[A cura di: avv. Lorenzo Cottignoli – presidente nazionale LAIC Lega Amministratori Immobiliari Condominiali – legaamministratori.it]
Ci introduce alle questioni relative all’opposizione al decreto ingiuntivo promosso dal condominio per il pagamento delle spese deliberate e alla nullità delle deliberazioni che decidono in merito a tali oneri, una corposa e recentissima ordinanza interlocutoria della Suprema Corte (la n. 24476/2019) con la quale si rimettono gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, poiché, nel decidere il ricorso, si individuano tre distinte questioni la cui risoluzione si scontra con una ampia difformità di pronunce tra le Sezioni semplici e si intreccia con l’applicazione di diversi principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite.
Con didascalica chiarezza, il Collegio della Seconda Sezione, avente come relatore il cons. Antonio Scarpa, individua e descrive la triplice problematica, la quale scaturisce dall’opposizione a decreto ingiuntivo che un condomino (e avvocato) avanzava contro un condominio messinese che aveva richiesto ed ottenuto un provvedimento monitorio nei suoi confronti.
La vicenda trae le mosse da una terna di distinte e successive deliberazioni, tutte assunte nel corso dell’anno 1999, mediante le quali il condominio siciliano aveva statuito sulla effettuazione di lavori straordinari di riparazione del lastrico condominiale decidendo per l’applicazione dei criteri di riparto ex art. 1126 c.c. e così attribuendo un terzo della complessiva spesa al condòmino che riteneva ne possedesse l’uso esclusivo.
Delle tre deliberazioni di cui fa menzione, si riferisce che una di esse veniva impugnata, ma senza successo, da uno dei condòmini, mentre quella ultima e decisiva quanto alla statuizione del riparto delle spese, veniva impugnata dal ricorrente e riconosciuta nulla con sentenza del 17 marzo 2004 dal Tribunale messinese.
Nel merito, infatti, il legale messinese opponente eccepiva come, esibendo il proprio rogito di acquisto, il lastrico solare non fosse di proprio uso esclusivo ma di sua proprietà e – quel che rileva – fosse accessibile per una porzione, ivi descritta e quantificata nella sua estensione, a tutti i condòmini, e pertanto come tale lastrico non rientrasse nell’ipotesi di uso (o proprietà) esclusivo contemplata dall’art. 1126 c.c.
Nell’anno 2007, il medesimo Tribunale, tuttavia, aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo e, in maniera conforme, aveva altrettanto deciso la Corte d’Appello di Messina nel 2015.
Interviene, pertanto, il Supremo Collegio, rilevando, come anticipato, una triplice difformità di pronunce tra le Sezioni semplici, che riguardano altrettante questioni di diritto e che riportiamo di seguito, facendo uso, per quanto possibile, delle definizioni utilizzate nel provvedimento in commento.
“La prima di tali questioni è se debba ritenersi comunque nulla (ed in quanto tale non soggetta al termine di impugnazione di trenta giorni, né riservata alla legittimazione dei soli condòmini assenti, dissenzienti o astenuti, ex art. 1137 c.c.) la deliberazione dell’assemblea con la quale comunque siano ripartite spese (…) in violazione dei criteri legali dettati negli artt. 1123 e ss. c.c., oppure stabiliti in apposita convenzione; o se debba, piuttosto, ritenersi che sono nulle le sole delibere con cui l’assemblea espressamente e stabilmente modifichi a maggioranza i criteri di riparto stabiliti dalla legge o dalla unanime convenzione, mentre sono soltanto annullabili, e perciò soggette alla disciplina dell’art. 1137 c.c., le delibere in cui tali criteri vengano meramente ed episodicamente disattesi”.
La Corte osserva come, stando al principio enunciato da Cass. SS.UU. n. 4806 del 7.3.2005, “il punto di partenza del ragionamento dovrebbe trarsi dalla summa divisio” tra delibere nulle e delibere annullabili: tale suddivisione, in particolare, si effettua ritenendo nulle le delibere “affette da un vizio sostanziale, oppure aventi ad oggetto materie sottratte alla competenza dell’assemblea, essendo per contro annullabili quelle inficiate da un vizio di forma” o procedimentale.
Tuttavia, prosegue il Collegio, le medesime Sezioni Unite, non ostanti tali promesse, aderiva all’orientamento che statuiva che “la delibera, assunta nell’esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall’art. 1135, n. 2 e 3, c.c., relativa alla ripartizione in concreto delle spese condominiali, ove adottata in violazione dei criteri già stabiliti, deve considerarsi annullabile, non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell’art. 1123 c.c., e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza (trenta giorni) previsto dall’art. 1137 c.c.”.
Contrariamente a tale orientamento, altra numerosa giurisprudenza della Corte si pronunciava nel senso di “considerare nulle per impossibilità dell’oggetto, e non meramente annullabili, e perciò impugnabili indipendentemente dall’osservanza del termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137, comma 2, c.c., trattandosi di invalidità da ricondursi alla sostanza dell’atto e non connesse con le regole procedimentali relative alla formazione delle decisioni del collegio, tutte le deliberazioni dell’assemblea comunque adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell’organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condòmini fissata per legge o per contratto, il che vale ad incidere altresì sui diritti individuali del partecipante attraverso un mutamento del proporzionale valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell’autonomia negoziale.”.
