[A cura di: avv. Lorenzo Cottignoli – Presidente LAIC, Lega Amministratori Immobiliari Condominiali]
Il tema della prorogatio imperii merita un adeguato approfondimento, essendo esso nato da matrice giurisprudenziale e poi regolato – in forma incompleta – dal disposto normativo. Occorre, in particolare, riflettere sulle modalità applicative dell’istituto non solo allorquando, in ipotesi – per così dire – fisiologica, venga a mancare il quorum deliberativo per provvedere ad una fattuale conferma della nomina dell’amministratore in carica (si pensi al caso di condomìni di importanti dimensioni, con numero di condòmini tale da rendere difficile il raggiungimento di maggioranze qualificate) ma altresì nelle ipotesi – che potremmo definire patologiche – di invalidità della delibera di nomina, nonché di dimissioni o di revoca, assembleare o giudiziale, dell’amministratore.
Al fine di correttamente inquadrare la questione, va richiamata la previsione dell’art. 1129 co. 10 c.c. il quale prevede, seppure con una formulazione alquanto infelice, che “l’incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata”. Dunque, nella vigenza dell’incarico gestorio, l’amminstratore esercita le facoltà ed i poteri che la legge gli riconosce, in applicazione dell’istituto del mandato, che si applica in via residuale, laddove non diversamente disciplinato dalla normativa codistica e speciale sul condominio.
Decorso il termine previsto, senza l’incarico sia stato validamente rinnovato da un’assemblea regolarmente convocata e che abbia deliberato secondo le maggioranze di legge, si applica l’istituto della prorogatio imperii, che consiste, come ci dice il termine medesimo, nella proroga (perpetuatio) dei poteri – ed altresì degli obblighi – di cui all’art. 1130 e all’art. 1131 c.c. – sino alla nomina del nuovo amministratore o alla riconferma, con le forme tipiche, di colui che si trova in prorogatio.
Tale istituto, come anticipato, trae origine da una costruzione giurisprudenziale mutuata dal diritto pubblico e di origini giusromanistiche, applicata alla materia condominiale: la Suprema Corte di Cassazione, con insegnamento pacifico e risalente, afferma che “la prorogatio imperii dell’amministratore trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condòmini e nell’interesse del condominio alla continuità dell’amministrazione”. Dunque, in ragione del carattere perenne e necessario riconosciuto all’ufficio di amministratore e dell’interesse della collettività condominiale a che esso non venga interrotto, si applica al condominio l’istituto della prorogatio imperii. Esso viene poi descritto – con modalità almeno apparentemente difformi – dal disposto dell’art. 1129 co. 8 c.c., come introdotto dalla c.d. Riforma del Condominio (l. 220/2012 entrata in vigore il 18.6.2013), il quale dispone che “alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi.”.
Mentre la norma codicistica pare fare rierimento solo alle “attività urgenti”, l’interpretazione giurisprudenziale storicamente fornita insegna che il contenuto dell’istituto comprende l’interezza dei poteri di ordinaria amministrazione dello stabile. In effetti, a ben vedere, atteso il “carattere perenne e necessario” dell’ufficio che l’amministratore ricopre “e che non ammette soluzioni di continuità” (Cass. Civ. sez. II, n. 10607/2014) appare difficile individuare quali siano quelle attività – inscritte tra i doveri dell’amministratore – il cui mancato compimento non arrechi “pregiudizi agli interessi comuni”, come da dettato normativo.
Definito il contenuto dell’istituto, appare opportuno verificarne l’applicabilità nelle ipotesi ove si innestino situazioni di criticità.
Afferma con chiarezza la Suprema Corte come esso si applichi non solo nei casi di scadenza del termine di cui all’art. 1129 c.c. o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o di annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina (Cass. n. 18660 del 2012; Cass. n. 1405 del 2007 e Cass. n. 4531 del 2003): “ne consegue che l’amministratore di condominio il cui mandato sia venuto meno, per qualunque causa, continua ad esercitare legittimamente, fino all’avvenuta sostituzione, i poteri di rappresentanza dei comproprietari.” (Cass. Civ. sez. II, n. 16070/16).
Ne discende, nonostante la apparente contraddittorietà in termini del principio sancito, come “l’amministratore condominiale, la cui nomina sia stata dichiarata invalida, continua ad esercitare legittimamente, fino all’avvenuta sostituzione, i poteri di rappresentanza, anche processuale, dei comproprietari, rimanendo l’accertamento di detta prorogatio rimesso al controllo d’ufficio del giudice e non soggetto ad eccezione di parte, in quanto sia inerente alla regolare costituzione del rapporto processuale” (Cass. n. 18660/2012; Cass. n. 10274/02).
Ma v’è di più: all’amministratore seppure illegittimamente nominato, ma in costanza di prorogatio imperii, si riconoscono altresì tutti quei poteri che afferiscono all’ufficio, tra i quali quello di convocare legittimamente una valida assemblea condominiale, come ribadisce, la Corte di legittimità, la quale riconosce che “l’assemblea è regolarmente riunita nella pienezza dei suoi poteri indipendentemente dagli eventuali vizi della precedente delibera di nomina dell’amministratore che l’ha convocata” (Cass. n. 10607/2014) e che quindi può legittimanente deliberare, anche in merito alla nomina di un nuovo amministratore o alla conferma dell’attuale.
Al contrario, seppure sul punto la giurisprudenza appaia talora discordante, deve ritenersi che costituisca un’ipotesi di non applicabilità dell’istituto l’intervenuta revoca, sia essa sancita con delibera assembleare che sia contraria alla conservazione dei poteri, sia essa dichiarata con pronuncia giudiziale per giusta causa.
