[A cura di: avv. Giorgio Cesare Amerio – Ape Confedilizia Torino] Dopo le vicissitudini della normativa sulla media-conciliazione, l’istituto sembra aver trovato una sua conformazione definitiva con il Decreto del Fare del 2013 (D.L. 69/2013), a seguito del quale il tentativo di mediazione è tornato ad essere condizione per poter fare una causa in relazione alle seguenti materie: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi bancari e finanziari.
Con particolare riferimento alla materia condominiale, l’art. 71 quater disp. att. c.c. così recita:
“Per controversie in materia di condominio […] si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice“.
Si può quindi affermare che è necessario procedere con la mediazione per le controversie aventi ad oggetto:
Non rientrano, per contro, in tale ambito di applicazione le controversie tra due condòmini aventi ad oggetto le parti private o i rapporti con soggetti terzi rispetto al condominio (fornitori, danni provocati a terzi, ecc.).
Per affrontare al meglio il tema, partiamo dal conflitto. Il condominio, come è noto, è soggetto ad una litigiosità molto elevata. In ogni contesa c’è sempre una ragione che emerge e parecchie ragioni che fanno difficoltà a venire fuori. Per poter ridurre tale litigiosità è necessario e fondamentale risalire alle reali cause della controversia, unica via per poter scardinare l’ostacolo al raggiungimento di un proficuo, stabile e duraturo accordo.
Quali sono le cause che portano alla lite, nell’ipotesi di controversia condominiale attinente ad un recupero crediti? Tra i condòmini o tra condomino e condominio la casistica più diffusa può essere ricondotta a problemi economici, dissenso sui conteggi, sfiducia nell’amministratore e nel suo operato, che viene spesso considerato negligente o imperito.
Verso i terzi fornitori le cause più diffuse sono: il ritardo dei condòmini nel pagamento delle rate, la contestazione dei lavori o della fornitura, una controversia contrattuale.
Dall’esperienza maturata in questi anni, posso affermare che queste sono cause che definirei di facciata, pretestuose. Le reali cause sono, infatti, spesso riconducibili a circostanze che ben poco hanno di giuridico: gelosie, invidie, difficoltà famigliari, facili paragoni, solitudini, abitudini, difficoltà congenite di relazioni, arroganza. Molte di queste affondano le radici nel tempo e la causa scatenante della lite è stata posta in essere dagli avi degli interessati.
Anche nei rapporti con i terzi ci sono, spesso, cause non giuridiche, derivanti da situazioni tra terzo e condomino o amministratore: la scelta del fornitore non gradita, un atteggiamento di una delle parti che suscita reazioni dall’altra parte o altre situazioni “umane” prive di alcun contenuto giuridico.
La soluzione giudiziale (o arbitrale) fornisce una soluzione temporanea ad uno specifico aspetto della lite, che spesso è più ampia. Ma, oltre ad avere costi e tempistiche di gran lunga maggiori rispetto alla mediazione, non risolve il problema alla radice e non elimina, per tale ragione, le tensioni e le incomprensioni che permarranno tra le parti generando ulteriori conflitti.
Tale soluzione, infatti, punta a cercare le responsabilità (giuridiche) della controversia e arriva ad addebitare una colpa a una delle parti o un concorso di colpa tra entrambe. Ciò accade nella quotidianità di ciascuno: se succede qualcosa, tendiamo a cercare la colpa da cui è scaturita la situazione e, nella maggioranza dei casi, siamo portati ad addebitarla ad altri e non a noi stessi.
Sempre più si manifesta la necessità di cambiare approccio e di imparare a gestire il conflitto perché diventi una risorsa e non una criticità, ponendosi nell’ottica di cercare un interesse comune all’interno del conflitto stesso. Si parte dalla sospensione del giudizio, vale a dire smettere di cercare la colpa. Ciò è possibile se si crea una distanza adeguata dal conflitto, si smette di accusare la persona e se si sposta l’attenzione sul problema aggredendo solo quest’ultimo. Così sarà più semplice cogliere le ragioni altrui e arrivare a fare critiche costruttive che portino a soluzioni concrete.
