[A cura di: dottor Ettore Di Folca – funzionario presso la Procura della Repubblica di Napoli ed esperto condominialista]
L’assemblea condominiale costituisce l’espressione della volontà del condominio, pertanto è necessaria la sua corretta costituzione al fine di una valida e legittima gestione.
Prima della riforma introdotta dalla legge 220/2012 non vi era un termine preciso per la convocazione dell’assemblea ordinaria e questa, per consuetudine, si teneva entro due o tre mesi dalla data di chiusura della gestione annuale. L’art. 1130 del codice civile riformato prevede tra le attribuzioni dell’amministratore che lo stesso, oltre a quanto previsto dall’articolo 1129 e dalle vigenti disposizioni di legge, debba:
A norma del terzo comma del nuovo articolo 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile, l’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione.
Questa disposizione, innovativa della precedente disciplina che non prevedeva alcunché, ha limitato la possibilità di inviare detto avviso solo alle forme espressamente previste. Ciò in virtù dell’art. 72, delle disposizioni di attuazione del codice civile, che considera l’art. 66 quale norma inderogabile. È da specificare che per l’utilizzo della posta elettronica certificata essa presuppone che sia in possesso sia del mittente che di tutti i destinatari. Purtroppo, molti condòmini non ne sono ancora dotati, per cui l’amministratore, per costoro, dovrà ancora ricorrere a forme tradizionali di spedizioni, con aggravio di lavoro e di spese. Forse un’opera di convincimento, visto che di spese non lievi si tratta, potrà indurre gli stessi a munirsi di una PEC.
L’avviso di convocazione mandato a mezzo una semplice mail non è valido per legge. Vi sono alcuni che tentano però di forzare la situazione facendosi rilasciare un’apposita dichiarazione che manda esente l’amministratore da ogni responsabilità. La questione è da non porsi. Non solo siamo in presenza di una disposizione avente natura inderogabile, ma nel caso in esame non siamo in presenza di una responsabilità dell’amministratore che può essere fatta valere solo da colui che ha rilasciato la dichiarazione di assenso, ma di un più generale interesse dei condòmini, tutelato appunto con una norma inderogabile all’autonomia dei privati.
La prima pronuncia nota in materia di convocazione dell’assemblea ha specificato che le forme indicate dalla legge sono da ritenersi tassative (Trib. Genova 23 ottobre 2014 n. 3350).
Il nuovo testo dell’art. 66, terzo comma, disp. att. c.c. prevede che l’avviso di convocazione dell’assemblea deve indicare espressamente l’ordine del giorno, il luogo e l’ora della riunione. La mancata indicazione di uno degli elementi essenziali non è decisiva, potendo la lacuna essere colmata aliunde (Cass. 11526/1999) e la deliberazione eventualmente presa nella riunione si dovrà ritenere valida ed efficace ove sia accertato che il condominio era in possesso di tutte le informazioni sufficienti a colmare l’eventuale lacuna (Cass. 6919/1982).
L’omessa indicazione di un argomento, poi deliberato, nell’ordine del giorno di un assemblea condominiale, non può essere rilevata dal condomino dissenziente nel merito, se non ha preliminarmente eccepito in quella sede l’irregolarità della convocazione (Cass. 5889/2001).
La legge non dice se all’avviso di convocazione debbano essere allegati i documenti collegati agli argomenti posti in discussione (e quindi menzionati nell’ordine del giorno). In assenza di specifiche indicazioni del regolamento condominiale, la risposta deve essere negativa. L’avviso di convocazione, inoltre, sempre a norma dell’art. 66 disp.att. c.c. “deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione”.
L’omessa o tardiva convocazione e/o incompleta convocazione comportano l’annullabilità della delibera (art. 66, terzo comma, disp. att. c.c.) e come specifica lo stesso art. 66 disp. att. c.c. (e prima dell’entrata in vigore della riforma del condominio la prevalente giurisprudenza), solo chi non è stato convocato può fare valere la propria omessa convocazione; spetta al condominio l’onere di dimostrare la corretta convocazione del condomino che la contesta (Cass. 24131/09).
I condòmini non possono far valere i vizi relativi alla convocazione indirizzata ad altri condòmini. Ciò vale anche per i vizi relativi al conferimento di deleghe ed alla sua forma, quando si riferiscano ad altri condòmini. (Tribunale di Taranto sentenza del 16 dicembre 2015, n. 3884). Il Tribunale muove le proprie motivazioni dal principio secondo cui detti vizi comportino annullabilità della delibera e non nullità, in tal modo si applica, in tema di legittimazione attiva, l’art. 1441 c.c. il quale dispone che “L’annullamento del contratto può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge” estendendo di fatto una norma prevista in materia contrattuale alle delibere condominiali.
