Avv. Fabrizio PLAGENZA
In un’era come quella attuale, dove gli accordi viaggiano in rete e dove è proprio la rete, spesso, a creare i presupposti per sinergie tra professionisti o tra imprese e consumatori, un ruolo significativo lo rivestono i contratti. Il contratto è il risultato dell’accordo tra le parti. E’ l’incontro della volontà delle stesse. Volontà che devono essere manifestate in modo chiaro nella direzione del voler stipulare un contratto.
A volte, questa manifestazione di volontà non emerge in modo chiaro. Altre volte manca del tutto. E’ il caso dei servizi non richiesti. Un servizio richiesto implica la stipula di un contratto. Dunque, presuppone la volontà di concludere il contratto ed avere un servizio. Se manca la volontà in tal senso, manca il contratto. E’ questo, in estrema sintesi, il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 12 gennaio 2021, n. 261.
Nel caso di contratti di fornitura (di energia, gas o altro) che non risultino essere stati richiesti, nulla è dovuto da parte del consumatore. L’elemento importante sta nel fatto che nulla sarà dovuto, nemmeno a titolo di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c..
Se, da un lato, si potrebbe obiettare che un servizio non richiesto, ma di cui comunque si è usufruito, porterebbe un beneficio di cui si sia avvalso l’utente finale, dall’altro, in diritto, è proprio l’assenza del consenso a definire la questione : non avendo il consumatore prestato alcun consenso, non può essere allo stesso richiesta alcuna somma, nemmeno laddove abbia di fatto usufruito del servizio.
La norma richiamata dalla Suprema Corte è l’art. 57 del D. Lgs. 206/2005 (c.d. Codice del Consumo), vigente all’epoca dei fatti ed il contenuto, sebbene lievemente modificato, è previsto dal nuovo art. 66 quinquies del Codice del Consumo, che ha sostituito il citato art. 57.
La vicenda trae origine dalla decisione del Giudice di Pace di Fasano, a seguito della domanda formulata da un consumatore (il quale contestava le somme che gli erano state addebitate dalla società fornitrice di energia, per non aver mai richiesto la relativa fornitura). Il giudice di primo grado aveva dichiarato la nullità del contratto di fornitura di energia elettrica con la società fornitrice, per difetto di firma dell’attore/consumatore stesso, in quanto era risultato che la firma sul relativo contratto era stata falsificata da un terzo (nella specie dall’agente della società fornitrice). Dalla nullità del contratto, derivava che nulla fosse dovuto a detta società per la fornitura di energia comunque erogata. La sentenza di primo grado condannava, inoltre, la società al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti dal consumatore.
La società fornitrice proponeva appello innanzi al Tribunale di Brindisi che, in accoglimento dell’appello e in totale riforma della decisione impugnata, ribaltava il giudizio e rigettava tutte le domande proposte dal consumatore, condannandolo altresì alle spese del doppio grado di giudizio.
Consumatore che, tuttavia, non demordeva, proponendo ricorso per Cassazione avverso la predetta sentenza, ritenuta erronea soprattutto per l’errato convincimento del giudice d’appello che aveva ritenuto “non richiesto” il nuovo fornitore ma non la fornitura di per sé (ciò in quanto il consumatore aveva formulato istanza di rientro con il precedente fornitore). “Secondo il consumatore, invece, a non essere richiesta non era solo la fornitura da un soggetto diverso dal precedente, ma proprio quella fornitura alle nuove e diverse condizioni contrattuali, pertanto nessuna somma doveva essere versata alla società fornitrice”.
Per quanto qui di nostro interesse, si segnala che il ricorso veniva accolto alla luce del fatto che era emerso chiaramente che si trattasse presenza di una fornitura non richiesta in merito alla quale doveva ritenersi “pacifica l’esclusione di qualsiasi prestazione corrispettiva a carico del consumatore”. Ugualmente, per la Corte, “pur essendo vero che il consumatore abbia comunque tratto vantaggio dalla fornitura non richiesta (anzi, addirittura imposta), tuttavia deve ritenersi che il legislatore abbia inteso far prevalere gli interessi della parte debole del contratto (consumatore) a discapito del professionista che unilateralmente e illecitamente abbia proceduto alla fornitura; di tal ché su quest’ultimo debbono ricadere in ogni caso le conseguenze derivanti da tale comportamento. Pertanto, il Collegio ha ritenuto che alla società fornitrice non spettasse alcunché per la fornitura in oggetto, nemmeno a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c.”. Infatti, il consumatore non aveva prestato, pacificamente, alcun consenso al riguardo.
Un’ordinanza importante che segna un rafforzamento della tutela del consumatore e che consente di evitare oneri conseguenti a pratiche commerciali scorrette, anche alla luce delle direttive comunitarie sulle pratiche sleali e ingannevoli.
Avv. Fabrizio PLAGENZA
Resp. Dipartimento Casa – Consumerismo no profit