La permanenza forzata e continuativa della maggior parte degli italiani nelle rispettive abitazioni – e, dunque, quasi sempre in condominio – non sta certo giovando a rapporti di buon vicinato complessi e particolarmente turbolenti già in tempi normali.
Ma da cosa scaturisce la conflittualità in condominio? Quali sono i fattori che la inducono o, perlomeno, che non la contrastano a monte? Qual è il ruolo dell’amministratore condominiale in tale contesto?
Tutte le risposte in quest’approfondimento a cura di Andrea Tolomelli, presidente nazionale Abiconf.
[A cura di: Andrea Tolomelli, presidente nazionale Abiconf – www.abiconf.it]
La tematica del conflitto nei condomini è di “largo respiro” e a mio avviso, per gli anni di esperienza nel settore, che non sono pochi, va trattata partendo dall’escludere tutta quella fascia di conflittualità pretestuosa che, purtroppo, ogni Ente di gestione porta con sé e che, per quanto si possa fare, sempre permarrà in ogni rapporto che si sintetizza nella raccolta di fondi per la soddisfazione di interessi comuni (che a volte divergono con quelli del singolo).
Anzitutto, gran parte della conflittualità, sempre ad avviso di chi scrive è legata alla normativa sul condominio negli edifici che anche (o soprattutto) dopo la riforma dell’Istituto del Condominio del 2012 risulta farraginosa, contradittoria e non adeguata alle nuove esigenze dei condomini.
Cercando di sintetizzare alcuni aspetti che ritengo prioritari, mi limiterò ad analizzarne tre:
a) Mancato riconoscimento della personalità giuridica del condominio e sua piena e distinta autonomia patrimoniale. Il Condominio quale tipo di comproprietà con sue particolari regole di gestione, come ipotizzato nel 1930 con il RDL 15 gennaio 1934 n. 56 (“disciplina dei rapporti di condominio sulle case”) poi normato nel Codice del 1942, anche a seguito della riforma del 2012, non è più confacente alle moderne esigenze imposte dalle norme sul risparmio energetico, l’innovazione e la manutenzione degli edifici.
Troppo spesso la distinzione tra beni privati e beni comuni crea fattivi ostacoli – e motivi di conflitto – alla piena attuazione di moderni interventi con finalità energetiche, strutturali e/o innovative.
Si pensi a tutti quei casi ove ristrutturare con reali obbiettivi di risparmio energetico comporterebbe l’effettiva necessità di intervenire su beni privati quali le finestre e/o vetrate, oppure occorre adeguare beni privati con conseguenti discussioni per stabilire chi paga una certa spesa o meno; vedasi al riguardo tutta la problematica dell’attribuzione delle spese connesse all’applicazione di rivestimenti coibentanti alle facciate, per la modifica di strutture quali i bancali delle finestre, cancelli di sicurezza, condizionatori ecc.
Innovare in condominio, spesso comporta un sacrificio dei diritti connessi alla proprietà di beni esclusivi con conseguenti motivi di discussione, e si pensi a tutte quelle vertenze che ruotano nell’alveo dell’applicazione degli articoli 1102 c.c. e 1120 c.c.: l’installazione di ascensori, canne fumarie o semplici condizionatori.
Per poi non parlare di tutta la tematica della prevenzione incendi che non consce la distinzione tipica tra beni privati e comuni analizzando, viceversa, l’involucro dell’edificio nel suo complesso.
Pur con i dovuti accorgimenti, il Condominio dovrebbe avere una sua piena personalità ed i condòmini dovrebbero essere al pari di possessori di quote dell’Ente con particolari diritti di utilizzo per gli spazi d’uso esclusivo di ognuno.
b) La legge di riforma dell’Istituto del Condominio non ha innovato la disciplina della ripartizione delle spese in Condominio lasciando pressoché inalterati gli articoli 1123,1124,1125 e 1126. Gli odierni fabbricati hanno sviluppato tante e differenti tipologie che gli articoli in parola fanno fatica a disciplinare compiutamente. Di qui tutti noi operatori del diritto siamo ormai “ostaggio” di un voluminoso corpus di sentenze, spesso tra loro contraddittorie o frutto di differenti orientamenti nel tempo. Una vera riforma ha normalmente il pregio di spazzare via tutta la giurisprudenza precedente ed aprire nuove pagine di fertili ragionamenti ed interpretazioni. Penso alle dilanianti questioni sulla suddivisione delle spese di manutenzione dei balconi ove si ricorre dapprima alle mediazioni poi alle aule di giustizia per stabilire se nel caso concreto una modesta spesa per la manutenzione di un “bancalino”, di un parapetto o di un “cielino” debba essere pagata da tutti o da un solo condomino, con dispendio di risorse economiche e di tempo nettamente superiori al contendere.
c) La mediazione in Condominio ha una forte limitazione nella circoscrizione dei poteri dell’amministratore a quanto autorizzato dalle numerose assemblee che si devono fare per rispettare la norma (art. 71 quater disp. attuazione c.c.): preventiva autorizzazione, esame di proposte e approvazione della proposta ecc.. Diventando così in alcuni casi un dispendioso aggravio procedurale che comporta delle spese che vanno addirittura ad inficiare la possibilità di risolvere il problema.
Le tecniche conciliative e di negoziazione per portare un effettivo beneficio dovrebbero essere alla base della formazione ed aggiornamento professionale dell’amministratore di condominio in modo che questo possa tentare una prima risoluzione della controversia semmai nella sede assembleare.
Poi la soluzione della questione eventualmente non risolta dall’accordo tra le parti, facilitato da un amministratore con capacità di negoziazione, non può che essere rimessa ad un Giudice, semmai specializzato, sulla base delle norme di diritto.