Avv. Agostino Sola
Premessa. Si considerino le svariate ipotesi in cui un Condominio venga a conoscenza della presenza di una possibile fonte di inquinamento del suolo: è il caso in cui sia presente una cisterna interrata che risulti ammalorata; è il caso in cui vi sia la presenza di rifiuti ingombranti; è il caso in cui vi siano veicoli abbandonati; è il caso di perimento improvviso di una pianta ad alto fusto dovuto a cause esogene (sversamento gasolio). Gli esempi possono essere comunque molteplici.
Il filo conduttore di tutte le ipotesi presentate, sicuramente le più frequenti, è dato dall’innegabile circostanza per la quale al ricorrere di questi eventi non è possibile escludere a priori una contaminazione delle matrici ambientali. Il linguaggio utilizzato è volutamente tecnico per evitare fraintendimenti.
Osserviamone il significato e le implicazioni pratiche nella gestione condominiale.
La possibile contaminazione del sito. Che fare? Innanzitutto, un sito (area o porzione di territorio definita) si dice contaminato quando le matrici ambientali (suolo, materiali di riporto, sottosuolo ed acque sotterranee) presentano dei valori di concentrazione di sostanze inquinanti superiori alle soglie stabilite dalla legge che valgono a definire i livelli di contaminazione (d.lgs. n. 152/2006).
I livelli di contaminazione si distinguono a seconda della concentrazione di sostanze inquinanti. La legge, infatti, individua le concentrazioni superiori alla soglia di contaminazione (CSC) e le concentrazioni superiori alla soglia di rischio (CSR). Se il sito presenta valori superiori alla soglia di contaminazione (CSC), il sito si definisce potenzialmente contaminato; se, invece, il sito presenta valori superiori alla soglia di rischio (CSR), il sito si definisce contaminato.
Quindi, se si ritiene che si sia verificato un evento potenzialmente in grado di contaminare il sito (perdita di gasolio dalla cisterna condominiale, sversamento di acque nere, abbandono di rifiuti e perdita di liquami), il responsabile dell’inquinamento (e, quindi, il Condominio sul quale grava un obbligo di custodia) deve mettere in opera le misure necessarie di prevenzione per evitare che l’eventuale danno ambientale si propaghi o diventi irreversibile.
Attuate le necessarie misure di prevenzione, è necessario procedere con un’indagine preliminare sui parametri oggetto dello specifico fenomeno di inquinamento. Occorre, in altre parole verificare se i valori presenti siano o meno superiori alle soglie indicate in precedenza (CSC-CSR).
Solo all’esito dell’indagine preliminare, dopo le misure di prevenzione, è possibile agire per risolvere l’eventuale contaminazione del sito.
Il superamento delle CSC impone la realizzazione di un piano di caratterizzazione funzionale all’individuazione delle possibili sostanze inquinanti presenti. Sulla base del piano di caratterizzazione, si procede all’analisi di rischio per valutare eventuali criticità per la salute umana connessi alla presenza di inquinanti nelle matrici ambientali.
Dall’analisi di rischio si procede alla verifica della concentrazione dei contaminanti presenti nel sito. Se inferiori alle concentrazioni soglia di rischio (CSR), pur non determinando obblighi di bonifica, possono determinare l’obbligo di eseguire un programma di monitoraggio sul sito.
Se i valori sono superiori alle concentrazioni soglia di rischio (CSR), il soggetto responsabile (e, quindi, il Condominio) dovrà predisporre un piano di bonifica contenente gli interventi funzionali alla minimizzazione del rischio ed al ripristino ambientale.
Questa, pur in breve, è la ricostruzione dell’iter da seguire nei casi in cui si sia verificato un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito.
Attenzione al procedimento. Fermo restando che la procedura è più complessa di quanto riportato in questa sede per meri scopi illustrativi, la relativa della procedura di bonifica dei siti inquinati è contenuta agli artt. 239 e seguenti d.lgs. n. 152/2006.
Il procedimento prevede peculiari obblighi di immediata notifica agli enti territoriali (Comune, Provincia, Regione, Provincia Autonoma) nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, nonché al Prefetto che dovrà a sua volta informare il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Diciamo che, volendo sintetizzare, le fasi della procedura di bonifica ordinaria possono essere così individuate: 1. indagini preliminari sul sito; 2.1. superamento delle CSC (e, quindi, sito potenzialmente contaminato); 2.2. non superamento delle CSC (e, quindi, chiusura della procedura con obbligo di monitorare la situazione); 3. nel caso di superamento delle CSC, obbligo per l’inquinatore di presentare un piano di caratterizzazione e successivamente l’analisi di rischio sito specifica (entrambi i documenti dovranno essere approvati in conferenza dei servizi); 4. presentazione del progetto di bonifica; 5. approvazione del progetto di bonifica.
Lo scopo di questa complessità procedimentale è di determinare, prima di tutto, se effettivamente il sito oggetto di analisi debba essere considerato contaminato, e, se del caso, di stabilire gli obiettivi della bonifica, le azioni da porre in essere per raggiungerli e la successiva attività di monitoraggio.
Alcune ipotesi particolari. L’inquinamento storico. La complessa procedura di bonifica, comunque, può anche prendere le mosse in assenza di un singolo e specifico evento inquinante. L’ipotesi in esame deriva da qualsiasi altra situazione che renda evidente la contaminazione del terreno. È il caso, ad esempio, in cui il Condominio, ovvero un condomino, presenti una richiesta di cambio di destinazione d’uso da locale magazzino ad unità abitativa, ad esempio, e il Comune sottoponga il proprio assenso ad analisi che attestino l’assenza di sostanze inquinanti derivanti dalla precedente destinazione d’uso.
