[A cura di: avv. Emanuele Bruno – www.studiobruno.info]
Quando in un edificio il numero dei condòmini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione.
Ciascun condomino può prendere l’iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente. Il regolamento deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell’articolo 1136 ed allegato al registro indicato dal numero 7) dell’articolo 1130. Esso può essere impugnato a norma dell’articolo 1107.
Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137.
Attenzione: se i condòmini sono meno di dieci, il regolamento non è obbligatorio, quindi, potrà essere assente o, in alternativa, essere discusso ed adottato per libera scelta dei condòmini.
Il comma 3 dell’art. 1138 c.c. chiarisce che il regolamento deve essere allegato al registro dei verbali, pertanto deve essere redatto in forma scritta.
“La formazione del regolamento condominiale è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam, desumendosi la prescrizione di tale requisito formale, sia dalla circostanza che l’art. 1138 comma ultimo c.c. prevedeva (nel vigore dell’ordinamento corporativo) la trascrizione del regolamento nel registro già prescritto dall’art. 71 disp. att. c.c.” (Cass. SS.UU., n. 943/1999).
Regolamento e tabelle millesimali sono due documenti distinti.
Le tabelle misurano il rapporto tra la proprietà singola ed il complesso, in tutte le alternative possibili, perseguono uno scopo amministrativo-contabile utile al calcolo delle maggioranze ed al riparto delle spese.
Il regolamento disciplina l’uso delle parti comuni.
Nella realtà, capita spesso che vengano, per opportunità e semplicità, uniti in un documento unico, tuttavia restano elaborati materialmente e funzionalmente autonomi.
“Dalla giurisprudenza della Suprema Corte è possibile trarre il principio della non necessaria correlazione tra regolamento di condominio e tabelle millesimali, nel senso che se, da un lato, è necessario, in caso di formazione del regolamento condominiale, che vengano anche predisposte le tabelle relative alla ripartizione delle spese condominiali, dall’altro è possibile che vengano formate convenzionalmente le tabelle anche se il regolamento condominiale non sia stato predisposto. Ne deriva che, laddove il condominio sia composto da meno di dieci partecipanti, la mancata previsione dell’obbligo di predisporre il regolamento non può comunque precludere ad ogni condomino il diritto di chiedere giudizialmente la formazione delle tabelle, essendo questi titolare di un interesse concreto alla determinazione, in via generale, dei criteri di ripartizione delle spese condominiali.” (Corte d’Appello Palermo, sez. II, sent., 22/03/2011).
Esistono tre tipi di regolamento: assembleare, contrattuale e “amministrativo”.
Il regolamento assembleare è disciplinato dall’art. 1138 c.c.: ciascun condomino (indipendentemente dal valore millesimale) può attivarsi affinché l’assemblea discuta – deliberi l’adozione.
A fronte dell’iniziativa del singolo, per i condomini con più di 10 condòmini, l’assemblea non può rigettare l’istanza. Ove ciò accada la conseguente impugnazione ha esisto scontato a favore del soggetto istante.
“I regolamenti condominiali, non approvati dall’assemblea ma, adottati coattivamente, in virtù di sentenza attuativa del diritto potestativo di ciascun partecipe di condominio con più di dieci componenti di ottenere la formazione del regolamento della comunione, in necessaria correlazione con la natura del titolo giurisdizionale che ne costituisce la fonte, hanno autoritativamente, ai sensi dell’art. 2909 cod. civ., efficacia vincolante per tutti i componenti della collettività condominiale, indipendentemente dalla circostanza che la loro adozione sia avvenuta nel dissenso, totale o parziale, di taluno di essi, allorché la pronuncia che ne abbia sanzionato l’operatività sia divenuta non più impugnabile e, quindi, definitiva ed irretrattabile.”. (Cass. Civ., n. 1218/1993).
Il regolamento assembleare è caratterizzato da procedure e limiti propri del funzionamento assembleare. Le regole in esso enunciate dovranno disciplinare l’uso delle parti comuni, non potranno limitare il diritto di proprietà del singolo, potranno essere modificate con le stesse maggioranze prescritte per la prima formulazione (1138).
Il regolamento convenzionale, di solito, è predisposto dal costruttore ed allegato ai singoli atti di compravendita. Si caratterizza per l’origine negoziale, per la volontà-scelta di disciplinare l’uso della proprietà privata e della proprietà comune secondo regole ben precise che possono essere anche limitative del diritto del singolo. Lecita sarà la clausola regolamentare che vieta particolari destinazioni d’uso delle singole unità (es. vieta la destinazione ad attività professionali e/o commerciali). In generale, saranno lecite le clausole che limitano poteri e facoltà spettanti ai singoli condòmini sia sulle parti comuni che sulle parti private, purché espresse in modo chiaro e lineare.
