[A cura di: avv. Andrea Marostica – www.studioandreamarostica.it] L’art. 1133 c.c. stabilisce che i provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri sono obbligatori per i condòmini e che contro di essi è ammesso ricorso all’assemblea, senza pregiudizio del ricorso all’autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall’art. 1137 c.c..
La disposizione alla quale l’art. 1133 c.c. rimanda, ovvero l’art. 1137 c.c., è dettata in tema di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea ed afferma (per quanto qui interessa) che contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio può essere adita l’autorità giudiziaria per chiederne l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni.
L’art. 1133 c.c., come visto, afferma l’obbligatorietà per tutti i condòmini dei provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri. Che sia così – è stato osservato (1) – è naturale: innanzi tutto l’amministratore è stato nominato dall’assemblea (o dal giudice che ha poteri sostitutivi di essa), cioè dal condominio; in secondo luogo esso è normalmente organo di questo ed è, nell’orbita dei suoi poteri, la viva voce dell’ente, i componenti del gruppo come tali ne sono necessariamente soggetti.
Ciò premesso, la disposizione in commento parla in modo generico di “provvedimenti presi dall’amministratore”, senza specificare cosa debba rientrare in tale nozione. Non tutti i provvedimenti riconducibili sic et simpliciter alle attribuzioni dell’amministratore devono esservi inclusi. È stato infatti sottolineato (2) che tra questi rientrano anche quei provvedimenti necessariamente dovuti, sempre che vi sia stata in precedenza una certa determinazione del volere di un altro soggetto, ovvero l’assemblea, rispetto alla quale l’adozione del provvedimento esplica una funzione meramente attuativa. Solo se e quando l’amministratore risponde di un potere discrezionale in ordine all’adozione del provvedimento e delle sue modalità, potrà dirsi che, alla base dell’atto, vi sia effettivamente una libertà di determinazione dello stesso, nel senso che lo può emettere e che il provvedimento risale alla sua personale scelta.
Dal combinato disposto degli artt. 1133 e 1137 c.c. deriva un duplice sistema di impugnazione. Il ricorso all’assemblea è ammesso per qualsiasi provvedimento dell’amministratore. Il ricorso all’autorità giudiziaria è ammesso soltanto per i provvedimenti contrari alla legge o al regolamento condominiale e nel termine perentorio di trenta giorni dalla data in cui il condomino ne abbia avuta notizia.
La duplicità dei rimedi è stata spiegata (3) con la considerazione che ogni provvedimento illegittimo dell’amministratore può importare una violazione degli obblighi imposti dal rapporto di mandato, ma può importare anche la violazione di un obbligo imposto dalla legge o dal regolamento di condominio; nell’ipotesi in cui l’amministratore abbia emesso un provvedimento che, in base alle clausole del contratto di mandato, non avrebbe potuto emettere, ma che in sé non è contrario ad alcuna disposizione del regolamento di condominio e della legge, l’assemblea è arbitra di revocare il mandato od annullare il provvedimento, ma può anche ratificarlo, rendendolo in tal modo obbligatorio per tutti i condòmini.
Al fine di individuare l’impugnazione esperibile, occorre dunque distinguere due ipotesi.
Più precisamente, con riferimento all’ultimo caso, è possibile: ricorrere all’assemblea e successivamente, qualora il gruppo non ritenga di deliberarne l’annullamento, al giudice; ricorrere direttamente al giudice, omettendo il passaggio assembleare.
Il legislatore ha inteso lasciare alla discrezionale valutazione del condomino la scelta tra il ricorso all’assemblea ed il ricorso immediato all’autorità giudiziaria: è stato spiegato (4) trattarsi di scelta ovviamente determinata dalla preventiva considerazione della manifesta o presuntivamente prevedibile opinione dei condòmini: ove tale considerazione induca il condomino a ritenere che l’assemblea non accoglierà l’opposizione, egli proporrà direttamente ricorso all’autorità giudiziaria.
La giurisprudenza di legittimità (5) concorda nel ritenere che il diritto del condomino di rivolgersi all’autorità giudiziaria non sia subordinato al preventivo ricorso all’assemblea, poiché la sede naturale per risolvere le controversie – soprattutto se venga lamentata la violazione di un diritto e non l’incongruo uso del potere discrezionale – è avanti al giudice.
Per converso (6), è stato deciso (7) che il ricorso all’autorità giudiziaria, dimostrando che il condomino dissenziente non ha inteso proporre nella sede assembleare un dibattito al fine di un ripensamento in ordine alla decisione adottata dall’amministratore, ha carattere assorbente ed esclude quindi il ricorso all’assemblea.
Si è evidenziato (8) che lo strumento assicurato al singolo condomino dall’art. 1133 c.c. lascia impregiudicata la possibilità (introdotta dalla riforma del 2012) del ricorso all’autorità giudiziaria per la revoca dell’amministratore ove la sua condotta configuri una grave irregolarità (art. 1129, co, 11, c.c.), così come la possibilità, nelle ipotesi di gravi irregolarità fiscali e di mancata apertura ed utilizzazione di uno specifico conto corrente condominiale, di chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione e revocare il mandato all’amministratore e, ove l’assemblea non deliberi la revoca, di rivolgersi all’autorità giudiziaria.
La discussione parlamentare sulla legge di riforma del condominio edilizio aveva affrontato il nodo problematico dell’inerzia o della condotta omissiva nell’amministrazione (9). Era stata avanzata la proposta di inserire un co. 2 nell’art. 1133 c.c., con il quale si disponeva che “Ove non si prendano provvedimenti per l’amministrazione delle parti comuni, ciascuno dei condòmini, previa diffida all’amministratore o in mancanza a tutti gli altri condòmini, può ricorrere al tribunale che provvede in camera di consiglio. Il tribunale può anche autorizzare l’esecuzione degli interventi opportuni e la ripartizione delle spese”. Dal testo poi approvato in via definitiva è stata espunta questa modifica, sì che il dettato dell’art. 1133 c.c. è rimasto invariato.
Note
(1) BRANCA, Comunione. Condominio negli edifici, in Commentario al codice civile, diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, 613. (2) TERZAGO, Il condominio, Milano, 2010, 337. (3) SALIS, Il condominio negli edifici, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, Torino, 1950, 224. (4) TRIOLA, Il condominio, Milano, 2007, 614. (5) Cass. civ., 8 marzo 1977, n. 960; Cass. civ., 21 marzo 1974, n. 804. (6) LAZZARO-STINCARDINI, L’amministratore del condominio, Milano, 1982, 173. (7) Cass. civ., 4 agosto 1950, n. 2353. (8) COLONNA, Art. 1133 c.c., in InPratica Immobili, Codice Commentato, Milano, 2015. (9) COLONNA, cit.