È chiaro che, in questo caso, eventuali obblighi di bonifica (e relative spese) ricadranno sul Condominio proprietario del sito. Altra ipotesi è quella derivante dallo smantellamento dell’impianto termico condominiale nel locale caldaia e alla bonifica del relativo serbatoio gasolio interrato.
L’inquinamento e i terzi. Occorre prestare anche attenzione ad evitare che soggetti terzi si rendano responsabili di fenomeni di possibile inquinamento: il riferimento è agli esempi fatti in precedenza di rifiuti e veicoli abbandonati. Il Condominio, infatti, è proprietario del terreno e, se lo stesso risulta inquinato, dovrà comunque provvedere (fino a quando non viene individuato il soggetto responsabile) alla messa in sicurezza del sito ed al suo ripristino ambientale.
Stesso discorso vale, a contrario, nei casi in cui sia il Condominio a rendersi soggetto responsabile dell’inquinamento del terreno altrui. È il caso in cui, ad esempio, di sversamenti dalle condotte fognarie condominiali su terreni privati.
Il ruolo dell’Amministratore. Il ruolo dell’Amministratore in queste ipotesi è molto delicato, specialmente se si considerano le responsabilità di natura penale ed amministrativa, nonché gli ingenti costi di ripristino ambientale.
Sicuramente, una buona manutenzione periodica di quelle zone a più alto rischio così da evitare di dover successivamente intraprendere procedure complesse e costose da inquinamento del suolo. Ad esempio, sono molto frequenti i casi riconducibili a perdite di prodotti idrocarburici quali benzina e gasolio da serbatoi interrati, diffusissimi sul territorio perché usati nelle abitazioni singole e nei condomini per stoccare gasolio per riscaldamento. In questo caso, un buon controllo periodico dello stato di integrità può scongiurare fenomeni di inquinamento anche importanti.
Se poi, però, nonostante tutte le cautele poste in essere, si rende necessario eseguire l’analisi del terreno quale indagine preliminare per verificare la presenza di sostanze inquinanti, l’assemblea dovrà autorizzare la spesa e l’Amministratore attivarsi per l’accertamento delle responsabilità (se di terzi o del Condominio) così da decidere su come agire.
E se il Condominio non ha responsabilità sull’inquinamento? Il sistema delineato dal d.lgs. n. 152/2006 risponde al principio “chi inquina paga” secondo cui il soggetto che provoca un danno ambientale o una minaccia imminente di tale danno dovrebbe di massima sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione. Ed allora, a contrario il proprietario del sito che non abbia responsabilità in ordine all’inquinamento non è obbligato ad eseguire le ulteriori misure di bonifica e messa in sicurezza del sito. Ai sensi dell’art. 242 d.lgs. n. 152/2006, però, il proprietario incolpevole è gravato da un obbligo di comunicazione e di adozione delle misure di prevenzione opportune per evitare la realizzazione di un danno ambientale. Ai sensi dell’art. 240, queste misure ricomprendono tutte le iniziative per contrastare la minaccia imminente per la salute o per l’ambiente che derivi dall’evento dal quale potrebbe discendere il rischio “sufficientemente probabile” che si verifichi un danno in un futuro prossimo. Le misure di prevenzione mirano proprio ad impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia.
Attenzione, però. Si deve richiamare l’insegnamento del Giudice amministrativo (unico dotato di giurisdizione in materia) per evidenziare come anche il proprietario possa rispondere della bonifica del suolo qualora non abbia approntato l’adozione delle cautele volte a custodire adeguatamente la proprietà ovvero abbia mancato di denunciare alle autorità il fatto una volta conosciuto (Cons. Stato, Sez. IV 26 gennaio 2021, n. 780).
In generale, allora, osservando anche l’art. 245, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, il proprietario non responsabile dell’inquinamento è tenuto ad adottare le misure di prevenzione per impedire o minimizzare il rischio ambientale o le misure di messa in sicurezza d’emergenza, ma non anche la messa in sicurezza definitiva, né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale.
La presenza di amianto: c’è obbligo di bonifica? La l. n. 257/1992 – posta a tutela dell’ambiente e della salute – ha vietato per il futuro la commercializzazione e l’utilizzazione di materiali costruttivi in fibrocemento senza prevedere obblighi di rimozione generalizzata di tali materiali nelle costruzioni già esistenti al momento della sua entrata in vigore, prevendendo rispetto solo l’obbligo dei proprietari degli immobili di comunicare agli organi sanitari locali la presenza di amianto fioccato o friabile negli edifici (art. 12) e consentendo la conservazione delle strutture preesistenti che impiegano tale materiale a condizione che esse si trovino in buono stato manutentivo. Non vi sono particolari problemi se in Condominio dovessero essere presenti degli elementi costruttivi in amianto. Se, ad esempio, la copertura dell’edificio sia realizzata in eternit non vi è alcun contrasto con la normativa vigente, se tale materiale è stato utilizzato ratione temporis e se l’accertamento eseguito ha escluso pericoli attuali per la salute.
Allo stato, dunque, è pacifica in giurisprudenza l’affermazione per la quale non vi è alcun obbligo di rimozione, in tal senso, infatti, la l. n. 257/1992 non pone un obbligo cogente e generalizzato di rimuovere i materiali contenenti amianto già utilizzati negli edifici privati prima della loro entrata in vigore, salvo che lo stato di manutenzione dei medesimi ne renda evidente l’opportunità.