Avv. Matteo Rezzonico
La pandemia da Covid-19 ha messo in ginocchio molte attività commerciali, costrette dal lockdown e dalle limitazioni imposte dal governo ad abbassare le saracinesche o comunque ridurre i giorni e gli orari d’apertura. Di conseguenza, con il drastico calo degli introiti molti esercenti si sono ritrovati in difficoltà economica e, nei casi più gravi, impossibilitati a onorare il canone di locazione. Una situazione che nonostante i ristori e il credito d’imposta sul canone d’affitto (che il beneficiario può scegliere di cedere) messi in campo dall’Esecutivo rimane grave.
Da un lato c’è il commerciante che non incassa e non riesce a pagare l’affitto, dall’altro il proprietario dell’immobile che oltre a non riscuotere il canone non può neppure rivalersi sul condomino moroso. Il decreto Milleproroghe, infatti, ha esteso fino al 30 giugno 2021 il blocco degli sfratti dovuti al mancato pagamento del canone.
È interessante osservare che dal punto di vista normativo il titolo secondo, capo XIV, del Codice civile, oltre alla risoluzione del contratto per inadempimento, prevede altre due ipotesi attraverso le quali è possibile interrompere l’accordo tra proprietario e inquilino: l’impossibilità sopravvenuta della prestazione e l’eccessiva onerosità.
Per quanto concerne l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, l’articolo 1463 del Codice dispone che «la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito». La pandemia da Covid-19 come ha avuto un inizio avrà una fine e quindi la prestazione è da ritenersi solo temporaneamente impossibile, cosicché il debitore rimane responsabile dell’adempimento: in sostanza è tenuto a pagare l’affitto.
L’articolo 1464 del Codice centra in pieno il problema, disponendo che «quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale». Tradotto significa che il conduttore può chiedere al proprietario dell’immobile una riduzione del canone di affitto, con l’importo che tornerà quello stipulato in origine al termine dell’emergenza sanitaria.
Per il principio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, nel caso in cui la prestazione di una delle parti diventi eccessivamente onerosa a causa di un evento imprevedibile qual è il Covid, il conduttore è legittimato a domandare la risoluzione del contratto a norma dell’articolo 1467, con il locatore che a sua volta, per mantenere in vita l’accordo, può offrire la rinegoziazione del contratto a condizioni vantaggiose per entrambe le parti.
In questo clima dominato dall’incertezza, comincia a formarsi una giurisprudenza che tiene conto del Covid-19. Un esempio è l’ordinanza del 27 agosto 2020 pronunciata dal Tribunale di Roma, che ha accolto la domanda di un ristoratore in difficoltà, prevedendo una riduzione decrescente (dal 40 al 20 per cento) del canone di locazione. Per il giudice, che ha anche sospeso la fideiussione «(…) in ragione della mancata ottemperanza della parte resistente ai doveri di contrattazione derivanti dai princìpi di buona fede e solidarietà, sembra necessario fare ricorso alla buona fede integrativa per riportare in equilibrio il contratto nei limiti dell’alea negoziale normale». E ancora, «trattandosi di impossibilità parziale temporanea, il riflesso sull’obbligo di corrispondere il canone sarà dunque quello di subire, ex art. 1464 c.c. una riduzione destinata, tuttavia, a cessare nel momento in cui la prestazione della resistente potrà tornare ad essere compiutamente eseguita».
Con l’ordinanza del 28 luglio 2020, il Tribunale di Venezia ha invece respinto l’istanza di sfratto avanzata dal proprietario di un negozio che non ha incassato il canone mensile dal conduttore. In questo caso il giudice ha tenuto conto della situazione antecedente allo scoppio della pandemia, constatando che il conduttore aveva sempre onorato il contratto e che «(…) la morosità si riferisce a mensilità nelle quali la società conduttrice non ha potuto esercitare nei locali l’attività commerciale, a causa delle restrizioni imposte dalla normativa sanitaria in materia di Covid-19 o l’ha potuta esercitare in maniera ridotta». Per il Tribunale si tratta quindi di impossibilità parziale temporanea «che giustifica nei contratti a prestazioni corrispettive o la riduzione della controprestazione o il recesso». Motivando il rigetto dell’istanza di sfratto, il giudice ha specificato che il provvedimento tiene anche conto «(…) della necessità di preservare la continuità dell’attività aziendale, che sino all’inizio dell’emergenza sanitaria era ben avviata, e i posti di lavoro».
Avv. Matteo Rezzonico