[A cura di: Antonietta Strada, mediatore civile] Il condominio può essere considerato consumatore? E come deve comportarsi in una procedura di risoluzione alternativa delle controversie?
Nulla esplicitando la normativa in proposito, occorre analizzare alcune statuizioni giurisprudenziali. L’interpretazione maggioritaria fornisce una risposta affermativa a detto quesito, con la conseguenza che se un amministratore di condominio conclude un contratto con un professionista (per esempio di assicurazione oppure di appalto con un imprenditore) è applicabile la tutela prevista dal codice del consumo in favore del condominio.
L’art. 3 comma 1 del Codice del consumo definisce il professionista e il consumatore: il primo come la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o profesionale, ovvero un suo intermediario (lett. C); il consumatore come la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta (lett. A).
A prima vista, dunque, il condominio non parrebbe configurabile come consumatore, in quanto non è persona fisica. Essendo, però, esso ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, non è possibile considerarlo parte del contratto. L’amministratore, in effetti, agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condòmini, i quali devono essere considerati consumatori poiché sono persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale ed è in capo a questi ultimi che ricadono direttamente gli effetti del contratto: gli effetti dell’attività contrattuale compiuta dall’amministratore vanno sempre riferiti ai singoli condòmini, essendo irrilevante che il contratto sia stato concluso dall’amministratore.
Quindi «al contratto concluso con un professionista da un amministratore di condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, agendo l’amministratore stesso come mandatario con rappresentanza dei singoli condòmini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale» (per tutto quanto sopra, si vedano Cass., ord. 22.05.2015 n.10679, Trib. Milano, sent. 21.07.2016 n. 9190, Cass., 24.06.2001 n. 10086).
Qualora dunque i condòmini siano consumatori, si applicheranno le tutele previste dal codice del consumo nei confronti della parte debole del rapporto contrattuale, anche quando il contratto sia stato concluso da un amministratore di condominio: per esempio la tutela rafforzata dalla nullità delle clausole vessatorie, ossia clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore uno squilibrio significativo dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto concluso col professionista con moduli o formulari in serie (artt. 33 e 34 comma 5 Codice consumo).
Seguendo tale interpretazione giurisprudenziale, quindi, quando il condominio è composto esclusivamente da persone fisiche rientranti nella definizione del sopra citato art. 3 Codice consumo, a esso si applicano le tutele del consumatore.
Esiste, però, l’eventualità in cui i condomini non siano persone fisiche ma, per esempio, persone giuridiche oppure professionisti o imprenditori.
A tal proposito, secondo parte della dottrina, occorre valutare volta per volta se i vari condòmini siano consumatori, distinguendo il condominio composto interamente da consumatori da quello composto interamente da professionisti (ne sono classici esempi il centro commerciale e il condominio composto di soli uffici), al quale non è applicabile la tutela rafforzata del codice del consumo. In un condominio, poi, in cui vi sia compresenza fra consumatori e professionisti, tale filone di pensiero ritiene applicabile il criterio di prevalenza per verificare quale sia la normativa applicabile.
A queste tesi dottrinali si oppone una parte della giurisprudenza che, ai fini dell’applicabilità del codice del consumo in questo specifico caso, non richiede alcun rapporto di prevalenza di condòmini persone fisiche poiché l’amministratore di condominio stipula contratti di utenza o manutenzione per conto dei condòmini agendo per scopi estranei all’attività professionale degli stessi (Trib. Ravenna, sent. n. 711, 27.09.2017). Vale la pena precisare, in effetti, che la Corte di Giustizia europea ha esplicitato che per capire se si sia in presenza della figura di consumatore non bisogna riferirsi alla situazione soggettiva di un soggetto, ma valutare la sua posizione in un determinato contratto e la natura e la finalità di quest’ultimo (Corte di Giustizia punto 16 di sent. 03.07.1997 C-269/95, richiamato nel punto 29 di sent. 25.01.2018 C-498/16). Conseguentemente un medesimo soggetto è consumatore in alcuni casi e professionista in altri.
