[A cura di: avv. Andrea Marostica – www.studioandreamarostica.it] Il tema qui trattato è la natura giuridica del condominio osservata attraverso il prisma delle vicende processuali.
Nel 2017 la Corte di Cassazione (1) ha affrontato la seguente questione: il singolo condomino è o non è parte del processo nel quale l’amministratore si è costituito in rappresentanza del condominio? Il nodo giuridico è processuale, ma richiede schiarimenti sostanziali: se, infatti, il condominio deve essere pensato come semplice insieme dei condòmini, il singolo condomino è parte di quel processo in virtù della costituzione dell’amministratore quale rappresentante del condominio; se, invece, il condominio deve essere inteso come altro dall’insieme dei condòmini, ossia un soggetto autonomo, il singolo condomino non è parte di quel processo in quanto non si è autonomamente costituito.
In quell’occasione la Suprema Corte, considerati i contrasti esistenti in seno alla giurisprudenza di legittimità sulla questione, aveva ritenuto opportuno rimettere i relativi atti al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite, le quali si sono ora pronunciate (2), mediante un percorso motivazionale che da un lato valorizza e dall’altro correttamente inquadra gli approdi giurisprudenziali antecedenti.
Un condomino, proprietario degli ultimi tre piani di un edificio in regime di condominio, eseguiva alcune opere nell’edificio medesimo. Il condominio chiedeva al Tribunale la riduzione in pristino delle opere realizzate (ossia che lo stato dei luoghi fosse riportato alla situazione precedente) sulla base di:
a. violazione del regolamento condominiale, il quale faceva espresso divieto di realizzare “qualsiasi opera che modifichi le facciate, i prospetti e l’estetica degli edifici”;
b. tutela della servitù di passaggio in favore di parti comuni, esercitata mediante una scala esterna corrente tra il quarto ed il quinto piano, che il condomino aveva spostato all’interno delle porzioni di piano di sua proprietà.
Il Tribunale accoglieva le domande, ritenendo che:
a. il regolamento vietava le opere che avevano inciso sulle facciate, sui prospetti e sull’estetica del fabbricato a prescindere dalla lesione del decoro architettonico;
b. il condomino, in violazione della servitù esistente in favore del condomino, aveva illecitamente rimosso la scala esterna, spostandola all’interno della sua proprietà, rendendo in tal modo più difficoltoso l’esercizio della servitù, dovendo i condòmini accedere all’abitazione per raggiungere il terrazzo.
Avverso tale sentenza di primo grado, il condomino che aveva realizzato le opere proponeva appello.
La Corte d’Appello riformava parzialmente la sentenza di primo grado, poiché:
a. confermava che il condomino avesse violato il regolamento condominiale;
b. negava che le opere realizzate avessero prodotto un aggravamento della servitù di passaggio in favore di parti comuni.
Avverso tale sentenza di secondo grado, il condomino che aveva realizzato le opere proponeva ricorso per cassazione, con riferimento al punto sul quale la sentenza di appello aveva confermato quella del Tribunale, ossia la violazione del regolamento. Il condominio resisteva sul punto con controricorso. Un altro condomino proponeva ricorso incidentale, con riferimento al punto sul quale il condominio era rimasto soccombente in appello, ossia la tutela della servitù di passaggio in favore di parti comuni.
Proprio la legittimità di tale ricorso incidentale è la questione che ha determinato la rimessione degli atti al Primo Presidente. Nelle parole della relativa ordinanza: “È controversa la configurabilità del diritto del condomino che non aveva svolto difese nei gradi di merito di interporre ricorso incidentale”.
Se, infatti, il condomino è parte del processo per il solo fatto che il condominio, rappresentato dall’amministratore, è parte in quel processo, il suo ricorso incidentale è legittimo; se non è parte, per essere la posizione processuale del condomino non compresa nella posizione del condominio, il suo ricorso è illegittimo.
Secondo l’impostazione tradizionale, l’impugnazione da parte del singolo condomino della sentenza di condanna emessa nei confronti dell’intero condominio è ammissibile. Lo si ammette sull’assunto che il diritto di ogni partecipante al condominio ha per oggetto le cose comuni nella loro interezza, non rilevando, in contrario, la circostanza della mancata impugnazione da parte dell’amministratore, senza alcuna necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei condòmini non appellanti (o non ricorrenti), né intervenienti, e senza che ciò determini il passaggio in giudicato della sentenza di primo (o di secondo) grado nei confronti di questi ultimi.
Questa configurazione dei rapporti fra i condòmini implica una forma di rappresentanza processuale reciproca, attributiva a ciascun condomino di una legittimazione sostitutiva, nascente dal fatto che ogni compartecipe non potrebbe tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere l’analogo diritto degli altri.
In tale quadro ricostruttivo, il condominio non è considerato soggetto distinto dai singoli condòmini.
È stato così affermato (3) che il condomino che intervenga personalmente nel processo in cui sia già parte l’amministratore, ed in cui sia stata dedotta una situazione giuridica ascrivibile alla collettività condominiale, non si comporta come un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei, ma appare come una delle parti originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni.
