[A cura di: Confappi]
La legittimazione passiva al giudizio in capo all’amministratore opera anche senza preventiva autorizzazione dell’assemblea. È quanto deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 24302 del 16 ottobre 2017, in merito alla presunta necessità per l’amministratore di condominio di munirsi di una delibera assembleare che lo autorizzi ad impugnare una delibera votata dalla stessa assemblea.
Secondo il parere della Suprema Corte, ribadendo un orientamento consolidato:
«l’amministratore di condominio, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, può proporre opposizione a decreto ingiuntivo nonché impugnare sentenze per tutte le controversie che rientrino nell’ambito delle sue attribuzioni ex art. 1130 c.c. quali quelle aventi ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento di un’obbligazione assunta dal medesimo amministratore per conto dei partecipanti, ovvero per dare esecuzione a delibere assembleari, erogare le spese occorrenti ai fini della manutenzione delle parti comuni o l’esercizio dei servizi condominiali ovvero resistere all’impugnazione della delibera assembleare».
In precedenza i giudici ermellini (sentenza 19151/2017) avevano precisato che:
«… non può ritenersi che l’amministratore del condominio sia titolare di una legittimazione processuale illimitata: l’amministratore può, in via generale, costituirsi in giudizio ed impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma in tale ipotesi, onde evitare una pronuncia di inammissibilità, deve ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte della assemblea stessa».
In sostanza, autorizzazione e ratifica sono necessarie nelle cause che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore, mentre non lo sono quando rientrano nell’ambito delle attribuzioni elencate dall’articolo 1130 del Codice civile.