La motivazione del Tribunale si basa anche sulla pronuncia della Suprema Corte (Cassazione civile sez. II del 18 aprile 2014, n. 9082) secondo cui: “In tema di condominio negli edifici, il condomino assente in assemblea, ma regolarmente convocato, non può impugnare la delibera per difetto di convocazione di altro condomino, trattandosi di vizio che inerisce all’altrui sfera giuridica, come conferma l’interpretazione evolutiva fondata sull’art. 66 disp. att. c.c., modificato dall’art. 20 l. 11 dicembre 2012 n. 220”.
Secondo il Tribunale di Taranto, il 2° comma dell’art. 1137, dove è previsto che “contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento” non possa considerarsi quale deroga all’art. 1441 c.c., posto che si tratta di previsione generale sulla legittimazione ad impugnare le delibere invalide, che non è detto che contempli anche il caso in cui la violazione formale riguardi esclusivamente un condomino diverso da quello che agisce in giudizio.
In altri termini, il 2° comma dell’art. 1137 c.c. lascerebbe uno spazio normativo nel quale si inserirebbe la regola generale fissata in materia di annullabilità del contratto dall’art. 1441 c.c..
Ai sensi dell’art. 66, comma terzo, delle disposizioni di attuazione del codice civile l’avviso di convocazione (…) deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, (un termine inferiore non è possibile in quanto l’art. 66 disp. att. c.c. è inderogabile. Unica eccezione a questa procedura: la convocazione a seguito di decadenza dell’amministratore per la perdita dei requisiti di onorabilità previsti dall’art. 71-bis disp. att. c.c.; in tal caso, è sempre tale norma a specificarlo, ciascun condomino può convocare l’assemblea senza formalità, anche in forma orale e senza rispettare i cinque giorni di cui sopra). L’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale può essere qualificato come un atto unilaterale recettizio e, in conseguenza di ciò, a esso deve essere applicata la cosiddetta presunzione relativa di conoscenza prevista dall’art. 1335 c.c.. Tale presunzione (superabile da una prova contraria che nel caso dell’avviso di convocazione deve essere fornita dal convocato) fa sì che la conoscenza dell’atto sia riconducibile anche solamente al recapito della comunicazione e non per forza alla sua materiale apprensione (cfr. Trib. Roma 7 luglio 2009 n. 15048).
Quanto al computo dei termini, il Tribunale di Roma ha avuto modo di pronunciarsi in diverse occasioni sull’argomento, affermando che in assenza di una specifica previsione di legge che disciplina le modalità di computo del termine di cinque giorni di cui all’art. 66 disp. att. c.c., deve applicarsi la regola generale dies a quo non computatur, dies ad quem computatur (Trib. Roma 7 luglio 2009 n. 15048 e Trib. Roma 14 gennaio 2015 n. 623).
In termini pratici, se l’avviso è stato comunicato il giorno uno, il computo dei termini parte dal giorno due e i cinque giorni s’intendono rispettati se l’assemblea, in prima convocazione, si svolge a partire dal giorno sei. In sostanza, affinché possa considerarsi valida l’assemblea condominiale, è sufficiente che l’avviso di giacenza dell’avviso di convocazione sia inserito nella cassetta postale del condomino nei termini sopra indicati.
Secondo la Cassazione, con riguardo all’avviso di convocazione di assemblea, al fine della prova della decorrenza del termine di cinque giorni antecedenti l’adunanza di prima convocazione, è sufficiente che il condominio dimostri la data di ricezione dell’avviso all’indirizzo del destinatario, salva la possibilità per questi di provare di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità dì averne notizia (Cass. sent. n. 23396/17 del 6.10.2017).
Prima dell’entrata in vigore della riforma del condominio, la legge faceva riferimento ai condòmini. Con la legge n. 220/2012 l’art. 1136 c.c. così come l’art. 66, terzo comma, disp. att. c.c. viene fatto riferimento agli aventi diritto. Pertanto l’avviso di convocazione deve essere inviato a chi ha diritto a partecipare in relazione allo specifico punto all’ordine del giorno (es. conduttore, usufruttuario, ecc.).
