[A cura di: Erio Iurdana – presidente Confappi Torino] A norma dell’articolo 1137 del Codice civile, «le deliberazioni prese dall’assemblea (…) sono obbligatorie per tutti i condòmini». Di conseguenza, sono tenuti ad accettare le decisioni non solo i condòmini che hanno votato a favore, ma anche quelli che si sono astenuti o erano assenti.
Ciò è sempre valido, a meno che le delibere si scontrino con la legge o con le disposizioni contenute nel regolamento di condominio. In questi casi, ciascun condomino, al di là del voto espresso in assemblea, è legittimato a impugnare la delibera dinanzi all’autorità giudiziaria.
La differenza sta nelle tempistiche:
Lo stesso articolo 1137 dispone che «l’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria. L’istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell’inizio della causa di merito non sospende né interrompe il termine per la proposizione dell’impugnazione della deliberazione. Per quanto non espressamente previsto, la sospensione è disciplinata dalle norme di cui al libro IV, titolo I, capo III, sezione I con l’esclusione dell’articolo 669-octies, comma 6 del Codice di procedura civile».
Le delibere classificate come “non valide” si distinguono in nulle o annullabili.
Secondo la Corte di Cassazione (sentenza 7 marzo 2005, n. 4806) le prime sono «le delibere:
Gli stessi giudici supremi hanno invece definito «annullabili le delibere:
A differenza di quelle annullabili, le delibere nulle possono essere impugnate da ciascun condomino in qualsiasi momento, senza limitazioni temporali. Inoltre, non possono essere sanate ma soltanto sostituite con altre delibere che devono essere regolarmente approvate dall’assemblea. Sempre per la Suprema Corte (sentenze n. 31/2000 e 1292/2000) i casi di nullità possono essere ricondotti alla “impossibilità e alla illiceità dell’oggetto”, mentre per tutti gli altri si è in presenza di ipotesi di mera annullabilità.
Un esempio concreto può essere d’aiuto. Con la sentenza 25 gennaio 2017, n. 1898 la Cassazione ha dichiarato nulla una delibera approvata dall’assemblea di condominio riguardante la modifica dei criteri legali di ripartizione delle spese comuni.
Richiamando la sentenza delle Sezioni Unite 7 marzo 2005, n. 4806, in relazione alla ripartizione degli oneri straordinari per i posti auto condominiali, i giudici hanno osservato che era stato introdotto un autonomo criterio di liquidazione, in deroga ai criteri di ripartizione previsti dall’articolo 1123, comma primo, del Codice civile, secondo cui la ripartizione va eseguita in misura proporzionale al valore della proprietà, salvo diversa pattuizione, mentre, se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese vanno ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può farne.
«È pacifico che è nulla, anche se addirittura assunta all’unanimità, la delibera che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese (Cassazione 23 marzo 2016, n. 5814) e che costituisce innovazione vietata, ai sensi dell’articolo 1120, comma 2 del Codice civile, l’assegnazione in via esclusiva e per un tempo indefinito, di posti auto all’interno di un’area condominiale, in quanto determina una limitazione all’uso ed al godimento che gli altri condòmini hanno diritto di esercitare sul bene comune (Cassazione 27 maggio 2016, n. 11034)».
Con la sentenza 23 gennaio 2014, n. 1439 la Cassazione ha, invece, dichiarato annullabile la delibera di ripartizione spese basata su una tabella millesimale di un altro stabile. Per i giudici «la delibera assunta nell’esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall’articolo 1135, numeri 2) e 3) del Codice civile, relativa alla ripartizione in concreto tra i condòmini delle spese condominiali, ove, in mancanza di tabelle millesimali del condominio, adotti un criterio provvisorio, deve considerarsi annullabile, non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell’articolo 1123 del Codice civile e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza di trenta giorni previsto dall’articolo 1137, ultimo comma, del Codice civile ».
Ne consegue che il condomino che si oppone a tale ripartizione è legittimato a impugnare, entro 30 giorni, la decisione assunta dall’assemblea.
Un altro caso di annullabilità si configura qualora i condòmini non ricevano l’avviso di convocazione all’assemblea condominiale, che per legge deve essere recapitato con almeno cinque giorni di anticipo rispetto alla prima seduta, termine che decorre dalla data di ricezione e non dall’invio della comunicazione. Come stabilito dalla Cassazione (sentenza 5 maggio 2004, n. 8493): «la mancata comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale ad un condomino, in quanto vizio del procedimento collegiale, comporta non già la nullità, ma l’annullabilità della delibera che, ove non impugnata nel termine di trenta giorni (dalla comunica zione per i condomini assenti e dalla approvazione per quelli dissenzienti), è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio».
In conclusione, è utile precisare come il giudice chiamato a esprimersi sulla validità di una delibera assembleare impugnata da uno o più condòmini, non sia legittimato a entrare nel merito della questione, dovendosi limitare soltanto a verificare la conformità alle leggi o all’eventuale regolamento di condominio.
Sul punto, il Tribunale di Milano (sentenza 16 gennaio 2017, n. 435) ha osservato che «il sindacato dell’autorità giudiziaria non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo della discrezionalità di cui dispone l’assemblea, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità che si estende anche al riguardo dell’eccesso di potere ravvisabile quando la causa della deliberazione sia falsamente deviata dal suo modo d’essere. Anche in tale evenienza, il giudice non controlla l’opportunità o convenienza della soluzione adottata dall’impugnata delibera, ma deve solo stabilire se la delibera sia o meno il risultato del legittimo esercizio dei poteri discrezionali dell’assemblea (Cass. 10199/2012; 14560/2004; 3938/1994; 731/1988)».