[A cura di: avv. Fabrizio Cardaci Ape Torino Confedilizia] In alcuni stabili condominiali l’ascensore non arriva all’ultimo piano, magari perché quando è stato costruito il fabbricato o installato l’ascensore, l’ultimo piano non era abitabile e/o non vi era interesse a che lo stesso fosse raggiungibile con l’ascensore. Può accadere, tuttavia, che nel corso degli anni in capo ai proprietari dell’ultimo piano sopravvenga interesse ad innalzare la corsa dell’ascensore fino ai propri locali. Si pensi, per esempio, al caso del recupero del sottotetto e/o alla ristrutturazione delle mansarde.
In tali casi ci si domanda se i condòmini interessati debbano chiedere l’autorizzazione all’assemblea condominiale per la realizzazione delle opere di innalzamento dell’ascensore e, in caso affermativo, con quali maggioranze l’assemblea debba approvare l’opera.
A seguire, occorre stabilire chi deve pagare – se tutti i condòmini o solo coloro che lo hanno chiesto/approvato – e come ripartire la spesa. Infine, si pongono alcuni interrogativi in merito alla tabella millesimale dell’ascensore (se presente) e alla tabella millesimale di proprietà.
Innanzitutto, la giurisprudenza di merito e di legittimità escludono che sia necessaria l’autorizzazione dell’assemblea, in quanto l’innalzamento è qualificato come modificazione della cosa comune per il miglior godimento della stessa e quindi ricondotto nell’alveo di applicazione dell’art.1102 c.c. (norma che esclude, appunto, il ‘passaggio’ in assemblea per l’approvazione). La diversa qualificazione dell’opera come innovazione porterebbe, invece, all’applicazione dell’art.1120 c.c., che prevede la necessaria deliberazione dell’assemblea.
Occorre peraltro ricordare che secondo la più recente giurisprudenza l’installazione dell’ascensore – e quindi a maggior ragione l’innalzamento della sua corsa – rientra tra le innovazioni idonee ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’art .2 della legge 13 del 9.1.1989. Ciò comporta che il richiedente debba fare richiesta scritta al condominio (per il tramite dell’amministratore, se presente) affinché deliberi l’esecuzione dell’opera. I quorum necessari per la validità della delibera sono quelli previsti dall’art.1136, secondo comma, c.c. ovverosia la metà del valore dell’edificio e la maggioranza dei condòmini intervenuti. Qualora l’assemblea rifiuti di eseguire l’opera, la persona affetta da disabilità può farla eseguire a proprie spese.
Non sempre, tuttavia, l’innalzamento è consentito. La realizzazione dell’opera è infatti soggetta alle limitazioni previste da entrambe le norme richiamate (artt. 1102 e 1120 c.c.), ovverosia:
a) non deve alterare la destinazione della cosa comune e non deve impedire il pari uso della stessa da parte degli altri condòmini (art.1102, primo comma, c.c.);
b) non deve recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o alterarne il decoro architettonico o rendere talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino (art.1120, ultimo comma, c.c.).
Se, per esempio, per prolungare la corsa dell’ascensore è necessario spostare il motore ed occupare un locale condominiale (ad es. il sottotetto comune) o, peggio, una consistente porzione di pianerottolo, l’opera non può farsi, in quanto la sua realizzazione renderebbe inservibile una parte comune all’uso o al godimento degli altri condòmini.
In caso di disaccordo, spetta al giudice valutare se ed in quale misura il progetto proposto dai richiedenti sia lesivo degli interessi di altri condòmini. La giurisprudenza più recente, tuttavia, nell’operare il giudizio di comparazione tra i diritti dei singoli condòmini e il principio di solidarietà richiamato dalla normativa sull’abbattimento delle barriere architettoniche (principio richiamato anche dalla Corte Costituzionale) tende a dare maggiore peso a quest’ultimo, ritenendolo prevalente rispetto a taluni sacrifici a carico degli altri. Alcune recenti sentenze, in applicazione di tale criterio, giungono addirittura ad affermare che l’opera è consentita anche se il regolamento condominiale la vieta.
Per evitare contenziosi e/o contrasti, appare comunque consigliabile e conforme a buon senso sottoporre previamente l’opera all’esame dell’assemblea, affinché questa sia messa nelle condizioni di valutare se siano rispettati i limiti di legge e/o comunque di valutare soluzioni progettuali alternative, a prescindere dal fatto che l’autorizzazione non sia necessaria.
Venendo alla questione della spesa, è pacifico che la modificazione operata da una parte dei condòmini – o addirittura da uno solo di essi – comporti che il costo sia ad esclusivo carico di questi (e quindi, nell’esempio, dei soli proprietari del piano mansardato o di quelli, tra essi, che abbiano deciso l’innalzamento) con esclusione degli altri condòmini. Ciò vale certamente per il costo iniziale dell’opera e comprende tutti i lavori necessari per l’innalzamento dell’ascensore (ivi compresi i costi progettuali e per le pratiche edilizie).
Una volta completato l’innalzamento, si deve però stabilire come vengano ripartiti i costi di utilizzo e di manutenzione, posto che tali costi non appaiono scindibili tra i diversi utilizzatori (si pensi, in particolare, alla forza motrice).
In difetto di una tabella ‘ascensore’ ad hoc, si deve applicare l’art.1124 c.c., come modificato dalla riforma del 2012 (entrata in vigore nel 2013), il quale prevede il criterio misto (partecipazione di tutti i condòmini a metà della spesa in ragione dei millesimi di proprietà e per l’altra metà in ragione del piano di appartenenza), salvi diversi criteri stabiliti dal regolamento condominiale contrattuale. Se vi è una preesistente tabella ascensori, la stessa deve essere modificata in quanto non rispecchia più la conformazione originaria dello stato di fatto.
Un’ulteriore questione che potrebbe sorgere è quella relativa alla modifica delle tabelle millesimali di proprietà. Si potrebbe infatti sostenere che a seguito dell’opera gli immobili posti all’ultimo piano abbiano subito un incremento di valore, risultando maggiormente appetibili (e godibili) rispetto alla situazione antecedente l’innalzamento: tale aumento di valore dovrebbe quindi portare alla modifica delle tabelle millesimali esistenti.
Premesso che le tabelle possono sempre essere modificate se vi sia l’unanimità dei consensi, nel caso invece alcuni condòmini [o solo uno] siano contrari alla modifica, occorre valutare se vi siano i presupposti per la modifica assembleare con la maggioranza qualificata, ai sensi dall’art.69 disp. att. c.c. In base a tale norma, le tabelle possono essere modificate solo se [siano frutto di un errore o] sia mutato il valore di una singola unità immobiliare di almeno un quinto in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superficie o di incremento delle unità immobiliari.
La lettera della norma pare dunque escludere che la mera installazione dell’ascensore possa essere un elemento sufficiente ad alterare il valore delle unità ai fini della modifica dei valori millesimali, in quanto il criterio seguito dal legislatore appare ancorato a modifiche intrinseche alla singola unità immobiliare e per di più relative all’aumento o diminuzione della superficie, senza tener conto di altri elementi – intrinseci o estrinseci, quale potrebbe essere l’accesso tramite l’ascensore – pur se gli stessi hanno un’incidenza sul valore commerciale.