere atti materiali sulla cosa comune, anche quando comportino una utilità immediata senza produrre cose nuove o utilità maggiori (Bollini-Confotini, Codice Civile Commentato, ed. UTET 2009, p. 1978).
Spiega la S.C. che l’alterazione o la modificazione della destinazione del bene comune si ricollega all’entità e alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, giacché l’utilizzazione, anche particolare, della cosa da parte del condomino è consentita quando la stessa non alteri l’equilibrio fra le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari e non determini pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti di costoro – Cass. n. 24720/2019.
L’alterazione dell’equilibrio esiste quando l’uso più intenso sottrae il bene alla potenzialità d’uso paritario. Il partecipante alla comunione può usare la cosa comune per un suo fine particolare, con la conseguente possibilità di ritrarre dal bene una utilità specifica aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate dagli altri, con il limite di non alterare la consistenza e la destinazione di esso, o di non impedire l’altrui pari uso – Cass. Civ. 15523/2011.
Conseguentemente, laddove il bene comune non consenta il contemporaneo godimento da parte di tutti, va escluso o comunque disciplinato l’uso della cosa comune – Tribunale di Chieti, 12.05.2008.
Applicazioni pratiche in condominio
- Tavolini e sedie. Esclusa la legittimità dell’installazione e utilizzazione esclusiva, da parte di un condomino titolare di un esercizio commerciale, di fioriere, tavolini, sedie e di una struttura tubolare con annesso tendone – Cass. Civ. n. 17208/2008.
- Rampe di accesso. Esclusa la liceità della collocazione, da parte di un condomino, di scivoli permanenti sopra un marciapiede per permettere l’accesso di autovetture al locale ad uso negozio di sua proprietà, dal medesimo utilizzato come box auto, così immutando la destinazione del marciapiede, avente per sua natura come funzione tipica quella di consentire il sicuro transito dei pedoni – Cass. n. 12310/2011.
- Condizionatore. L’installazione da parte di alcuni condòmini di un voluminoso condizionatore sul muro perimetrale comune non integra un’innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c.., ma una modifica all’uso del muro comune, in quanto tale soggetta non solo alle limitazioni di cui all’art. 1102, primo comma, c.c., ma anche al divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato. Tale divieto infatti – per quanto previsto in materia di innovazioni dall’art. 1120, secondo comma, c.c. – si estende in via analogica anche alle modificazioni, essendo informato alla medesima ratio legis – Cass. Civ. 12343/2003.
- Occupazione non stabile delle parti comuni. È escluso che esorbiti dal corretto uso della cosa comune la transennatura e l’occupazione periodica di un portico con legna da parte di un condomino, in assenza di prova del carattere stabile dell’occupazione e di un apprezzabile pregiudizio per gli altri condòmini – Cass. 7652/1994.
- Apertura nuove porte. Nel caso di edifici in condominio, i proprietari dei singoli piani possono utilizzare i muri comuni, nella parte corrispondente agli appartamenti di proprietà esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute verso aree comuni, con ciò esercitando la facoltà loro accordata dall’art. 1102 c.c., a condizione che tale iniziativa non pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio, non modifichi la destinazione della parte comune e non diminuisca sensibilmente la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori – Tribunale di Napoli, 16.05.2017. Illegittima la realizzazione di alcuni fori di porta o di finestra posti sulle facciate dell’edificio, i quali avevano alterato la simmetria dei fori preesistenti, producendo un risultato esteticamente sgradevole – Cass. 14607/2012.
- La proprietà privata. All’interno dell’immobile privato, anche in condominio, devono essere tutelate e garantite le libertà individuali così come regolamentate dalla legge. All’interno della propria abitazione e/o del proprio spazio, il singolo condomino è libero di far quello che ritiene purché rispetti le leggi dello stato e non leda il diritto altrui.
- Rumori e fumi. Il condomino può svolgere attività rumorose purché contenute nei limiti di tollerabilità che, come esposto in precedente articolo, devono essere misurate e/o documentate ove se ne voglia accertare l’illegittimità.
- Importante è tollerare. La disposizione dell’art. 844 c.c. è applicabile anche negli edifici in condominio nell’ipotesi in cui un condomino, nel godimento della propria unità immobiliare o delle parti comuni, dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condòmini.
Nell’applicazione della norma deve aversi riguardo, tuttavia, per desumerne il criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali e alla destinazione assegnata all’edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. Dalla convivenza nell’edificio, tendenzialmente perpetua (come si argomenta dall’art. 1119 c.c.), scaturisce talvolta la necessità di tollerare propagazioni intollerabili da parte dei proprietari dei fondi vicini; per contro, la stessa convivenza suggerisce di considerare in altre situazioni non tollerabili le immissioni, che i proprietari dei fondi vicini sono tenuti a sopportare – Cass. n. 20555/2017.
- Attività vietate. Le attività illecite o soggette a particolare autorizzazione restano tali anche in condominio, pertanto, non potranno essere svolte. Limitazioni particolari potrebbero essere presenti nel regolamento: non di rado si trovano divieti di esercitare, all’interno del condominio, attività astrattamente lecite (es. divieto di esercitare attività medicali, commerciali, di ricezione turisti etc.)
- Birreria. In ragione delle determinazioni adottate dai privati nell’ambito della loro autonomia contrattuale, qualora il regolamento di condominio faccia divieto di svolgere nei locali di proprietà individuale determinate attività, non occorre accertare, al fine di ritenere l’attività stessa illegittima, se questa possa dar luogo o meno ad immissioni vietate a norma dell’art. 844 c.c., con le limitazioni ed i temperamenti in tale norma indicati, in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono legittimamente imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche diverse o maggiori rispetto a quelle stabilite dalla citata norma, e l’obbligo del condominio d’adeguarsi alla norma regolamentare discende in via immediata e diretta “ex contractu” per il generale principio espresso dall’art. 1372 c.c. (Nella specie trattavasi dell’apertura di birreria con musica dal vivo nonostante il divieto posto dal regolamento contrattuale di utilizzare porzioni di immobile di proprietà individuale per usi contrari alla tranquillità della collettività condominiale) – Cass. n. 4963/2001.
Cosa può fare l’amministratore?
L’amministratore di condominio – è un dato di fatto – non è dotato di superpoteri capaci di risolvere contrasti che, spesso, mettono in difficoltà anche i tribunali.
Certamente potrà esercitare le sue doti da mediatore per regolare i conflitti; potrà attivarsi affinché il condominio adotti un regolamento atto a disciplinare le parti comuni; ha autonomia d’azione nei casi in cui si rilevino comportamenti contrari alla legge o contrari ai divieti posti dal regolamento.
In tutti gli altri casi, invece, non potrà fare altro che attivare l’assemblea condominiale affinché discuta ed individui soluzioni.