[A cura di: avv. Daniele De Bonis – responsabile area giuridica Centro studi BMItalia] In ambito condominiale si presenta periodicamente la necessità di intervenire sulle parti comuni, ma spesso non è semplice assumere decisioni giuridicamente vincolanti per la compagine condominiale. Si pensi al caso – non infrequente – dell’amministratore che convochi l’assemblea per deliberare lavori di ristrutturazione di talune parti comuni e che l’assemblea non raggiunga il quorum per deliberare l’esecuzione dei lavori necessari ovvero deliberi in senso contrario alla esecuzione degli stessi.
Si pensi, ancora, ad interventi volti a riparare piccoli guasti agli impianti o ai servizi comuni, ove la convocazione dell’assemblea implicherebbe tempi e costi maggiori rispetto all’esecuzione della riparazione medesima.
In simili ipotesi occorre interrogarsi sui poteri di intervento dell’amministratore, verificando se nell’ambito del mandato di cui è officiato siano compresi poteri che consentano di assumere decisioni vincolanti per la compagine condominiale anche prescindendo da un pronunciamento dell’assemblea ovvero, addirittura, in caso di volontà contraria manifestata dall’organo assembleare.
L’art. 1130 n. 4 c.c. prevede che l’amministratore deve “compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio”. La formulazione utilizzata dal legislatore – più ampia di quella originaria che prevedeva il potere dell’amministratore di compiere atti conservativi “dei diritti inerenti alle parti comuni” – si pone in linea con l’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione la quale già sotto la normativa previgente aveva teso a conferire al sintagma “atti conservativi” un’interpretazione estensiva: la disposizione del quarto comma dell’art. 1130 c.c., si diceva, intende chiaramente riferirsi non solo agli atti materiali (riparazioni di parti o servizi comuni), ma anche ad atti giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) pur che gli stessi siano necessari per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile.
Su tale scorta, si è ritenuta, ad esempio, sussistente la legittimazione dell’amministratore a promuovere l’azione di responsabilità nei confronti del costruttore di cui all’articolo 1669 c.c. tesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, e ciò, si badi, anche nel caso in cui i difetti riguardino l’intero edificio condominiale ed i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno che abilita alternativamente l’amministratore del condominio ed i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto (da ultimo, tra le tante, Cass. 31.1.2018 n. 2436).
Si è invece escluso che l’amministratore possa stipulare contratti che non abbiano una finalità meramente conservativa. Tale è il caso, ad esempio, del contratto di assicurazione, perché questo non ha gli scopi conservativi ai quali si riferisce la norma dell’art. 1130 c.c., ma ha come suo unico e diverso fine quello di evitare pregiudizi economici ai proprietari dell’edificio danneggiato (in tal senso, Cass. 3 aprile 2007 n. 8233). In questa ultima, ipotesi, ed in tutte le altre in cui non si ravvisi una finalità volta a salvaguardare stricto sensu l’integrità dell’immobile, la regula iuris è sempre quella di procedere per via assembleare: l’amministratore, esorbitando la fattispecie dalle sue attribuzioni, dovrà sempre convocare l’assemblea condominiale per le opportune deliberazioni.
Lo stesso è a dirsi per la manutenzione straordinaria dell’edificio, quando, cioè occorre eseguire lavori di rilevante entità e che comportino esborsi rilevanti (si pensi al caso della ristrutturazione delle facciate di cui è composto l’edificio condominiale). In tale ipotesi si è affermato che il criterio discretivo tra atti di ordinaria amministrazione – rimessi all’iniziativa dell’amministratore nell’esercizio delle proprie funzioni e vincolanti per tutti i condòmini ex articolo 1133 c.c., ed atti di amministrazione straordinaria, al contrario bisognosi di autorizzazione assembleare per produrre detto effetto, riposa sulla “normalità” dell’atto di gestione rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento dei beni comuni, sicché gli atti implicanti spese che, pur dirette alla migliore utilizzazione delle cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere economico rilevante, necessitano sempre della delibera dell’assemblea condominiale (Cass. 25.5.2016, n. 10865).
L’unica deroga all’obbligatorietà della preventiva pronuncia dell’assemblea si ha nel caso del contratto di appalto avente ad oggetto lavori di manutenzione straordinaria delle parti comuni che presentino un carattere di “urgenza”. A tal uopo, l’art. 1135, comma 2, c.c. stabilisce che l’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea.
Il tema, a questo punto, ruota sulla figura della “urgenza”, che può identificarsi con la indifferibilità dell’intervento: si pensi all’ipotesi di un edificio dal quale – a causa della vetustà o della mancanza di manutenzione – si distacchino alcune parti comuni (caduta di parti di frontalini o di porzioni di tetto) creando pericolo per i condomini o per i terzi.
In simili ipotesi l’amministratore, avvalendosi dei poteri di cui all’articolo 1135, comma 2, c.c. potrà assumere, anche prescindendo dall’assemblea, l’iniziativa di compiere le opere di manutenzione straordinaria necessarie per eliminare il pericolo con la conseguenza che il condominio in nome e per conto del quale l’opera viene compiuta deve ritenersi validamente rappresentato e l’obbligazione assunta dall’amministratore è direttamente riferibile al condominio.
Laddove, invece, i lavori eseguiti da terzi su disposizione dell’amministratore non posseggano il requisito dell’urgenza, il relativo rapporto obbligatorio non è riferibile al condominio, trattandosi di atto posto in essere dall’amministratore al di fuori delle sue attribuzioni, attesa la rilevanza esterna delle disposizioni di cui agli articoli 1130 e 1135, comma 2, del codice civile (in questi termini, Cass. 2.2.2017 n. 2807).
Riassumendo, e concludendo, l’amministratore può intervenire sulle parti comuni anche prescindendo dall’intervento dell’assemblea, ma l’intervento dovrà essere circoscritto a:
In tutti gli altri casi, l’amministratore è sempre obbligato a convocare l’assemblea al fine di ottenere una decisione idonea a rendere giuridicamente vincolanti nei confronti della compagine condominiale le obbligazioni che andranno ad essere assunte nell’interesse del Condominio.