[A cura di: Maurizio Zichella – vice pres. naz. Arco] La casistica del conflitto d’interessi ovvero la votazione del condomino in potenziale conflitto d’interessi è una di quelle situazioni che hanno richiesto in più di un’occasione l’intervento della Corte di Cassazione. La questione non è di poco conto, in particolare quando, all’interno di un’assemblea condominiale, ci si trova di fronte alla possibilità che il voto, decisivo, del condomino in conflitto d’interessi, possa in qualche maniera condizionare la volontà assembleare andando a tutelare un particolare interesse personale piuttosto che generale.
Come molto spesso accade la Corte nelle sue decisioni ha come riferimento il diritto societario (fatte le dovute distinzioni), e – come vedremo più avanti – cita l’art. 2373 c.c. riguardante il voto in assemblea del socio in potenziale conflitto d’interessi.
La Cassazione 25 gennaio 2018, n. 1853 ha confermato l’orientamento già espresso sul punto dalla Corte, che il Collegio ha voluto riaffermare. Si è chiarito come, in tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, e comprendono i condòmini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all’autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio (così Cass. Sez. 2, 28/09/2015, n. 19131; Cass. Sez. 2, 30/01/2002, n. 1201).
È noto come tale orientamento discenda dal presupposto dell’ammissibilità, nella disciplina delle assemblee di condominio, di una interpretazione estensiva (o meglio, del ricorso ad un’applicazione analogica) dell’art. 2373 c.c., norma riguardante il conflitto di interessi del socio nelle deliberazioni della società per azioni. Nel testo dell’art. 2373 c.c., conseguente alla riformulazione operatane dal D.Lgs. n. 6 del 2003, è venuta meno la disposizione che portava a distinguere, in caso di conflitto di interesse, tra quorum costitutivo dell’assemblea e quorum deliberativo della stessa, e si afferma unicamente che la deliberazione approvata con il voto determinante di soci che abbiano un interesse in conflitto con quello della società, è impugnabile, a norma dell’art. 2377 c.c., qualora possa recarle danno.
Nella ricostruzione da ultimo offerta da Cass. sez. 2, 28/09/2015, n. 19131 (ma si veda anche Cass. Sez. 2, 16/05/2011, n. 10754), dunque, soltanto se risulti dimostrata una sicura divergenza tra l’interesse istituzionale del condominio e specifiche ragioni personali di determinati singoli partecipanti, i quali non si siano astenuti ed abbiano, perciò, concorso con il loro voto a formare la maggioranza assembleare, la deliberazione approvata sarà invalida. L’invalidità della delibera discende, quindi, non solo dalla verifica del voto determinante dei condòmini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio (e che, perciò, abbiano abusato del diritto di voto in assemblea), ma altresì dalla dannosità, sia pure soltanto potenziale, della stessa deliberazione.
Il vizio della deliberazione approvata con il voto decisivo dei condòmini in conflitto ricorre, in particolare, quando la stessa sia diretta al soddisfacimento di interessi extracondominiali, ovvero di esigenze lesive dell’interesse condominiale all’utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell’edificio. In ogni modo, il sindacato del giudice sulle delibere condominiali deve pur sempre limitarsi al riscontro della loro legittimità, e non può estendersi alla valutazione del merito, ovvero dell’opportunità, ed al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei partecipanti (si veda, ad esempio, Cass. sez. 2, 20/06/2012, n. 10199).
L’impugnazione ex art. 1137 c.c., grazie anche al rinvio all’art. 1109 c.c. consentito dall’art. 1139 c.c., si amplia al più all’ipotesi in cui la delibera ecceda dai poteri dell’organo assembleare, non potendosi consentire alla maggioranza del collegio, distolta dal perseguimento di interessi particolari, di ledere l’interesse collettivo. Allorchè la decisione dell’assemblea sia deviata dal suo modo di essere, perché viene formata con il voto determinante di partecipanti ispirati da finalità extracondominiali, al giudice non può quindi chiedersi comunque di controllare l’opportunità o la convenienza della soluzione adottata dal collegio, quanto, piuttosto, di stabilire che essa non costituisca il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’organo deliberante (cfr. Cass. sez. 6 2, 21/02/2014, n. 4216; Cass. sez. 2, 14/10/2008, n. 25128).