L’assemblea è composta da tutti i condòmini e, in certi casi, anche dagli usufruttuari (coloro che hanno diritto di abitare una casa, senza per questo esserne proprietari). Per le decisioni che riguardano i servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria hanno in genere diritto di voto anche gli inquilini. Essi hanno inoltre diritto di intervenire, senza diritto di voto, sulle delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni (per esempio l’abolizione della portineria). L’onere della convocazione incombe sul proprietario dell’appartamento. L’avviso di convocazione deve essere spedito nel luogo specificato dal condomino in sede di redazione della scheda di anagrafe condominiale (cfr. art. 1130 n. 6 c.c.) o in mancanza, all’indirizzo di residenza.
È legittimo l’invio dell’avviso di convocazione presso un altro condomino che, per prassi consolidata, ha sempre ricevuto tale comunicazione? Si legge in una sentenza resa dagli ermellini l’1 aprile 2008 che “qualora sia accertata nel corso del giudizio l’esistenza di una prassi (con ciò intendendosi un regolare ripetersi di comportamenti precedentemente accettati nello svolgimento di analoghi rapporti) in base alla quale l’avviso di convocazione di assemblea condominiale, destinato ad uno dei condòmini non abitanti nell’edificio condominiale, viene consegnato ad altro condomino, suo congiunto, tale prassi, […], non può ritenersi illegittima […] con la conseguenza che l’avvenuta consegna dell’avviso di convocazione al congiunto deve ritenersi regolare essendo l’atto – recapitato in tal guisa e pervenuto nella sfera di normale ed abituale conoscibilità del destinatario – idoneo a creare nello stesso una situazione giuridica di oggettiva conoscibilità con l’uso della normale diligenza, sua e del consegnatario designato, conforme alla clausola generale di buona fede, che regola i rapporti giuridici intersoggettivi ed impedisce, rendendolo illegittimo ed immeritevole di tutela, ogni abuso di diritto” (così Cass. 1 aprile 2008, n. 8449).
Nel caso di decesso del condomino, l’unità immobiliare sita nel condominio cade in successione agli eredi, nuovi condòmini, e questi, anche ai fini della regolare tenuta del registro di anagrafe condominiale, devono comunicare all’amministratore entro sessanta giorni i propri dati anagrafici e l’indirizzo per il recapito delle comunicazioni condominiali (art. 1130 n. 6 c.c.). L’amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l’amministrazione acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili”.
“Fino a quando gli eredi non gli manifesteranno la loro qualità, l’amministratore condominiale, a conoscenza del decesso di un condomino, non è tenuto a inviare alcun avviso (né al condomino, né agli eredi impersonalmente presso l’ultimo domicilio), non avendo utili elementi di riferimento e non essendo obbligato a fare alcuna particolare ricerca” (Cass.Sez. 2, Sentenza n. 6926 del 22/03/2007). Si legge nella motivazione della sentenza, “l’amministratore, per effetto della mancata osservanza dell’onere di indicazione e dimostrazione della propria qualità da parte del nuovo condomino, non può indirizzare a lui la comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea e, tuttavia, per rendere valida la costituzione dell’assemblea, deve mandare l’avviso a tutti i condòmini. L’antinomia non può essere risolta se non ritenendo che l’amministratore adempie al suo obbligo inviando l’avviso all’ultimo domicilio, dove, in base al criterio dell’ id quod plerumque accidit, potrà verosimilmente essere rinvenuto qualcuno (successore oppure non) che possa portare l’avviso a conoscenza degli interessati e sincerandosi quindi della ricezione dell’avviso da parte di persona addetta a quel domicilio, poco importando, poi, che la persona che riceve l’avviso lo faccia effettivamente pervenire all’abitazione degli eredi.
Con l’invio dell’avviso ad un condomino di cui è già certo il decesso si risolve, però, il problema della regolarità della convocazione della assemblea attraverso una finzione. A ciò si aggiunge che la fictio si rivela comunque inutile, ed il problema non può considerarsi neppure formalmente risolto, quando all’ultimo indirizzo del condomino defunto non vi sia chi possa materialmente ricevere l’avviso.
Sembra, pertanto, preferibile ritenere che l’amministratore il quale sia a conoscenza del decesso di un condomino, fino a quando gli eredi non gli manifesteranno la loro qualità, non avendo utili elementi di riferimento e non essendo obbligato a fare alcuna particolare ricerca, non sarà tenuto ad inviare alcun avviso”.
