[A cura di: Monica Tatiana Mandanici – segretario nazionale BMItalia – bmitalia.net] Definire il ruolo dell’amministratore di condominio oggi è compito arduo. La normativa in vigore e la giurisprudenza che attorno ad essa si è andata delineando, raffigurano una professionalità multidisciplinare talmente ampia che risulta oltremodo complesso stabilirne i confini e i limiti.
Tale difficoltà è facilmente riscontrabile quando cerchiamo di determinare con precisione il posizionamento che l’amministratore di condominio ha rispetto a quelle che sono le esigenze manutentive del comparto immobiliare amministrato. Da una parte l’amministratore si trova, nella quotidianità, a dover gestire un patrimonio immobiliare in prevalenza obsoleto e in carente stato di conservazione; dall’altra deve fare da ponte tra l’obbligatorietà o l’esigenza di ottemperare a precisi adempimenti normativi e la volontà assembleare che è a sua volta sempre più disgregata. A ciò vanno aggiunte le difficoltà economiche e finanziarie spesso risultanti dai “bilanci” condominiali.
Resta il fatto che la necessità di intervenire sulle parti comuni permane, così come la difficoltà di assumere decisioni giuridicamente vincolanti da parte della compagine condominiale. Quali sono dunque i poteri di intervento dell’amministratore? E quali decisioni da lui assunte sono vincolanti per i condòmini?
L’amministratore condominiale si trova ripetutamente nella necessità di dover gestire interventi volti a riparare piccoli guasti agli impianti o ai servizi comuni, e convocare un’assemblea implicherebbe tempi e costi ben maggiori rispetto all’esecuzione della stessa riparazione.
L’art. 1130 n. 4 c.c. prevede che l’amministratore deve “compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio”. Il legislatore intende chiaramente riferirsi non solo agli atti materiali (riparazioni di parti o servizi comuni), ma anche ad atti giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) pur che gli stessi siano necessari per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile.
Si è invece escluso che l’amministratore possa stipulare contratti che non abbiano una finalità meramente conservativa. Questo è il caso, ad esempio, del contratto di assicurazione, perché questo non ha gli scopi conservativi ai quali si riferisce la norma dell’art. 1130 c.c., ma ha come suo unico e diverso fine quello di evitare pregiudizi economici ai proprietari dell’edificio danneggiato (in tal senso, Cass. 3 aprile 2007 n. 8233).
La regola, quindi, è sempre quella di procedere per via assembleare.
Lo stesso è a dirsi per la manutenzione straordinaria dell’edificio, quando, cioè occorre eseguire lavori di rilevante entità e che comportino esborsi rilevanti (si pensi al caso della ristrutturazione delle facciate). L’unica deroga all’obbligatorietà della preventiva pronuncia dell’assemblea si ha nel caso del contratto di appalto avente ad oggetto lavori di manutenzione straordinaria delle parti comuni che presentino un carattere di “urgenza”. L’art. 1135, comma 2, c.c. stabilisce che l’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea.
Il tema, a questo punto, ruota sulla figura della “urgenza”, che può identificarsi con la indifferibilità dell’intervento: si pensi all’ipotesi di un edificio dal quale – a causa della vetustà o della mancanza di manutenzione – si distacchino alcune parti comuni (caduta di parti di frontalini o di porzioni di tetto) creando pericolo per i condomini o per i terzi. In simili ipotesi l’amministratore, avvalendosi dei poteri di cui all’articolo 1135, comma 2, c.c. potrà assumere, anche prescindendo dall’assemblea, l’iniziativa di compiere le opere di manutenzione straordinaria necessarie per eliminare il pericolo con la conseguenza che l’obbligazione assunta dall’amministratore è direttamente riferibile al condominio.
L’amministratore può quindi intervenire sulle parti comuni anche prescindendo dall’intervento dell’assemblea, ma l’intervento dovrà essere circoscritto ad atti o azioni di natura meramente conservativa, atti di ordinaria manutenzione o atti di straordinaria manutenzione, ma solo in caso di urgenza, e con l’obbligo di riferirne successivamente all’assemblea.
In tutti gli altri casi, l’amministratore è sempre obbligato a convocare l’assemblea al fine di ottenere una decisione idonea a rendere giuridicamente vincolanti nei confronti della compagine condominiale le obbligazioni che andranno ad essere assunte nell’interesse del condominio.
Vero è che l’Amministratore Condominiale deve gestire il patrimonio immobiliare con azioni finalizzate a garantire nel tempo il mantenimento e l’adeguamento delle prestazioni; vero è altresì che deve adoperarsi affinché venga curata la situazione economico-finanziaria del condominio. Ma è altrettanto vero che tutte queste azioni devono transitare dalla volontà assembleare, che è sempre sovrana.
Ma le determinazioni dell’assemblea sono sempre frutto di un serio processo decisionale? E allora forse bisogna domandarsi su qual è in Italia il grado di conoscenza in materia condominiale della nostra popolazione.
Abitualmente è l’amministratore la principale (se non l’unica) fonte di informazione dei condòmini. Identificato il problema, produce e valuta le soluzioni alternative ed è quindi colui che ha sostanzialmente tutti gli strumenti per indicare l’alternativa che con ogni probabilità soddisfa le esigenze del condominio in gestione.
I condòmini dovrebbero quindi utilizzare la professionalità del proprio amministratore e rivolgere la giusta attenzione nella scelta del professionista. Solo un amministratore formato, costantemente aggiornato e volto ad approfondire le tematiche che spaziano dal facility al building management sarà in grado di soddisfare al meglio, addirittura prevedendo, i bisogni di un utenza sempre più attenta ed esigente, che però in gran parte va ancora educata e guidata lungo un percorso di adeguata consapevolezza per il conseguimento di tali obiettivi.