Ancora, è stato deciso (4) che in controversie tra condòmini e condominio, rappresentato dall’amministratore, per tutelare i diritti della collettività i singoli condòmini potrebbero intervenire, a sostegno del condominio, anche nel giudizio di rinvio, seppur questo si connoti come giudizio essenzialmente “chiuso”, non solo con riferimento all’oggetto, ma anche con riferimento ai soggetti, e ciò sempre sull’assunto che i condòmini intervenienti non sono terzi, ma si identificano sostanzialmente con la parte “condominio” già in giudizio.
L’impostazione tradizionale appena descritta è stata scossa dalle Sezioni Unite del 2014 (5), avendo esse stabilito che, in ipotesi di giudizio intentato dall’amministratore di condominio, pur autorizzato dall’assemblea, a tutela di diritti connessi alla situazione dei singoli condòmini, ma senza che questi ultimi siano stati parte in causa, la legittimazione ad agire per l’equa riparazione, correlata alla violazione del termine ragionevole del processo, spetta esclusivamente al condominio, da intendere ormai quale autonomo soggetto giuridico.
La pronuncia in parola ha precisato che dall’analisi della riforma del 2012 emerge la progressiva configurabilità in capo al condominio di una sia pur attenuata personalità giuridica, ovvero comunque sicuramente di una soggettività giuridica autonoma.
In questa ricostruzione, il condominio è considerato soggetto distinto dai singoli condòmini.
Le Sezioni Unite del 2014 chiariscono che, se la giurisprudenza tradizionale aveva ritenuto che il singolo condomino dovesse sempre considerarsi parte nella controversia tra il condominio ed altri soggetti, seppur rappresentato ex mandato dell’amministratore, proprio per la prospettazione dell’assoluta mancanza di soggettività del condominio, questa impostazione entra in crisi ove ci soffermi sull’autonomia del condominio come centro di imputazione di interessi, di diritti e doveri, cui corrisponde una piena capacità processuale; in tal caso, infatti, il singolo condomino dovrà essere considerato parte in quel processo solo se vi intervenga, e non, invece, già in quanto rappresentato dall’amministratore.
Così delineati i fronti giurisprudenziali opposti, è ora possibile analizzare l’iter argomentativo seguito dalle recenti Sezioni Unite.
Esse affermano, anzitutto, che la pronuncia del 2014, nonostante le aperture manifestate verso l’estensione della soggettività condominiale e pur registrando un inizio di crisi del sistema, è rimasta nel solco dell’impostazione tradizionale. La portata dei principi enunciati nel 2014, infatti, deve essere circoscritta alla peculiare situazione giuridica in allora esaminata, cioè a quel diritto all’equa riparazione regolato dalle disposizioni sovranazionali prima ancora che da quelle nazionali di impronta applicativa.
Anche la giurisprudenza successiva al 2014, del resto, è rimasta nell’alveo tradizionale. Così si è continuato a ritenere che nelle controversie aventi ad oggetto un diritto comune, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condòmini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, né di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore (6).
Le Sezioni Unite osservano che “la riflessione corrente e anche la massimazione delle sentenze più rilevanti in argomento” affermano la sussistenza dei poteri processuali dei singoli condòmini a partire: dalla “formula descrittiva di successo” secondo cui il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti; dall’analisi dei poteri dell’organo rappresentativo unitario, ovvero dell’amministratore.
Più correttamente, continua la Suprema Corte, questi rilievi valgono solo ad escludere che da queste fonti (natura del condominio e poteri dell’amministratore) derivino limiti alle facoltà dei singoli, mentre è precisamente la natura dei diritti contesi la ragione di fondo della sussistenza della facoltà dei singoli di affiancarsi o surrogarsi all’amministratore nella difesa in giudizio dei diritti vantati sui beni comuni.
Ciò era già stato osservato dalla giurisprudenza più risalente, laddove si era affermato che:
Né potrebbe essere diversamente, concludono le Sezioni Unite, poiché:
a. si discute di diritti reali;
b. sussistono molteplici realtà condominiali in cui non è imposta obbligatoriamente la nomina di un amministratore;
c. difetta una precisa scelta del legislatore che investa esplicitamente ed esclusivamente il condominio (e il suo amministratore) del potere di difendere le parti comuni (e i riflessi sulla proprietà dei singoli).
Viene dunque riconosciuto il diritto del condomino che non aveva svolto difese nei gradi di merito di interporre ricorso incidentale, ciò non tanto sulla base del presupposto che condominio e condomino siano la stessa parte, quanto sulla configurabilità, in capo ai condòmini e rispetto al condominio, di una legittimazione concorrente.
NOTE
(1) Cass. civ., 15 novembre 2017, n. 27101. (2) Cass. civ., SS.UU., 17 aprile 2019, n. 10934. (3) Cass. civ., 27 gennaio 1997, n. 826. (4) Cass. civ., 30 giugno 2014, n. 14809. (5) Cass. civ., SS.UU., 18 settembre 2014, n. 19663. (6) Cass. civ., 6 agosto 2015, n. 16562; Cass. civ., 18 gennaio 2017, n. 1208; Cass. civ., 9 novembre 2017, n. 26557. (7) Cass. civ., 6 agosto 1999, n. 8479. (8) Cass. civ., 12 dicembre 1996, n. 11106.