[A cura di: avv. Lorenzo Cottignoli – presidente LAIC, Lega Amministratori Immobiliari Condominiali] Con sentenza n. 7028 del 12.3.2019, la Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, nell’ambito di una più ampia pronuncia, interviene in più punti su alcuni aspetti giuridici rilevanti relativi alla tematica della indennità prevista dall’art. 1127 c.c. nel caso di sopraelevazione dell’edificio.
Come noto, la norma codicistica, prevede che “Chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condòmini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota a lui spettante…” (art. 1127 co. 4 c.c.).
Nella prassi applicativa, confortata dall’insegnamento giurisprudenziale, ed in particolare dalla pronuncia a Sezioni Unite del 30.7.2007 n. 16794 che ha tracciato il perimetro interpretativo della norma, seguito pacificamente ancora oggi dalla giurisprudenza di legittimità, in realtà, l’indennità prevista per la sopraelevazione dell’edificio viene considerata dovuta in ogni ipotesi di costruzione sopra l’ultimo piano, indipendentemente dall’entità dell’innalzamento, nonché in ogni caso in cui vi sia stato un aumento della superficie e della volumetria “per la trasformazione dei locali preesistenti”, indipendentemente dall’innalzamento dell’altezza del fabbricato. Osserva, pertanto, giustamente autorevole dottrina come “anche da una trasformazione interna dell’ultimo piano, che, però, in ogni caso dia luogo ad un aumento delle superfici o delle volumetrie, deriva l’obbligo per il sopraelevante di corrispondere l’indennità agli altri condòmini” (cfr. G. Terzago “Il Condominio”, Milano, 2015, pagg.226 e ss.).
La sentenza in commento si inserisce nel solco giurisprudenziale sopra indicato e afferma pertanto come l’indennità di sopraelevazione “matura allorquando l’ampliamento in altezza dell’edificio o la creazione di una maggior volumetria o superficie della porzione posta all’ultimo piano determini un aumento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni e un maggior utilizzo di queste ultime da parte del condomino che abbia realizzato la sopraelevazione”.
Nel definire così la natura dell’indennità, la Suprema Corte chiarisce come la stessa “trova fondamento in un’ipotesi di responsabilità da atto lecito” in capo al proprietario dell’ultimo piano dell’edificio che abbia “aumentato il proprio diritto sulle parti comuni dell’edificio”.
La liquidazione di tale indennità, insegna il Giudice della nomofilachia, non può concorrere con una parallela richiesta risarcitoria, perché comprende in sé un giudizio di liceità dell’opera di sopraelevazione: invero, “sebbene non includa, neppure implicitamente, la richiesta risarcitoria derivante dalla compromissione statica o architettonica dell’edificio, ovvero dalla diminuzione di aria e luce ai piani sottostanti, azione che origina, al contrario, dal fatto illecito dei singoli ex art. 2043 c.c., tuttavia implica un giudizio di liceità dell’opera che, ove eseguita, non legittima ulteriori pretese risarcitorie. In altri termini, l’azione volta al pagamento dell’indennità ex art. 1227 c.c. suppone l’accertata inesistenza dei presupposti applicativi dell’art. 2043 c.c.”
All’obbligazione di pagamento dell’indennità, inoltre, va riconosciuta natura personale, e non propter rem, di talché essa non può trasmettersi al nuovo proprietario del bene, ma sorge in capo al proprietario del bene al momento del completamento della sopraelevazione e non si trasmette ai suoi aventi causa.
L’obbligazione, altresì, mantenendo la propria natura personale e non reale, sorge a favore dei singoli condòmini che rivestivano tale qualità nel medesimo momento in cui l’obbligazione sorgeva: invero, insegna il Giudice delle Leggi, “valendo detta indennità come corrispettivo del valore dell’area che l’autore della sopraelevazione sottrae agli altri comproprietari, è solo dal momento in cui l’opera è realizzata che si produce una perdita di utilità e di sfruttamento da parte degli altri condòmini, poiché è solo in tale momento che viene ad esser ridotto il diritto di comunione di questi ultimi sull’area edificabile”.
Trattandosi di un credito personale a favore dei singoli condòmini, gli stessi – senza necessità di espressa delibera assembleare – vi potranno rinunciare singolarmente.
Quanto alla decorrenza di interessi moratori sulle somme costituenti l’indennità di sopraelevazione, la Suprema Corte precisa come essa sia “oggetto di un debito di valore cui non si applica la regola dettata dall’art. 1224 cod. civ. per quelli di valuta, per cui gli accessori decorrono non dalla costituzione in mora, ma dal giorno di ultimazione del manufatto” e dunque essi devono “esser calcolati a partire dalla data di effettiva ultimazione delle opere e non dal loro inizio”.