[A cura di: avv. Lorenzo Cottignoli – pres. naz. Laic – legaamministratori.it] Accade sovente che vi sia necessità, per l’amministratore del condominio o, in genere, per il proprietario di un fondo, di poter accedere alla proprietà confinante, al fine di poter provvedere ad attività di manutenzione o di ristrutturazione del proprio immobile, talora prevedendo l’installazione di ponteggi, la cui durata risulta presuntiva.
Non meno di sovente, chi richiede tale accesso si trova di fronte ad un diniego, immotivato o argomentato sulla scorta delle più varie obiezioni, oppure ad un consenso condizionato ad una richiesta di pagamento di somme, quantificate in modo unilaterale, talora arbitrario o fantasioso.
Tentiamo, dunque, di chiarire se, ed in quale misura, sussista un diritto di accesso e quale natura esso abbia, cercando di fare luce sui limiti e sulle modalità di esercizio dello stesso, nonché soffermandoci sulla (eventuale) corresponsione di somme che ne possa derivare.
La norma che disciplina tale ipotesi è costituita dall’art. 843 c.c. il quale, nella parte che qui interessa, al comma 1, dispone: “Il proprietario deve permettere l’accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune.”.
Si tratta di un limite alla proprietà privata posto per la salvaguardia di altri interessi privati, socialmente apprezzabili, che costituisce deroga al principio generale sulla proprietà privata (e, come tale, non potrà dirsi applicabile per analogia).
Se è vero, infatti, che l’art. 832 c.c. definisce la proprietà quale “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”, e cioè quale diritto di escludere altri dal loro godimento, è altrettanto vero che la stessa norma pone quali confini a tale diritto “i limiti e (…) l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”, tra i quali limiti va annoverato, precisamente, quello previsto dall’art. 843 c.c., che consente al proprietario (ma, secondo la dottrina, anche al titolare di altreo diritto reale ed al possessore) del fondo confinante il diritto di accesso e passaggio, per edificare o mantenere un’opera propria o comune, ponendo, tuttavia, la condizione della “riconosciuta necessità”.
La dottrina, e parimenti la giurisprudenza, sono state in passato molto divise in relazione alla natura di tale diritto, la cui determinazione, come vedremo, comporta riflessi processuali e sostanziali in merito alla sua tutela ed alla sua applicabilità.
In particolare, escludendosi per larga maggioranza che si tratti di una servitù legale, mancando il requisito della durevolezza della causa (e così altresì escludendone una tutela possessoria), si è formata una forte corrente di pensiero, suffragata da un’ampia produzione giurisprudenziale di legittimità, che considera tale diritto quale obbligazione propter rem e dunque correlata alla proprietà del bene.
Una diversa corrente di pensiero, confortata da minore ma non meno autorevole giurisprudenza, ha ipotizzato, invece, che essa costituisse non un diritto del vicino, ma una caratteristica propria, e specificamente un limite, della proprietà fondiaria, tale per cui il proprietario avrebbe dato luogo ad un illecito nell’impedire l’accesso al vicino. Vi è chi osserva, peraltro, che tale conformazione della proprietà costituirebbe una caratteristica reciproca di entrambi i fondi, di talché sarebbe difficile negare tutela possessoria al vicino che si dovesse veder rifiutato l’accesso al fondo.
Sotto un profilo di tutela processuale del diritto di accesso, tuttavia, nessuna delle due ricostruzioni concettuali nega che sia opportuna e consentita la tutela in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c.. Deve intendersi, invece, esperibile la tutela possessoria a favore del proprietario del fondo invaso allorquando il diritto di accesso venga esercitato nonostante l’opposizione di questi.
Dal punto di vista sostanziale, inoltre, l’esercizio del diritto di accesso potrà aver luogo, come previsto dalla norma, allorquando ve ne sia una “riconosciuta necessità”, e quindi non possano esperirsi soluzioni alternative, ancorché economicamente più gravose (dacché non è in questione un contemperamento di interessi economici tra i titolari dei due fondi, ma l’esercizio condizionato di un diritto) per dare corso all’esecuzione delle opere necessarie al fondo vicino. Ove tali soluzioni fossero esperibili, potrà accedersi al fondo solo in via pattizia, ovvero previo accordo col proprietario. L’accertamento della sussistenza delle condizioni di fatto che configurano il verificarsi della necessità compete, naturalmente, al Giudice.
Quanto al contenuto del diritto, va chiarito come – seppure la norma si esprima coi termini di “accesso” e “passaggio”, tenuto conto che la finalità di “costruire o riparare” non può necessariamente comportare un’attività immediata, va considerato incluso nel diritto di accedere o di passare sul fondo quello di permanervi, e di installarvi opere, come ponteggi ed impalcature, che lo occupino temporaneamente, ma solo per il periodo strettamente necessario alla loro esecuzione.
Si comprende, dunque, come venga in questione, in particolare nell’ipotesi di occupazione stabile, ancorché limitata nel tempo, del fondo, la possibilità di una richiesta di pagamento di somme da parte del proprietario. Tale diritto sorge, secondo il comma 2 dell’art. 843 c.c. “se l’accesso cagiona danno” nel cui caso “è dovuta un’adeguata indennità.”.
Tale “indennità” viene descritta dalla giurisprudenza più recente, quale risarcimento per un danno che sia stato effettivamente patito dal proprietario del fondo, ancorché non dimostrabile in concreto, ma liquidato in via equitativa, in ragione dell’accesso subìto, trattandosi di una condotta costituita da un atto lecito dannoso, e dunque svincolato da una condotta colpevole del danneggiante.
Sul punto, sono illuminanti due sentenze della Suprema Corte, le quali ne chiariscono la natura ed i termini. Insegna il Supremo Collegio, in particolare, come la liquidazione dell’indennità non possa prescindere dal “concorso di elementi dai quali si possa desumere, anche in via presuntiva, che un danno si sia prodotto”, non risultando sufficiente, a tal fine, la mera occupazione del fondo, per il tempo strettamente necessario all’esecuzione dei lavori (Cass. Civ. Sez. VI-II, 21.6.2019 n. 16776).
Può invece costituire motivo di risarcimento l’eventuale occupazione del fondo per tempi incompatibili ed eccessivi (nel caso di specie, oltre settecento giorni) rispetto a quelli necessari alla realizzazione delle opere (cfr. Cass. Civ. Sez. II, 27.1.2009 n. 1908).