[A cura di: avv. Andrea Marostica – www.studioandreamarostica.it] Come è noto, l’art. 1117 c.c. contiene l’elenco delle parti comuni dell’edificio. Tale elenco non è tassativo, ma meramente esemplificativo, potendo alcune delle cose lì indicate non essere comuni ed esserlo altre che nell’elenco non figurano.
Ciò che fa sì che una cosa appartenga in comune ai condòmini, è l’essere la cosa medesima al servizio di tutte le singole proprietà solitarie – nelle parole della giurisprudenza, il collegamento funzionale, sostanziale e materiale tra la cosa e le singole unità immobiliari. In proposito, la Corte di Cassazione, nella sua composizione più autorevole (Cass. civ., 7 luglio 1993, n. 7449, SS.UU.), ha affermato che una cosa non può proprio rientrare nel novero di quelle comuni se serva per le sue caratteristiche strutturali soltanto all’uso e al godimento di una parte dell’immobile oggetto di un autonomo diritto di proprietà; la destinazione particolare esclude già all’origine che il bene rientri nella categoria delle cose comuni, e che ad esso possa quindi riferirsi la norma dell’art. 1117 del codice civile.
È questa la differenza principale tra la comunione ed il condominio: mentre la comunione ha ad oggetto una cosa che esprime una utilità finale, oggetto del condominio è una cosa fornita di utilità funzionale. I comunisti utilizzano la cosa senza altro fine che goderne; i condòmini la utilizzano al fine di godere non di quella, ma della propria porzione in proprietà esclusiva. Le cosiddette parti comuni sono dunque intimamente connesse alle unità immobiliari, di modo che l’utilizzo o il migliore utilizzo o la stessa esistenza di queste ultime dipende ed è reso possibile dalle prime.
Nel caso, dunque, di destinazione particolare, ovvero di non collegamento della cosa a tutte le unità immobiliari, quella cosa dovrà essere esclusa dal novero delle parti comuni e, pertanto, sottratta alla disciplina dell’art. 1117 c.c. e del condominio in generale.
Le fondazioni e il suolo rientrano tra le parti costitutive essenziali del fabbricato, indispensabili e non suscettibili di separazione materiale o funzionale (TRIOLA, Il condominio, Milano, 2007, 43); sono parti necessarie all’esistenza dell’edificio (CORONA, Contributo alla teoria del condominio negli edifici, Milano, 1974, 67). Si tratta, pertanto, di parti dell’edificio che rientrano necessariamente tra quelle comuni, appartenendo così a tutti i condòmini.
Sotto il profilo dell’uso, la giurisprudenza di legittimità ha affermato (Cass. civ., 1 marzo 2000, n. 2255) che in tema di condominio e con riferimento alle parti comuni dell’edificio, il termine “godimento” designa due differenti realtà: quella della utilizzazione obiettiva della res e quella del suo godimento soggettivo in senso proprio, con la prima intendendosi l’utilità prodotta (indipendentemente da qualsiasi attività umana) in favore delle unità immobiliari dall’unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose, degli impianti, dei servizi (suolo, fondazioni, muri maestri, tetti, lastrici solari, cortili), la seconda concretantesi, invece, nell’uso delle parti comuni quale effetto dell’attività personale dei titolari dei piani o porzioni di piano (utilizzazione di anditi, stenditoi, ascensori, impianti centralizzati di riscaldamento e condizionamento).
Le fondazioni e il suolo rientrano tra quelle cose utilizzate dai condòmini oggettivamente, ovvero godute per il solo fatto di essere proprietari di una unità immobiliare in quell’edificio, la cui esistenza stessa è possibile grazie alle cose di cui si tratta.
Le fondazioni sono non solo le parti dei muri maestri o delle strutture in cemento armato che stanno al di sotto dell’area su cui poggia l’edificio, ma tutto quanto si è fatto (scavi, opere di consolidamento, di sostegno, di rincalzo, ecc.) allo scopo di elevare e reggere l’edificio. Esse non fanno parte del sottosuolo – tenuto conto del significato da dare a tale espressione in ambito condominiale – il quale, invece, si trova al di sotto di esse.
Il suolo è il tipico concetto la cui definizione differisce a seconda che sia utilizzato nel linguaggio comune, nel linguaggio tecnico o nel linguaggio giuridico riferito ad uno specifico istituto. Nel primo ambito, infatti, con il termine suolo ci si riferisce genericamente alla superficie del terreno, alla superficie cioè sulla quale “si poggiano i piedi” (si pensi, ad esempio, al modo di dire “tenere i piedi ben piantati al suolo”). In ambito tecnico, per suolo si intende il c.d. piano di campagna, ovvero la linea immaginaria a quota variabile corrispondente, in via approssimativa in considerazione delle irregolarità naturali del terreno, alla superficie praticabile. Nel linguaggio giuridico, riferito in particolare al condominio edilizio, il suolo è la superficie del terreno sulla quale poggiano le fondamenta.
Si deve intendere per suolo su cui sorge l’edificio quella porzione di terreno su cui poggia l’intero edificio ed, immediatamente, la parte infima di esso, essendo perciò comune l’area dove sono infisse le fondazioni e la superficie sulla quale poggia il pavimento del pianterreno ma non anche quest’ultimo (Cass. civ., 19 dicembre 2002, n. 18091).
Costituisce oggetto di proprietà comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c., la porzione di terreno su cui viene a poggiare l’intero stabile e, quindi, quella più profonda, esistente sotto il piano cantinato più basso, con la conseguenza che i vani scantinati possono presumersi comuni, in mancanza di un titolo contrario, non già in quanto facenti parte del “suolo su cui sorge l’edificio”, ma solo se ed in quanto risultino obiettivamente destinati all’uso ed al godimento comune (Cass. civ., 26 luglio 2011, n. 16315).
A meno che non risulti diversamente dal titolo, l’intercapedine creata dal costruttore tra il muro di contenimento del terreno che circonda i piani interrati o seminterrati dell’edificio ed il muro che delimita questi piani deve considerarsi comune ai proprietari delle unità immobiliari dell’intero edificio quando sia in concreto accertato che è destinata a fare circolare l’aria e ad evitare umidità ed infiltrazioni d’acqua sia a vantaggio dei piani interrati o seminterrati sia a vantaggio delle fondamenta e dei pilastri, che sono parti necessarie per l’esistenza di tutto il fabbricato (Cass. civ., 10 maggio 1996, n. 4391).
Il terrapieno insito sul suolo su cui sorge l’edificio condominiale, in virtù del combinato disposto degli artt. 1117 e 840 c.c., gode di una presunzione di comunione, perché su di esso poggia l’intero edificio, ovvero l’area limitata dai muri perimetrali dell’edificio sulla quale poggia il pavimento del piano terreno e l’area dove sono infisse le fondazioni (Cass. civ., 31 agosto 2011, n. 17881).
In base all’art. 1128 c.c., rubricato “Perimento dell’edificio”, se l’edificio perisce interamente o per una parte che rappresenti i tre quarti del suo valore, ciascuno dei condòmini può richiedere la vendita all’asta del suolo e dei materiali, salvo che sia stato diversamente convenuto. Ciò in quanto, nel caso di perimento dell’edificio, al condominio si sostituisce la mera comunione del suolo e dei materiali.