Dal nostro lato di operatori professionali del settore, quali consulenti legali abbiamo un ruolo di enorme importanza nell’aiutare e accompagnare i nostri clienti in questi percorsi. Possiamo agire sia in via preventiva con le attività di supporto all’amministratore nella corretta gestione dei flussi di cassa, accompagnandolo (con altri consulenti ove necessario) nella gestione previsionale dei conti condominiali; nella corretta stesura o revisione dei regolamenti condominiali, con l’inserimento di clausole che accompagnino correttamente la vita del condominio e prevedano l’utilizzo di vie alternative di risoluzione delle controversie; nella corretta stesura dei contratti con i terzi fornitori che siano correttamente equilibrati tra le parti e non pendenti da una o dall’altra parte.
Ove si presenti un conflitto, possiamo comunque essere di fondamentale importanza, suggerendo e condividendo con il cliente la ricerca di una via alternativa e risolutiva, anche ove non sia condizione di procedibilità.
In mediazione, il mediatore aiuta le parti a far emergere le reali ragioni del conflitto per accompagnarli a trovare le soluzioni. Ecco perché ritengo che la mediazione sia una vera ed importante opportunità per il condominio da non sottovalutare ed anzi da sfruttare al massimo, educando in primis i condomini all’idea di trovare una soluzione condivisa che aiuti a raggiungere decisioni e scelte senza attriti e posizioni di principio.
Fatta questa premessa ed entrando nel vivo della questione “recupero crediti”, si sottolinea che il nostro ordinamento ci offre varie soluzioni. Le due principali sono la causa ordinaria e il decreto ingiuntivo. A fianco alle soluzioni processuali ci sono le procedure alternative della media-conciliazione e della negoziazione assistita, uniche che tratteremo in questa sede.
Richiamando i casi in cui è necessario avvalersi della mediazione prima di ricorrere alla giustizia tradizionale, è giusto evidenziare che sono esentati dalla mediazione, anche se la materia rientra tra quelle obbligatorie, le ipotesi di decreto ingiuntivo (sino all’opposizione), di sfratto e finita locazione (sino al mutamento del rito per opposizione), di consulenze tecniche preventive, e di azioni possessorie.
Ciò significa che in materia di recupero crediti condominiale si potrà procedere con il decreto ingiuntivo senza necessità di esperire preventivamente la media-conciliazione, che però diventerà obbligatoria in caso di opposizione. Ciononostante, qualora nel corso del rapporto tra le parti vi siano state delle discussioni, potrebbe comunque essere utile (anche per risparmiare) avviare la mediazione prima del momento in cui diventa obbligatoria.
Entrando nel vivo della procedura, è necessario avere ben chiaro che il mediatore ha una funzione di mero aiuto alle parti, non è un giudice, non è un arbitro e, soprattutto, non decide e non deve decidere chi ha ragione o chi ha torto nell’ambito di una controversia. È il terzo indipendente che deve aiutare la comunicazione delle parti e a tal proposito la legge impone che il medesimo faccia una dichiarazione di indipendenza dalle parti. Inoltre, ogni informazione condivisa e raccolta in sede di mediazione non può essere usata nella eventuale successiva causa.
In sostanza, il mediatore, ascoltando le parti, verifica la possibilità ed aiuta le stesse a trovare una via per tentare la definizione mediante il raggiungimento di un accordo che risolva la controversia. Tale accordo, ove raggiunto, se sottoscritto dalle parti e dai rispettivi legali ha valore di una sentenza e conseguentemente «costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale» (art. 12 D. Lgs. 28/2010).
Nel caso in cui la parte chiamata non aderisse, ovvero per l’ipotesi di mancato accordo, viene rilasciato dall’organismo un verbale negativo e ciascuna parte mantiene salvi tutti i diritti garantiti dalla vigente normativa. Nell’ipotesi in cui in mediazione sia parte un condominio, l’amministratore potrà partecipare solo previa autorizzazione dell’assemblea con la maggioranza dei presenti che rappresentino almeno la metà dei millesimi. E lo stesso dovrà accadere per approvare le proposte, a meno che non sia già stato dato mandato all’amministratore con un congruo margine di trattativa.
In conclusione, appare evidente l’importanza sociale dei metodi di risoluzione alternativa delle controversie ed ancora di più degli operatori nel consigliare i propri assistiti nella scelta della via che consenta, attraverso una sana gestione del conflitto, di risolvere il problema alla radice, rimuovendo il vero motivo della controversia e quindi risolvendo in via definitiva la lite facendo acquistare alle parti la piena consapevolezza che, anche in caso di disaccordo, si possono percorrere strade condivise di gestione dei rapporti umani e giuridici.