Osserva, inoltre, il Collegio come il distinguere “tra ripartizioni di spesa errate annullabili e nulle imporrebbe una malsicura ricostruzione dell’effettivo contenuto della dichiarazione di volontà dell’assemblea, se ed in quanto limitata alla ripartizione di quella determinata spesa, mentre apparirebbe comunque indispensabile prescegliere un metodo tipologico che dia rilievo unicamente agli oggettivi effetti pregiudizievoli della delibera sulle sfere patrimoniali individuali.”.
Conclude, infine, la Corte, come, seguendo tale distinzione, non si potrebbe evitare che “una serie di deliberazioni, che pur disattendano in concreto, senza dichiarate finalità modificative, i criteri stabiliti dalla legge o dalla convenzione, possa poi assurgere alla dignità di comportamento univocamente concludente, protrattosi nel tempo, dal quale si ricavi l’accettazione da parte di tutti i condòmini di metodi convenzionali di distribuzione delle spese.”.
La seconda questione rilevata dalla Seconda sezione impone la soluzione del quesito: “se nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, ai sensi dell’art. 63, disp. att., c.c., il giudice possa sindacare o rilevare le eventuali ragioni di nullità della deliberazione assembleare di ripartizione delle spese su cui è fondata l’ingiunzione di pagamento, o se invece anche la deliberazione della nullità della delibera presupposta debba restare riservata al giudice davanti al quale detta delibera sia stata in via immediata impugnata nelle forme dell’art. 1137 c.c.”.
Il percorso logico seguito dal Collegio parte del presupposto certo che “nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla annullabilità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione”: pertanto, “il giudice deve quindi accogliere l’opposizione solo qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137 c.c., o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorché non passata in giudicato, annullato la deliberazione.”.
A fronte, invece, di una nullità della deliberazione, diventa essenziale chiarire se “il limite alla rilevabilità, anche d’ufficio, dell’invalidità delle sottostanti delibere debba, o meno, operare (…), trattandosi dell’applicazione di atti la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda”.
Da un lato, invero, si dovrebbe applicare il principio generale considerato dalla Legge per gli organi collegiali, il quale prevede che una deliberazione nulla, ancorché non impugnata, ritenersi valida ed efficace, come invece si afferma per le deliberazioni soltanto annullabili. D’altro canto, osserva il Collegio, si potrebbe opporre come costituisca presupposto del provvedimento monitorio richiesto dall’amministratore la sola efficacia esecutiva della delibera condominiale ed altresì come “oggetto del giudizio davanti al giudice dell’opposizione è unicamente il pagamento delle spese dovute da ciascun condomino sulla base della ripartizione approvata dall’assemblea, mentre la nullità della delibera può essere oggetto del solo giudizio di impugnazione ex art. 1137 c.c.”. Osserva, tuttavia il Collegio, come “esula, però, dai contorni tipici dell’impugnazione di cui all’art. 1137 c.c., di per sé soggetta al termine perentorio di trenta giorni, la domanda intesa a far valere una nullità della deliberazione, la quale è azione di mero accertamento, perciò sottratta a qualsiasi termine di decadenza ed esperibile da chiunque vi abbia interesse.”.
La terza questione rilevata dal Giudice delle Leggi riguarda, infine, l’interrogativo “se la statuizione di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi condominiali, come qualsiasi pronuncia di accoglimento della domanda di adempimento di un negozio, deve ritenersi idonea alla formazione del giudicato implicito sulla assenza di cause di nullità del negozio stesso”. In altri termini: “Se l’obbligo di contribuire alle spese straordinarie discende direttamente dalla delibera dell’assemblea, il giudicato che consacra il diritto del condominio di pretendere da quel condomino quella determinata spesa insorta a seguito di quella delibera dell’assemblea non potrebbe consentire di rimettere in discussione in un altro processo l’invalidità della medesima delibera”.
Da un lato, invero, si è affermata la eccezionalità della disciplina condominiale, che ha indotto a negare che esista un rapporto di continenza tra cause (ex art. 39 c.p.c.) e di pregiudizialità necessaria (ex art. 295 c.p.c.) fra la causa di opposizione al decreto ingiuntivo per il pagamento di oneri condominiali e la causa instaurata innanzi ad altro giudice impugnando la relativa delibera condominiale di approvazione e ripartizione di quella stessa spesa oggetto di ingiunzione, concedendosi unicamente la possibilità di accogliere l’opposizione laddove la delibera condominiale fosse stata sospesa dal giudice dell’impugnazione o annullata con sentenza anche non passata in giudicato.
Osserva la Corte come l’evidente rischio di contrasti di giudicati, derivante da due pronunce discordanti, una che annullasse la deliberazione ed una che confermasse il decreto ingiuntivo che ne era conseguenza (rigettandone l’opposizione), si è sin qui risolto affermando un possibile rimedio in sede di esecuzione forzata o, in caso di avvenuto pagamento, con un’azione di ripetizione dell’indebito. Tuttavia, tali rimedi potrebbero essere riconsiderati tenendo conto della prevalenza dell’interesse alla certezza e non contraddittorietà delle sentenze, nonché di economia processuale sull’interesse di rapidità ed incisività della riscossione coattiva dei contributi condominiali.
Alla luce delle tre questioni sollevate, del contrasto che da esse scaturisce e della necessità di applicare in esse i principi di diritto statuiti dalle Sezioni Unite, il Collegio ha rimesso al Primo Presidente gli atti, al fine di valutare l’eventuale assegnazione del procedimento al massimo Organo del Giudice della nomofilachia.