[A cura di Fulvio Graziotto – Avvocato in Sanremo (Imperia)]
L’appalto senza il totale trasferimento del potere di fatto all’appaltatore non esclude il dovere di custodia e vigilanza in capo al committente – detentore dell’immobile.
È questo il principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione (III sez. Civile) con la sentenza n. 22163/2019.
Con riferimento all’art. 2051 codice civile, custodi sono tutti i soggetti, pubblici o privati, che hanno il possesso o la detenzione (legittima o anche abusiva) della cosa, e pertanto anzitutto ma non solo i proprietari, tale qualità non essendo per assumere siffatta qualità né indefettibilmente necessaria né esaustiva.
Il caso in esame riguarda una situazione peculiare, poiché l’immobile era locato alla stessa danneggiata, ma i danni originarono non da una sua attività ma da quella di un terzo, incaricato dal suo gestore di eseguirvi lavori per l’eliminazione di infiltrazioni.
Emergeva che per effetto del maldestro uso di una fiamma ossidrica si verificò l’accensione del plexiglas di copertura del lucernario più vicino, di qui propagatosi a quelli contigui fino all’ultimo, costituente copertura della campata sotto la quale si trovavano immagazzinati libri ed attrezzature della conduttrice.
Il ricorrente lamentava che andasse affermata la responsabilità del proprietario (INPDAP) ai sensi dell’art. 2053 codice civile, ma la Suprema Corte lo esclude.
Per il Collegio, «In tale situazione si può del tutto legittimamente dubitare della ricorrenza di un’ipotesi inquadrabile nell’art. 2053 c.c. che, sia per il tenore testuale della disposizione che per l’interpretazione che ne viene data dalla giurisprudenza, considera rovina ogni disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente incorporati», sicché “la responsabilità del proprietario di un edificio o di altra costruzione per i danni cagionati dalla loro rovina può ravvisarsi solo in caso di danni derivanti dagli elementi (anche accessori ma) strutturali dell’edificio o di elementi o manufatti accessori non facenti parte della struttura della costruzione e perciò parti essenziali degli stessi, ossia di danni derivanti dall’azione dinamica del materiale facente parte della struttura della costruzione e non da qualsiasi disgregazione sia pure limitata dell’edificio o di elementi o manufatti accessori non facenti parte della struttura della costruzione.
Questo porta ad escludere che l’impianto antincendio possa rientrare nella nozione di elemento essenziale strutturale ancorché accessorio, essendo esso finalizzato a scongiurare conseguenze dannose correlate a fattori incidentali, quali, appunto, un incendio. Secondo la giurisprudenza, la disposizione si applica in ogni caso di disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori e ornamentali in essa stabilmente incorporati mentre nei casi rimanenti sussiste la fattispecie di danno da cosa in custodia di cui all’art. 2051 c.c..
Infatti, dall’accertamento di fatto dei giudici del merito, emergeva che «in tale quadro fattuale, ogni profilo di responsabilità a carico della proprietà – locatrice sfuma fino ad apparire inesistente, poiché non è alla struttura dell’immobile in sé o all’operato della medesima che possa ascriversi un qualsivoglia comportamento o anche solo una omissione ovvero un profilo oggettivo da identificarsi con quanto viene presupposto dall’art. 2051 c.c. che possa ascriversi la causa dell’innesco di tutto il meccanismo distruttivo che ha portato alla produzione degli immani danni conseguenti al catastrofico incendio determinato … dalla negligenza del materiale operatore che procedeva agli interventi di straordinaria manutenzione, al gestore ed all’imprenditore (diverso dal conduttore danneggiato) che non aveva predisposto le opportune misure di sicurezza all’interno dei locali per adeguarli alla specifica attività svolta».
In sintesi, nel caso esaminato i danni furono originati dal negligente operato di un operaio dell’appaltatore, e il committente dei lavori non era né il proprietario dell’immobile, né il conduttore, ma bensì il gestore degli immobili per conto del proprietario: avendo quest’ultimo la custodia del bene, ed essendo il committente, gli è stata ascritta la responsabilità da custodia prevista dall’art. 2051 codice civile perché – nel caso concreto – col contratto di appalto non era stato trasferito totalmente all’impresa appaltatrice il potere di fatto sull’immobile.