[A cura di: prof. avv. Rodolfo Cusano e avv. Amedeo Caracciolo]
Corte di Cassazione,
sezione VI/II civ.,
ordinanza n. 21227/2018
Con la sentenza in commento, la II sezione della Corte di Cassazione, sgombera il campo da equivoci di sorta e, con una vera e propria actio finium regundorum, delimita i confini tra la competenza per valore del Tribunale e quella del Giudice di Pace in materia di impugnative di delibere assembleari.
La questione affrontata dalla Corte, in base a una rapida lettura delle norme del codice di rito in materia di competenza per valore, può apparire semplice ma, viceversa, non risulta affatto scontata.
Le norme-cardine del codice del rito civile che occorre tenere a mente sono le seguenti:
Per comprendere la reale portata della problematica affrontata, si pensi ai casi, come quello in oggetto, in cui il condomino-attore agiva in giudizio contro il super(condominio) al fine di sentir dichiarare la invalidità di tre delibere assembleari che ponevano a suo carico degli importi che egli assumeva come non dovuti. Pur essendo la somma dei predetti importi quantificata in misura minore di euro 5.000, l’attore proponeva impugnativa delle predette deliberazioni innanzi al Tribunale di Imperia, anche in forza della circostanza che l’approvazione di ingenti spese era avvenuta in assenza di potere dei “rappresentanti”.
Il Tribunale di Imperia dichiarava la sua incompetenza in favore del Giudice di Pace di Sanremo. Il condomino-proprietario proponeva, a questo punto, regolamento di competenza.
Nonostante il parere contrario della Procura Generale, la Sez. VI/II della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, respinge il ricorso in forza del principio di diritto per cui “ai fini della determinazione della competenza per valore, in relazione a una controversia avente a oggetto il riparto di una spesa approvata dall’assemblea, anche se il singolo condomino agisce per sentir dichiarare l’inesistenza del suo obbligo di pagamento sull’assunto dell’invalidità della deliberazione assembleare, bisogna fare riferimento all’importo contestato, relativamente alla sua singola obbligazione, e non all’intero ammontare risultante dal riparto approvato dall’assemblea di condominio, poiché, in generale, deve farsi riferimento al thema decidendum, e non già al quid disputandum”.
Thema decidendum (oggetto della causa) e quid disputandum sono concetti di cui spesso la giurisprudenza si è servita per vagliare questioni simili a quella che si tenta di affrontare. Criterio dirimente risulta, dunque, l’oggetto della domanda, unico in grado di incidere sul valore della controversia e, per converso, sulla competenza del giudice.
Nel caso in esame, l’oggetto della causa atteneva alla contestazione dell’attribuzione di singole voci del già approvato bilancio attribuite al condomino ricorrente, che egli assumeva non dovessero essere poste a suo carico in quanto non godeva né era proprietario in quota-parte di tali beni comuni. Per dirla diversamente, egli riteneva di essere estraneo al regime di condominio parziale.
Già con sentenza n. 16898/2013, la stessa sez. VI/II ebbe ad affermare che quando si agiva in giudizio per sentire dichiarare la nullità/annullabilità di un deliberato assembleare ponendo alla base delle predette doglianze, quale unico motivo di invalidità, l’insussistenza della propria obbligazione, il valore della causa andasse parametrato proprio su quella somma che, se inferiore ad euro 5.000, sfuggiva alla competenza del Tribunale.
Successivamente, con sentenza n. 18283/2015 precisava che, in generale, l’espressione contenuta nel primo comma dell’art. 10 c.p.c., secondo cui, ai fini della competenza, il valore della causa si determina dalla domanda sta a significare che, ove quest’ultima faccia riferimento ad un rapporto di contenuto più ampio, è sempre ad essa e non al rapporto che occorre guardarsi per individuare il giudice competente.
Inoltre, era da considerare il disposto del successivo art. 12. c.p.c., in base al quale il valore delle cause relative all’esistenza, validità, risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio si determina in base a quella parte di rapporto che è in contestazione.
Quindi, se è l’attribuzione ad un condomino di poste non dovute a permeare il bilancio di illegittimità viziando, per l’effetto, la relativa delibera approvativa, è alla somma in contestazione che occorre far riferimento per la determinazione del giudice competente.
In caso di violazioni formali (incompletezza dell’ordine del giorno, violazione di norme sul procedimento di convocazione, insufficienza dei quorum), il condomino che vuole dedurre tali vizi non ha l’onere ulteriore di dimostrare un apposito interesse ad agire, poiché l’interesse stesso è insito nell’accertamento di questi vizi formali.
Diversamente, nelle ipotesi di violazioni sostanziali, è necessario che la parte che vuole impugnare il deliberato assembleare dimostri di essere portatrice di un interesse concreto.
Occorre pertanto fare un passo in più e domandarsi cosa si sta andando a chiedere al giudice, quale è l’oggetto della pretesa di chi vuole impugnare il deliberato.
In altri termini, stando a tale insegnamento della Suprema Corte, ponendosi nell’ottica del condomino-impugnante, occorre che lo stesso, per incardinare correttamente un giudizio si chieda: “Che cosa sto facendo valere in giudizio? Che cosa sto deducendo? A che cosa miro?” Se la risposta ai predetti quesiti tende verso l’eliminazione di vizi di natura sostanziale, se il condomino non ritiene corretto che gli venga attribuita “quella spesa”, è proprio a quel valore che bisogna guardare per stabilire la competenza dell’impugnativa di deliberazione assembleare che sarà – almeno sino al 2021, come si dirà più avanti – del Giudice di Pace se il valore contenuto in euro 5.000 o, se maggiore, del Tribunale.
A questo punto, occorrerebbe chiedersi perché il Tribunale di Imperia non ha posto l’attenzione all’eccezione – pure sollevata dall’attore come è dato leggere negli “atti di causa” – di difetto di potere rappresentativo degli “Enti Consorziati”. Se il riferimento è al supercondominio, è difficile da comprendere, almeno in prima battuta, tale assunto, in quanto la figura del rappresentante viene in rilievo solo per la gestione ordinaria delle parti comuni e per la nomina del super-amministratore.
Come anticipato, la legge 29 aprile 2016, n. 57, oltre a riformare la figura professionale del Giudice di Pace attraverso interventi volti a modificare i requisiti per il reclutamento, la durata degli incarichi, i corrispettivi economici e a dettare una disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari già in servizio, prevede l’ampliamento della competenza dei magistrati onorari in materia condominiale affidando loro “l’onore e l’onere” di trattare tutte le “cause in materia di condominio negli edifici, come definite ai sensi dell’articolo 71-quater delle disposizioni per l’attuazione del codice civile” ovvero quelle ricomprese negli artt. 1117-1139 c.c. e 61-72 disp. att. c.c..
Orbene, non pare vi sia dubbio alcuno nel ritenere che tra queste vi rientreranno anche tutte le impugnative di delibere assembleari, a prescindere dal valore della controversia, con buona pace degli orientamenti richiamati ma soprattutto degli “addetti ai lavori”.
Al netto delle problematiche e del timore che serpeggia tra gli operatori in vista della incombente entrata in vigore della predetta riforma, si scorge nella stesa, almeno sotto il profilo della problematica trattata, una tendenza alla “certezza del diritto”, unico principio che quando rispettato può portare a deflazione del contenzioso condominiale.