[A cura di: prof. avv. Rodolfo Cusano e avv. Amedeo Caracciolo (foto)] Sembra finalmente delinearsi un orientamento pacifico in merito alla annosa questione della competenza per valore delle cause aventi ad oggetto le impugnazioni delle delibere assembleari. Ma, cosa più importante, come emerge anche dal provvedimento in commento, il nuovo filone interpretativo vale per tutte (o quasi) le species di impugnativa e non più solamente per quelle inerenti le impugnative dei rendiconti condominiali.
La questione affrontata dal Tribunale di Roma – in funzione di giudice d’Appello – con la recentissima sentenza in commento (la n. 293 dell’8 gennaio 2020) conferma il più recente, ed oramai ampiamente maggioritario, orientamento in tema di competenza per valore delle liti condominiali aventi ad oggetto l’impugnativa della delibera assembleare.
In particolare, due condòmini, previa istanza di mediazione, avevano citato in giudizio il Condominio davanti al Giudice di Pace di Roma onde sentire dichiarare la nullità o disporre l’annullamento di una delibera che ripartiva a loro carico delle somme che assumevano come non dovute. Si trattava, più nel dettaglio, di somme relative a lavori al lastrico solare condominiale. Il motivo di invalidità era, a dire degli attori, la non debenza della loro quota-parte.
In altri termini, gli stessi assumevano che la quota loro imputata non fosse dovuta in quanto il loro immobile – appartenente ad altro corpo di fabbrica – non beneficiava in alcun modo della copertura da parte del lastrico teatro delle lavorazioni in corso.
La causa veniva incardinata, come sopra accennato, innanzi al Giudice di Pace poiché la somma ripartita e illegittimamente richiesta agli attori era inferiore ad euro 5.000,00.
L’importo complessivo delle lavorazioni effettuate dal Condominio era, invece, di euro 40.000,00 circa (allo stato, ben oltre la soglia di competenza per valore della Magistratura onoraria).
Orbene, il Giudice di Pace di Roma si dichiarava incompetente per valore, individuando il Tribunale di Roma come Ufficio giudiziario munito di competenza per la vertenza de quo.
Investito della questione, il Tribunale di Roma correttamente argomentava che, ai fini della competenza per valore nelle impugnative di delibera assembleare di approvazione di un rendiconto di esercizio (nel caso in commento, straordinario), anche quando l’attore chieda sentirsi dichiarare la nullità o disporre l’annullamento della delibera assembleare deducendo l’illegittimità di un obbligo di pagamento a lui imposto, occorre far riferimento all’importo in contestazione.
Nel caso in rassegna, peraltro, non si chiedeva di porre al vaglio del giudicante la legittimità o meno delle lavorazioni eseguite.
Ancor più meritevole di pregio è la successiva statuizione del Tribunale capitolino, nella parte in cui specifica che quanto sopra detto in tema di competenza per valore trova cittadinanza anche per le delibere diverse dall’approvazione dei rendiconti di esercizio dovendo, in ogni caso, porsi l’attenzione alla singola obbligazione che il condomino-attore assuma come non dovuta.
L’errore di ripartizione, nel caso di specie, era palese in quanto si trattava di lavorazioni straordinarie inerenti un bene “comune” ma che non forniva utilità a tutte le unità del complesso immobiliare ma solo ad alcune di esse.
Come è noto, infatti, il presupposto per l’attribuzione in proprietà comune a tutti i condòmini viene meno se le cose, gli impianti e i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, siano necessari per l’esistenza o per l’uso (ovvero siano destinati all’uso o al servizio) di alcuni soltanto dei condòmini (Cass. civ. II, n. 1680/2015).
A questo punto, il Tribunale di Roma ribadisce che la destinazione di un bene o impianto genera il cd. condominio parziale, argomentando ex art. 1123, c.c. commi II e III.
È bene ricordare, a scanso di equivoci, che tale norma nei distinti capoversi contempla ipotesi differenti.
Al secondo comma viene disciplinata solo ed esclusivamente la ripartizione delle spese per l’uso. Viceversa, al terzo ed ultimo comma, si disciplina la suddivisione delle spese per la conservazione. La ragione della previsione espressa è che le cose, i servizi e gli impianti, essendo collegati materialmente e per la destinazione soltanto con alcune unità immobiliari, appartengono in comune solamente ai proprietari di queste. È tale disposizione (il comma 3), dunque, quella che contempla l’ipotesi di condominio parziale.
