Da Milano a Lussemburgo, andata e ritorno.
Tutto nasce innanzi al Tribunale di Milano. La causa trae origine dall’opposizione ad un atto di precetto, proposta da un condominio milanese nei confronti di un fornitore, il quale aveva intimato il pagamento di una ingente somma, sulla base di un accordo raggiunto in sede di mediazione.
Era stato proprio il tribunale meneghino, nella causa poi definita con la sentenza in commento, ad investire la Corte di Giustizia Europea, Prima Sezione, che si pronunciava con la sentenza del 2 aprile 2020, resa nella causa C-329/19.
La corte europea apriva alla possibilità a che gli Stati membri potessero applicare le disposizioni della direttiva che riguarda le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, anche a settori che esulano dall’ambito di applicazione della direttiva stessa. Tuttavia, anche laddove gli Stati membri applichino le norme sul consumatore, ci ha detto la sentenza della Corte di Giustizia Europea, la questione sarà comunque rimessa all’interpretazione dei giudici nazionali.
Dopo la decisione della Corte di Giustizia Europea, la causa è stata riassunta davanti al Tribunale di Milano ed ha portato, infine, alla sentenza n. 7717/2020 oggi in commento. In tempi non sospetti, all’alba della sentenza europea, avevo auspicato cautela in attesa della sentenza del Tribunale di Milano, augurandomi, al contempo, che il giudice milanese non sfuggisse dalla possibilità di affermare principi importanti. E così è stato. Il giudice milanese non solo non ha deluso le aspettative ma, possiamo dirlo, ha superato ogni previsione.
La portata innovativa della sentenza.
Sin dalle prime pagine della corposa sentenza (ben 35 pagine), emerge il richiamo alla giurisprudenza sovranazionale, dalla quale il giudice trae spunto per supportare la sua motivazione. Anche le parti, va detto, hanno avuto un ruolo importante.
Il condominio, in particolare, nell’allegare documentazione “idonea a verificare la concreta qualificabilità del condominio quale consumatore”. Analizzato il titolo (verbale di mediazione) sulla base del quale era stato notificato l’atto di precetto (con considerazioni di assoluto rilievo che meriterebbero ulteriori pagine argomentative), il Tribunale di Milano ha, dapprima, fatto richiamo alla possibilità, indicata nella sentenza della Corte di Giustizia Europea, a che gli Stati Membri possano applicare il codice del consumo (D.Lgs. 206/2005).
In continuità con il principio secondo cui è una possibilità e non un obbligo, che gli Stati Membri applichino la disciplina consumeristica, la sentenza n. 7717/2020 ribadisce “la mancata possibilità di applicare in modo incondizionato la giurisprudenza della Suprema Corte” che ha sino ad oggi affermato che “al contratto concluso con un professionista da un amministratore di condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica di stinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, agendo l’amministratore come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale”. Occorre, dunque, guardare ai condomini ed all’attività svolta nelle unità immobiliari presenti in condominio.
Ma uno sguardo ai condomini ed alle unità immobiliari a loro riferite, non può escludere, evidenzia il Tribunale di Milano, il rischio di “considerare consumatore anche un condominio interamente adibito allo svolgimento di attività commerciali e/o professionali, con conseguente (ingiustificato) indebolimento della tutela dell’imprenditore che con un simile condominio contratti”.
L’attenzione all’attività prevalente.
Occorre, pertanto, analizzare il caso concreto e valutare ed accertare la destinazione degli immobili ricompresi nel condominio. Possiamo allora affermare che può considerarsi “consumatore solo quel condominio che risulti composto da unità immobiliari almeno prevalentemente di proprietà di persone fisiche e da queste ultime utilizzate per scopi esterni all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.
Dalla documentazione depositata dal condominio opponente, emergeva che “solo sei unità immobiliari hanno destinazione di negozio e che le restanti 51 abitazioni sono di proprietà di persone fisiche”. Alla luce di questa prospettazione, il condominio è un consumatore.
I poteri d’ufficio del giudice ed il principio di effettività.
Altro principio di indubbia importanza che emerge dalla lettura della corposa sentenza, è quello del potere/dovere del giudice, nel rilevare d’ufficio la abusività della clausola contenuta nel contratto concluso dal professionista con il consumatore.
Se, si legge in sentenza, la facoltà di esaminare d’ufficio l’illiceità della clausola è in linea con altre sentenze europee, con la sentenza “Faber” (C-497/13) la Corte Europea ha affermato che il giudice nazionale è tenuto, d’ufficio, ad esercitare i poteri tesi a verificare la natura di consumatore, anche quando la parte non abbia rivendicato la qualità di consumatore stesso, fermo il rispetto dei principi di equivalenza ed effettività”.
Nel giudizio definito con la sentenza in commento, il condominio, ad esempio, non aveva, inizialmente, invocato la qualità di consumatore che, tuttavia, è stata richiamata d’ufficio dal Giudice, sulla base del principio di effettività. Quel principio, cioè, che consente di verificare “se l’acquirente possa essere qualificato come consumatore, anche se quest’ultimo non ha espressamente rivendicato questa qualità” (Corte di Giustizia, 4 giugno 2015, C-497/13 Faber). Resta pur sempre inteso, si legge in sentenza, che il consumatore dovrà sempre dichiarare di volersi avvalere della prospettata abusività della clausola.
Il ruolo dell’amministratore.
Si potrebbe obiettare che, pur di fronte a dei condomini consumatori, vi sarebbe la figura professionale dell’amministratore che, in quanto professionista, finirebbe con il compromettere la qualificazione di consumatore. Secondo la difesa del creditore opposto, infatti, se i condomini potrebbero rientrare nella nozione di consumatori, sarebbe la presenza dell’amministratore a precludere tale investitura, atteso che l’amministratore non potrebbe essere considerato un soggetto sprovveduto o privo di conoscenze adeguate a consentirgli di comprendere esattamente il contenuto delle clausole contrattuali sottoscritte. L’affermazione non regge atteso che è “indiscutibile che la parte sostanziale sia il condominio e non l’amministratore”.
La decisione.
Accertata la natura di consumatore del condominio opponente, il giudice è entrato nel merito, accertando la natura vessatoria della clausola contrattuale che stabiliva particolari interessi moratori che andava ricondotta all’art. 33, comma 2, lett. F del codice del consumo e, pertanto, “deve presumersi vessatoria fino a prova contraria”, il cui onere probatorio ricadeva su parte opposta. La complessità della vicenda ha avuto, altresì, ripercussioni in merito alla liquidazione delle spese legali che sono state integralmente compensate dal Giudice in quanto “l’esito del giudizio è stato conseguenza di una (doverosa, per quanto detto) iniziativa officiosa del Tribunale in relazione alla quale si ritengono sussistenti i presupposti della assoluta novità della questione trattata (art. 92, comma 2, cpc)”.
Avv. Fabrizio PLAGENZA
Resp. Dipartimento Casa – Consumerismo no profit