Alla medesima stregua, la Corte di Cassazione ha sottolineato che il professionista può essere considerato consumatore solo allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio della propria attività (Cass., ord. 12.03.2014 n. 5705; Cass., sent. 14.07.2011 n. 15531; Cass., ord. 05.05.2015 n.8904).
In Italia il D.Lvo 130/2015 ha recepito la Direttiva per i consumatori 2013/11/UE prevedendo specifiche procedure ADR (Alternative Dispute Resolution) attivabili per risolvere con minori costi, velocemente ed efficacemente le controversie tra i consumatori e imprese su contratti di vendita di beni e servizi senza ricorso all’autorità giudiziaria. Così come la mediazione civile e commerciale, anche l’ADR consumatori è un modo di risoluzione delle controversie in cui le parti vengono accompagnate da un terzo imparziale (che in questo caso si chiama conciliatore) nel tentativo di comporre la lite.
L’ADR consumatori è facoltativa, ma in alcune materie (per esempio telefonia, internet, comunicazioni, energia elettrica, gas) è obbligatoria, e in tal caso occorre rivolgersi ad un Organismo accreditato dalle Autorità di settore (AGCOM per telefonia, internet e telecomunicazioni; ARERA per energia elettrica e gas) per tentare di trovare un accordo prima di potersi eventualmente rivolgere al giudice.
Stabilito dunque che, almeno in alcune ipotesi, il condominio è, secondo la giurisprudenza maggioritaria, configurabile come consumatore, possiamo dire che l’amministratore deve rivolgersi ad un Organismo accreditato per l’ADR consumatori quando sia da risolvere una controversia di consumo e l’ADR consumatori sia obbligatoria (condizione di procedibilità): l’art. 23 D.Lvo 28/2010 relativo alla mediazione civile fa salve le disposizioni che prevedono procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione (si pensi appunto ai servizi di telefonia, fornitura di energia e gas, eccetera), che quindi, devono essere esperiti in luogo della mediazione civile e commerciale. In questi casi l’assistenza dell’avvocato non è obbligatoria.
Vediamo cosa accade quando, invece, l’amministratore si trova di fronte a una controversia in materia di consumo per la quale l’ADR consumatori non sia condizione di procedibilità (quindi, il condominio ha non l’obbligo ma la facoltà di attivare un’ADR per il consumo) che rientri contemporaneamente nel campo d’applicazione della mediazione civile e commerciale in una delle materie in cui quest’ultima sia condizione di procedibilità, quindi obbligatoria (per cui il condominio ha l’obbligo di presentare istanza di mediazione di cui all’art. 5 D.Lvo 28/2010 relativo alla mediazione civile e commerciale). Si pensi ai contratti assicurativi e bancari.
A tal proposito, la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato che la Direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori «dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale … che prevede il ricorso a una procedura di mediazione, nelle controversie indicate all’art. 2 par. 1 di tale direttiva, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa a queste medesime controversie, purché un requisito siffatto non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario. La medesima direttiva dev’essere invece interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale … la quale prevede che, nell’ambito di una mediazione siffatta, i consumatori debbano essere assistiti da un avvocato e possano ritirarsi da una procedura di mediazione solo se dimostrano l’esistenza di un giustificato motivo a sostegno di tale decisione» (Corte di Giustizia, 14.06.2017 C-75/16).
In altre parole, la normativa italiana che prevede, in alcuni casi, l’accesso preventivo alla mediazione obbligatoria, è compatibile con la disciplina UE relativa ai consumatori: quando una controversia in materia di consumo rientri nel campo d’applicazione della mediazione civile e commerciale obbligatoria, la parte ha l’obbligo di depositare un’istanza di mediazione, ma la normativa nazionale non può imporre al consumatore di essere assistito obbligatoriamente da un avvocato, inoltre il consumatore può ritirarsi dalla procedura, una volta attivata, senza dover fornire giustificato motivo.
Tutto ciò vale anche per il condominio ma, si badi bene, solo ed esclusivamente nel caso in cui quest’ultimo possa essere configurato come consumatore nella lite che lo vede coinvolto.