Una differente opzione interpretativa ha sostenuto che, in caso di contestazione del criterio di riparto di una spesa, occorrerebbe valutare la competenza sulla base dell’importo complessivo ripartito tra tutti i condòmini in quanto “la contestazione deve intendersi estesa necessariamente all’invalidità dell’intero rapporto implicato dalla delibera, il cui valore è, quindi, quello da prendere in considerazione ai fini della determinazione della competenza” (Cass. civ. II n. 17278/2011 e 1201/2010).
Da alcune voci isolate, in dottrina, si era addirittura invocato un intervento da parte delle Sezioni Unite.
A ben vedere, però, trattasi di un conflitto soltanto apparente.
Invero, in entrambe le – oramai risalenti – decisioni menzionate nel precedente paragrafo comunque si rinviene più di un richiamo coerente con l’orientamento oggi ampiamente maggioritario (quasi pacifico) che effettua una distinzione importante. È dato, infatti, rilevare che:
L’orientamento oggi prevalente, confermato dall’arresto in commento distingue vizi formali e vizi sostanziali.
Appartengono alla prima categoria:
In tali casi, il condomino che vuole dedurre tali vizi non ha l’onere ulteriore di dimostrare un apposito interesse ad agire, poiché l’interesse stesso è insito nell’accertamento di questi vizi formali.
Nelle diverse ipotesi di violazioni sostanziali, è necessario che la parte che vuole impugnare il deliberato assembleare dimostri un di essere portatrice di un interesse concreto.
Se si pone a fondamento dell’impugnativa di una delibera, quale unico motivo di invalidità, l’insussistenza della propria obbligazione, il valore della causa è dato dalla specifica somma in contestazione che, ove inferiore ad euro 5.000, radica la competenza per valore innanzi il Giudice di Pace (Cass. civ. VI/II n. 16898/2013, Cass.18283/2015).
Avuto riguardo al caso in commento, il Tribunale di Roma richiama espressamente il recente precedente della Corte di Cassazione (sent. n. 21227/2018 della sez. VI/II) il quale aveva già ribadito che ai fini della determinazione della competenza per valore, in relazione a una controversia avente a oggetto il riparto di una spesa approvata dall’assemblea, anche se il singolo condomino agisce per sentir dichiarare l’inesistenza del suo obbligo di pagamento sull’assunto dell’invalidità della deliberazione assembleare, bisogna fare riferimento all’importo contestato, relativamente alla sua singola obbligazione, e non all’intero ammontare risultante dal riparto approvato dall’assemblea di condominio, poiché, in generale, deve farsi riferimento al thema decidendum, e non già al quid disputandum.
L’oggetto della domanda, del resto, è il criterio essenziale per comprendere se la controversia è stata correttamente incardinata innanzi ad un Giudice competente.
Nel caso in esame, l’oggetto della causa atteneva alla contestazione dell’attribuzione di singole voci dei lavori straordinari – già precedentemente approvati – attribuite in quota-parte ai ricorrenti. Gli stessi assumevano tali quote come non dovute in quanto estranei al regime di condominio parziale.
A chiusura della disamina effettuata, appare oltremodo coerente e condivisibile la decisione del Tribunale di Roma nella parte in cui afferma che, ove si contesti l’erronea ripartizione di spese che si assumono come non dovute, è solo a quelle spese che deve porsi riferimento per quantificare correttamente il valore della causa. Ciò è ossequioso anche del principio della domanda e, in particolare, dell’art. 12 c.p.c. Detta norma stabilisce che, nelle cause riferibili ad obbligazioni (reali o personali che siano), ai fini della quantificazione del valore della domanda deve farsi riferimento solo a quella parte del rapporto che è in contestazione (nei casi sopra in rassegna, si ribadisce, alle singole quote che si assumono come non dovute).
La decisione passata in rassegna è, come si è accennato in apertura, di fondamentale importanza in quanto indice di uniformità di vedute della giurisprudenza su tale importante questione.
Ancor più rilevante il passaggio della sentenza che non circoscrive più tale interpretazione alle impugnative aventi ad oggetto il rendiconto che l’amministratore deve redigere annualmente, ma vale per tutta la materia in commento. In poche parole, può dirsi che si è effettuato un passo verso la tanto agognata “certezza del diritto” in materia condominiale.