IN SINTESI
Il potere per la convocazione dell’assemblea – ai sensi dell’art. 66 disp. att.c.c. – spetta:
all’amministratore in via ordinaria (almeno una volta l’anno);
a ciascun condomino in mancanza dell’amministratore;
all’amministratore, in via straordinaria quando lo ritenga opportuno oppure su richiesta di almeno due condòmini che rappresentino almeno 1/6 del valore dell’edificio;
agli stessi condòmini qualora entro dieci giorni dalla richiesta di cui al punto precedente l’amministratore non abbia convocato l’assemblea.
Il nuovo art. 1117 bis cc regola il supercondominio e il nuovo art. 67 disp. att. cc disciplina l’assemblea del supercondominio, con modalità diverse per la convocazione e la partecipazione all’assemblea in base al numero dei partecipanti e alle materie all’ordine del giorno, imponendo anche la nomina di un singolo rappresentante per ogni edificio.
È opportuno riportare quanto dispone l’art. 67 comma II e III delle disposizioni di attuazione del codice civile “nei casi di cui all’articolo 1117-bis del codice, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con la maggioranza di cui all’articolo 1136, quinto comma, del codice, il proprio rappresentante all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condomini e per la nomina dell’amministratore. In mancanza, ciascun partecipante può chiedere che l’autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio. Qualora alcuni dei condomini interessati non abbiano nominato il proprio rappresentante, l’autorità giudiziaria provvede alla nomina su ricorso anche di uno solo dei rappresentanti già nominati, previa diffida a provvedervi entro un congruo termine. La diffida ed il ricorso all’autorità giudiziaria sono notificati al condominio cui si riferiscono in persona dell’amministratore o, in mancanza, a tutti i condòmini.
Ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto. Il rappresentante risponde con le regole del mandato e comunica tempestivamente all’amministratore di ciascun condominio l’ordine del giorno e le decisioni assunte dall’assemblea dei rappresentanti dei condomini. L’amministratore riferisce in assemblea”.
Relativamente alla convocazione dell’assemblea si configurano tre possibilità:
L’art. 1123, terzo comma, c.c. stabilisce: “Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità”.
Si tratta del così detto condominio parziale, la cui esistenza era ritenuta possibile anche prima della riforma, “allorché all’interno del cd. condominio allargato talune cose – qualificate come comuni ex art. 1117 c.c. – siano per oggettivi caratteri materiali e funzionali necessarie per l’esistenza o per l’uso, ovvero siano destinate all’uso o al servizio, non di tutto l’edificio, ma di una sola parte o di alcune unità abitative di esso” (Cass. 12 febbraio 2001 n. 1959).
“In particolare, non sussiste il diritto di partecipare all’assemblea, ragion per cui la composizione del collegio e delle maggioranze si modificano in relazione alla titolarità delle parti comuni, che della delibera formano oggetto e non sorge l’obbligazione di contribuire alle spese” (Cass. 27 settembre 1994 n. 7885).
Pertanto è auspicabile che l’amministratore, evitando ogni possibile errore, convochi ad assemblee diverse i proprietari per ogni argomento posto all’ordine del giorno. In sostanza, non solo le spese vanno divise esclusivamente tra chi trae utilità dalle cose oggetto del condominio parziale, ma anche le decisioni ad esse relative devono essere assunte solamente da questi comproprietari. È questo il punto nodale della decisione testé citata: la configurazione delle così dette assemblee parziali. Si pensi ad un edificio in condominio con tre distinte scale tutte dotate di un autonomo portone d’ingresso, androne, ecc.. Stando a quanto detto, gli androni, i vani scale, ecc.. non saranno di proprietà di tutti i condòmini, bensì dovranno essere considerati di proprietà esclusiva del gruppo di condòmini cui servono.
Si ipotizzi che si renda necessario effettuare un’opera di pitturazione di uno degli androni. È evidente che in simili circostanze le decisioni relative agli interventi manutentivi, per quanto ci dicono dottrina e giurisprudenza, dovranno essere decisi solamente dal gruppo di comproprietari interessati. Ciò vuol dire che, sorta l’esigenza di intervenire sulle parti di proprietà comune ad alcuni, solo questi ultimi dovranno essere convocati in assemblea per assumere le decisioni del caso.
A volte, nei regolamenti condominiali, vengono previste, in relazione alle parti di “proprietà parziale”, delle apposite modalità di convocazione dell’assemblea, nonché delle tabelle specificamente necessarie a ciò. Laddove non vi fosse tale regolamentazione, le regole da seguire sono quelle della convocazione dell’assemblea “classica” (art. 1136 e art. 66 disp. att. c.c.) e le maggioranze andrebbero riparametrate con un’operazione aritmetica che tenesse in considerazione solamente i millesimi dei condomini interessati.