[A cura di: avv. Michele Melone – consigliere nazionale A.P.P.C.] L’accesso del locatore all’immobile concesso in locazione rappresenta un tema molto delicato in quanto scarsamente definito in ambito normativo ma, invece, frequente poi nella prassi contrattuale. Come detto, infatti, la legge quasi nulla dice e davvero poche, inoltre, sono le decisioni dei giudici a riguardo.
La giurisprudenza ha voluto riconoscere l’esistenza di una sorta di “obbligo di visita” a favore del locatore ispirandosi ai principi di “diligenza” e di “correttezza” (rispettivamente agli artt. 1175 e 1375 del codice civile) che devono guidare le parti nell’esecuzione del contratto di locazione. Se però partiamo, come in effetti siamo partiti, dall’affermare che non esistono norme a favore del locatore che riconoscono a quest’ultimo un diritto di controllo e di verifica dell’immobile locato, neppure si può dire che, in caso di rifiuto del conduttore alla visita dell’immobile, si possa configurare per questi un inadempimento contrattuale tale da giustificare la risoluzione del contratto di locazione.
Per evitare l’insorgere di liti, spesso si inserisce all’interno del contratto di locazione un’apposita clausola del tipo: “Il conduttore deve consentire l’accesso all’unità immobiliare al locatore, al suo amministratore nonché ai loro incaricati ove gli stessi ne abbiano – motivandola – ragione. Nel caso in cui il locatore intenda vendere l’unità immobiliare locata, il conduttore deve consentirne la visita una volta la settimana, per almeno due ore, con esclusione dei giorni festivi”.
Tale clausola, se da un lato tutela la parte locatrice che può, così, controllare lo stato dell’immobile, allo stesso tempo tutela la privacy della parte conduttrice nonché il godimento del bene da parte di quest’ultima.
La mancanza di una specifica norma da parte del legislatore che disciplini il diritto di visita all’immobile da parte del locatore confermerebbe, dunque, la teoria secondo la quale in assenza di una specifica clausola contrattuale, il locatore non può imporre al conduttore la visita (anche di potenziali terzi interessati all’acquisto dell’immobile) e il rifiuto dell’inquilino non configura inadempimento contrattuale. In sintesi: “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”.
Presenza e consenso del conduttore nonché un congruo preavviso, sembrano essere elementi necessari ed indispensabili per regolare il “diritto” di visita all’immobile locato da parte del locatore.
Prima di proseguire è necessario fare una opportuna quanto necessaria precisazione: tutto ciò che abbiamo detto vale per la locazione ma non… per il contratto di affitto! Infatti, nell’uso comune, locazione e affitto sono spesso termini che vogliono significare il medesimo concetto: il godimento di una cosa verso il pagamento di un canone.
Nel mondo del diritto, invece, non è assolutamente così: il contratto di affitto è regolato dall’art. 1619 c.c. il quale prevede il godimento di una cosa al fine di renderla produttiva: “Il locatore può accertare in ogni tempo, anche con accesso in luogo, se l’affittuario osserva gli obblighi che gli incombono”. Solo in questo secondo caso esiste un vero “diritto di controllo” del locatore sull’affittuario.
A questo punto, alla luce di quanto detto, bisogna chiedersi quali siano gli strumenti in capo al locatore per tutelarsi. Innanzitutto, è buona norma inserire all’interno del contratto di locazione almeno una clausola che garantisca al locatore (o ai suoi delegati) di poter accedere, di comune intesa e previo congruo avviso al conduttore, all’immobile al fine di esercitare il potere di visita.
Potrebbe essere una soluzione perseguibile anche quella di consentire al locatore (o all’amministratore del condominio o ai suoi addetti) un accesso immediato all’immobile in caso di danni considerato che, in questi casi, lasciar trascorrere troppo tempo, potrebbe portare a delle conseguenze molto dannose. Si pensi, ad esempio, che in assenza del conduttore, senza che questi possa recarsi nell’immediato presso l’immobile, si verifichino gravi infiltrazioni. Lo stesso dicasi in caso di danno grave a cose o persone. In tutte queste situazioni, seppur in assenza e senza munirsi del previo consenso da parte del conduttore, si può ritenere che il locatore, magari avvertito dall’amministratore del condominio, possa accedere all’immobile per evitare guai peggiori.
Tuttavia, quanto sopra detto, ci porta ad una ulteriore considerazione: il proprietario può tenere una copia delle chiavi con cui entrare in assenza dell’inquilino? La risposta a tale quesito è certamente “no” qualora tale accesso non sia dovuto a casi urgenti ed indifferibili così come sopra riportati a titolo di esempio.
Tuttavia, nonostante quanto analizzato, si ritiene che il locatore non può entrare nell’immobile utilizzando le proprie chiavi (anzi dovrebbe consegnarne la copia al conduttore) questo in quanto, con il contratto di locazione, seppur continuando naturalmente a mantenere la proprietà dell’immobile, il locatore ne perde la detenzione che passa al conduttore.
Certamente, invece, il locatore può conservare una copia delle chiavi dell’appartamento in caso di locazione di una sola stanza, quindi di locazione parziale dell’immobile. In caso di locazione dell’intero immobile, invece, il fatto che egli conservi per sé una copia del mazzo di chiavi, deve essere appositamente specificato per iscritto nel contratto di locazione: questo quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n°10066 del 18 gennaio 2005.
Tuttavia, pur trattenendo le chiavi, il locatore non ha il diritto di accedere a proprio piacimento nell’immobile, dovendo procedere con le modalità sopra descritte.
Al di fuori di tali circostanze, il locatore non può entrare nell’immobile locato e, se lo fa, può essere querelato dal conduttore per violazione di domicilio. Recita l’art. 614 c.p.: “Chiunque s’introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con l’inganno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni“.