In tema di intervenuta revoca assembleare, chiaramente insegna la Suprema Corte come “la perpetuatio di poteri in capo all’amministratore uscente, dopo la cessazione della carica per scadenza del termine di cui all’art. 1129 c.c. o per dimissioni, fondandosi su una presunzione di conformità di una siffatta perpetuatio all’interesse ed alla volontà dei condòmini, non trova applicazione quando risulti, viceversa, (come nel caso in esame) una volontà di questi ultimi, espressa con delibera dell’assemblea condominiale, contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell’amministratore, cessato dall’incarico.” (Cass. Civ. 12120/2018).
La intervenuta revoca giudiziale, come diffusamente argomentato da una recente pronuncia sul punto del Tribunale di Fermo (sent. n. 608 del 12.10.2017), comporta il venir meno di quei presupposti che sostengono il rapporto di mandato esistente tra le Parti e ne provocano pertanto la sua immediata cessazione. La cessazione dell’incarico dell’amministratore, come prevista dal dettato dell’art. 1129 co. 8 c.c. e da quello dell’art. 71 bis disp. att. c.c. è condizione giuridica approfondita dalla rilfessione del Tribunale marchigiano e si verifica in alcune situazioni, come per esempio in caso di perdita dei requisiti per l’esercizio dell’incarico, nelle quali “è ammesso che il condominio sia provvisoriamente privo del legale rappresentante” e in cui la legge “riconosce il potere ai condòmini di convocare direttamente l’assemblea” ed altresì ricorrere al Tribunale per la nomina di un amministratore giudiziario. Ne discende come sia chiaramente incompatibile la prosecuzione dell’attività di amministrazione, ancorché in prorogatio, con i presupposti che hanno dato luogo alla revoca, e dunque con la mala gestio derivante da gravi irregolarità accertate dal Tribunale, in quanto l’attività gestoria così malamente esercitata pregiudicherebbe gli interessi della collettività condominiale anziché tutelarli.
A conclusione della presente disamina deve affrontarsi, infine, il tema della ammissibilità della revoca giudiziale dell’amministratore in prorogatio. Sul punto vi è una oscillante giurisprudenza di merito.
La tesi contraria, sostenuta da una nota pronuncia del Tribunale di Catania (Decr. 10.2.2014, RGVG 3176/13) è argomentata, a parere di chi scrive, da una interpretazione erronea e da una lettura frettolosa dell’insegnamento della Suprema Corte che – svolto con formulazione infelice, ripresa pedissequamente in varie e successive pronunce – parrebbe affermare, a prima vista, la applicabilità dell’istituto della prorogatio anche in caso di revoca dell’amminstratore, ma che – in realtà – intende affermare la applicabilità dell’istituto in caso di revoca della delibera assembleare di nomina dell’amministratore, cadendo, diversamente, in grave contraddizione con le argomentazioni ben esposte dalla diversa giurisprudenza di merito sopra riportata. Per non incorrervi, non può non precisare, nel menzionato provvedimento, lo stesso Tribunale siciliano, come la questione dell’ammissibilità o meno della revocabilità dell’amministratore in prorogatio sia da ritenersi superata dalla possibilità per ciascun condomino di proporre ricorso per nomina di amministratore giudiziale.
Così affermando, tuttavia, il Tribunale catanese omette di considerare come la ammissibilità della revoca giudiziale dell’amministratore in prorogatio è sostenuta da una ratio che ne prevede un presupposto, ed una utilitas, come chiaramente argomentato, secondo la tesi favorevole, e decisamente condivisibile, con recentissima pronuncia della Corte d’Appello di Bari, Decr. del 27.6.2019 RG 2392/18.
Quale presupposto, considera la Corte come non possa equipararsi l’amministratore in prorogatio con quello revocato, in quanto quest’ultimo deve dirsi impossibilitato a svolgere la perpetuzione delle funzioni. Quale utilità, inoltre, la revoca giudiziale impedisce all’amministratore che ne sia soggetto la facoltà di essere nuovamente nominato dall’assemblea. Argomentando, infine, a contrario, ritiene la Corte come “ove la revoca giudiziale dell’amministratore in prorogatio non fosse ammessa, verrebbe meno la possibilità di qualsiasi controllo giudiziale sull’operato di questi, a discapito delle minoranze dell’assemblea condominiale o di singoli condomini dissenzienti, la cui tutela dovrebbe essere il perno della disciplina legislativa inerente alla funzione assembleare.”
A fortiori, va aggiunto come, ipotizzando la non ammissibilità della revoca giudiziale dell’amministratore in prorogatio, si aprirebbe un vulnus nel sistema di controllo giudiziale dell’amministratore regolarmente in carica il quale, semplicemente presentando le proprie dimissioni, e dunque entrando in regime di prorogatio, da un lato si sottrarrebbe all’accertamento delle irregolarità commesse da parte del Tribunale e dall’altro si porrebbe in condizione di continuare ad operare legittimamente sui beni e sulle somme in sua gestione, nonostante eventuali gravi irregolarità commesse, potendo essere rimosso solamente mediante la nomina di un nuovo amministratore.
In conclusione, e per scrupolo di completezza, appare opportuno precisare che l’applicazione dell’istituto della prorogatio imperii, e le vicende delle quali si è trattato, riguardano anche l’amministrazione del supercondominio, mutatis mutandis, secondo la normativa applicabile.