Restano escluse le clausole vessatorie quali quelle che limitino o escludano la tutela del diritto del consumatore, che esonerino – senza limiti temporali – taluno dalle spese, che esonerino il costruttore dall’obbligo di contribuzione per sempre o per un periodo eccessivamente lungo, che riservino al costruttore il diritto di nominare l’amministratore.
“La previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull’estensione ma sull’esercizio del diritto di ciascun condomino, va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche e non delle obbligazioni propter rem, difettando il presupposto dell’agere necesse nel soddisfacimento d’un corrispondente interesse creditorio; ne consegue che l’opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti va regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l’indicazione, nella nota di trascrizione, delle specifiche clausole limitative, ex artt. 2659, comma 1, n. 2, e 2665 c.c., non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale”. (Cass., n. 21024/2016).
“Le disposizioni contenute nel regolamento condominiale contrattuale che si risolvano nella compressione delle facoltà e dei poteri inerenti al diritto di proprietà dei singoli partecipanti, devono essere espressamente e chiaramente manifestate dal testo o, comunque, devono risultare da una volontà desumibile in modo non equivoco da esso”. (Cass., n. 17893/2009).
Il regolamento convenzionale vincola i successivi acquirenti, anche nell’ipotesi in cui non sia stato trascritto, purché le clausole limitative della proprietà vengano trascritte nell’atto di compravendita. In caso di mancata trascrizione e/o indicazione, le relative clausole risulteranno inopponibili agli acquirenti in buona fede. Le clausole limitative vengono considerate delle servitù gravanti sull’immobile; infatti, l’opponibilità delle clausole è disciplinata dalle norme dettate in materia di trasferimento – opponibilità delle servitù.
La modifica del regolamento contrattuale varia in ragione del tipo di clausola che si intende modificare: se si vuole modificare una regola di utilizzo delle parti comuni sarà sufficiente la maggioranza prescritta dall’art. 1138 c.c.; invece, se si intende modificare la clausola limitativa della proprietà privata o costitutiva di una servitù (come richiamata nelle righe superiori) occorrerà l’unanimità dei consenti.
“In tema di comunione, il regolamento avente ad oggetto l’ordinaria amministrazione e il miglior godimento della cosa comune non ha natura contrattuale, costituendo espressione delle attribuzioni dell’assemblea, e, come tale, seppure sia stato approvato con il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, può essere modificato dalla maggioranza dei comunisti; ha, invece, natura di contratto plurisoggettivo, che deve essere approvato e modificato con il consenso unanime dei comunisti, il regolamento che esorbiti dalla potestà di gestione delle cose comuni attribuita all’assemblea, contenendo disposizioni che incidano sui diritti del comproprietario ovvero stabiliscano obblighi o limitazioni a carico del medesimo o ancora determinino criteri di ripartizione delle spese relative alla manutenzione diversi da quelli legali.”. (Cass. n. 13632/2010).
La modifica del regolamento, per le parti modificabili a maggioranza, potrà essere effettuata con atto scritto o per fatti concludenti.
Il regolamento emanato dall’amministratore (“amministrativo”). L’amministratore è titolare del potere di disciplinare l’uso delle parti comuni (art. 1130 comma 1, n. 2). Tale potere si concretizza tanto nella richiesta che siano rispettate le regole indicate all’interno del regolamento quanto nella possibilità di individuare nuove regole atte a disciplinare la proprietà comune al fine di consentire il miglior utilizzo a beneficio di tutti i condòmini.
Detta possibilità trova conferma nell’art. 1133 c.c. che statuisce: i provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri (1130, 1131) sono obbligatori per i condòmini. Contro i provvedimenti dell’amministratore è ammesso ricorso all’assemblea, senza pregiudizio del ricorso all’autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall’articolo 1137.
L’amministratore, in fatto, potrà indicare regole che i condòmini sono tenuti a rispettare; nulla esclude che tali regole possano essere formalizzate ed allegate al registro verbali così come è possibile che l’assemblea deliberi in senso opposto.
Il codice, al comma 5 dell’art. 1138 c.c. esclude espressamente la possibilità che il regolamento condominiale vieti la detenzione di animali domestici. La norma è stata introdotta a seguito della riforma 2012. Prima della riforma, si riteneva possibile escludere la detenzione con voto unanime.
“In tema di condominio negli edifici, il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva”. (Cass. 3705/2011).
A seguito della riforma deve escludersi la possibilità che il regolamento contrattuale e/o assembleare, possa vietare la detenzione di animali.