[A cura di: Avv. Giorgio Cesare Amerio (foto) – Ape Confedilizia Torino] La questione della morosità in condominio è forse quella che più rende apprensivi i proprietari degli immobili e più genera contrasti in assemblea. Gli anni della crisi economica hanno accentuato a tal punto la situazione nel mercato immobiliare che, con riferimento alle locazioni, è stata prevista un’apposita normativa a tutela della cosiddetta “morosità incolpevole”.
Non tratteremo in questa sede questo tema, ma è evidente che se una volta il condomino o inquilino moroso era tale prevalentemente per scelta, oggi sono sempre più frequenti le situazioni critiche derivanti da perdita di lavoro, separazioni coniugali, fallimenti aziendali e altre situazioni analoghe. Ecco perché gli amministratori di condominio si trovano a dover affrontare situazioni emotivamente impegnative, tra l’incudine della situazione delicata e a volte drammatica del condomino moroso e il martello dei condòmini che non vogliono accollarsi le spese altrui, oberati già dalle spese della loro vita quotidiana.
In questo contesto si è inserita la riforma del condominio, che ha modificato in modo significativo gli spazi di manovra delle parti con la modifica dell’art. 1129 c.c. che al comma IX così recita: “Salvo che sia stato espressamente dispensato dall’assemblea, l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell’articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l’attuazione del presente codice”.
Il primo tema da analizzare è quello che attiene alle modalità di azione.
Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 63 Disp. Att. c.c., “per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione” al verbale dell’assemblea.
Ciò significa che per dar corso all’obbligo di riscossione forzosa del credito l’amministratore può non richiedere un preliminare passaggio assembleare, qualora l’amministratore decida di agire in forza dell’art. 63 sopra citato. Precisiamo “può” in quanto la modifica legislativa specifica “anche ai sensi dell’art. 63”, concedendo all’amministratore di scegliere se avvalersi o meno di tale potere di azione.
In merito a questa facoltà, precisiamo anche che agire ai sensi di tale norma, in presenza di uno stato di riparto approvato dall’assemblea, consente di ottenere l’immediata esecutorietà del decreto ingiuntivo.
Sempre in tema di modalità di azione, nel caso in cui si agisca con atto di citazione, vi sarà l’obbligo di promuovere preliminarmente il tentativo di mediazione finalizzata alla conciliazione. In mancanza di tale tentativo la causa può venire dichiarata improcedibile.
Il secondo tema è il termine entro il quale l’amministratore deve agire, previsto in 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio.
Secondo una recente pronuncia della Corte di Cassazione (n. 10621 pubblicata il 28 aprile 2017) l’amministratore potrà agire sulla base del preventivo di spesa anche senza l’approvazione del riparto. Al di là del fatto che tale scelta non permetterebbe di ottenere la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, è di tutta evidenza che un’azione in mancanza di riparto approvato espone l’amministratore ad un’azione meno incisiva e aumenta le probabilità di opposizione.
Ne deriva che, ove l’amministratore voglia agire in forza di riparto approvato, per evitare una responsabilità che potrebbe giustificare la sua revoca, l’amministratore dovrà convocare tempestivamente l’assemblea per l’approvazione per poter poi avere il tempo necessario ad agire.
Ma che cosa avviene ove l’assemblea non dovesse approvare il bilancio e il riparto?
Questo interrogativo apre il tema della responsabilità dell’amministratore. Il primo profilo di analisi è relativo al tipo di azione necessaria per considerarsi assolto l’obbligo di riscossione. In termini tecnici, la parola “agire” sta normalmente a significare l’azione giudiziaria (decreto ingiuntivo, atto di citazione, mediazione nei casi come questo in cui è obbligatoria).
Nelle prime interpretazioni vi era chi riteneva che entro sei mesi dovesse essere iniziata l’azione esecutiva, vista la dicitura “riscossione forzosa” contenuta nell’art. 1129 comma IX c.c. Ben si comprende come, tenuto conto dei termini procedurali e dei tempi della giustizia, questo fosse pressoché impossibile.
Una più recente interpretazione ha di fatto ribaltato la lettura della norma, ritenendo sufficiente la messa in mora come elemento attestante l’aver agito. La Corte di Cassazione (ordinanza. 24920/2017), ha precisato che l’amministratore può considerarsi adempiente agli obblighi del proprio mandato anche quando si sia limitato all’invio della costituzione in mora, ai sensi dell’articolo 1229 c.c. (inviando una lettera di sollecito di pagamento).
Fermo restando che è necessario esaminare ogni caso singolarmente, la lettura interpretativa della Corte di Legittimità ci trova concordi. La ratio che troviamo dietro all’inserimento del IX comma è quella di sanzionare l’inerzia degli amministratori e di tutelare al meglio il condominio, senza però rendere insormontabile l’esecuzione dell’attività di recupero del credito.
Il secondo profilo di analisi della responsabilità è quello che attiene all’esonero dall’obbligo di agire, espressamente previsto dalla norma in esame. È da escludersi che vi possa essere un’ipotesi di esonero generalizzato o privo di giustificazioni da parte dell’assemblea. Ne deriva che ogni qualvolta l’assemblea decida di esonerare l’amministratore dovranno esservi valide motivazioni. Possiamo affermare che un esonero potrà aversi quando vi sia un debito talmente esiguo da non giustificare l’azione ovvero quando le possibilità di recupero siano nulle.
Tale affermazione discende anche dalla circostanza per cui la Corte di Cassazione (sent. 20100/2013) ha precisato che l’amministratore deve essere considerato adempiente qualora dimostri di aver notificato il decreto ingiuntivo e l’atto di precetto al condomino moroso, in quanto “il non avere intrapreso la procedura esecutiva vera e propria può giustificarsi sulla base della non sicura solvibilità dei condomini”.
Da questa considerazione ne deriva una ulteriore in merito al fatto che non sussiste obbligo in capo all’amministratore di anticipare i costi dell’azione di recupero e pertanto, qualora i condòmini non volessero anticipare loro e non vi sia apposito fondo di accantonamento, l’amministratore è esonerato dal rispetto dell’obbligo di agire.
Chiudiamo la nostra analisi con un ultimo aspetto relativo all’opportunità di agire.
In presenza di una situazione di morosità, il condominio deve fare una valutazione per comprendere se la situazione del condomino moroso sia recuperabile o irrisolvibile. Nella seconda ipotesi, ferma restando una scelta volontaristica di aiuto, il condominio per evitare una crescita esponenziale del debito dovrà leggere nell’azione esecutiva una via per poter liberare l’immobile da un condomino moroso. Pertanto, ancorché si esponga a dei costi, avviare l’azione esecutiva avrà l’obiettivo di non aggravare la posizione degli altri condòmini.
È corretto evidenziare che l’analisi costi/benefici dovrà essere effettuata attentamente, visti gli ulteriori costi che la normativa ha posto a carico del creditore procedente. Si deve peraltro osservare che ove tra i creditori vi siano istituti bancari, di norma creditori privilegiati, i tribunali hanno assunto la prassi di porre a carico di tali creditori privilegiati i costi di esecuzione per non gravare su creditori sicuramente meno coperti economicamente.