[A cura di: avv. Michele Melone, consigliere nazionale APPC – www.appc.it] I provvedimenti adottati dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai Presidenti delle Regioni hanno imposto, nei mesi scorsi, misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, tra l’altro, disponendo – com’è noto – la chiusura di quasi tutte le attività commerciali e produttive, escluse quelle destinate alla produzione ed alla commercializzazione di beni di prima necessità.
Tali imposizioni adottate hanno avuto e continuano ad avere, purtroppo, una incidenza inevitabile sulla corretta e tempestiva possibilità di esecuzione delle obbligazioni contrattuali.
Il decreto “Cura Italia” poi, non conteneva, tra le numerose misure economiche a sostegno delle famiglie, nessuna disposizione per fronteggiare questa emergenza. In modo particolare, non si prendeva in considerazione l’inevitabile ripercussione sui contratti di locazione di durata già in corso di esecuzione dall’inizio della pandemia – soprattutto per i contratti di locazione transitori e per studenti universitari che per loro stessa natura prevedono un nesso di causalità tra la sottoscrizione del contratto di locazione e l’esigenza transitoria del lavoratore o dello studente universitario fuori sede di abitare l’immobile per il lasso di tempo individuato necessario.
Infatti, l’impossibilità sopravvenuta (a titolo esemplificativo: la chiusura del luogo di studio limitatamente ai contratti per studenti universitari, ovvero del luogo di lavoro per i contratti di natura transitoria) è stata cagionata da un evento eccezionale ed imprevedibile (l’emergenza epidemiologica), estraneo sia alla sfera dei locatori che dei conduttori di unità immobiliari ed idoneo a provocare l’insormontabile impedimento allo svolgimento della prestazione (godimento dell’immobile per il motivo della locazione).
Non vi è dubbio alcuno che l’emergenza epidemiologica rientrava e rientra, appunto, tra le cause di forza maggiore idonee a giustificare la mera riduzione del canone di locazione e, non la sospensione, in considerazione della circostanza di fatto secondo cui l’immobile rimane comunque nella detenzione del conduttore, quand’anche adempie soltanto alla funzione di potenziale uso ed il “coronavirus” (che costituisce sicuramente un motivo straordinario ed imprevedibile) rappresenta la causa legittima di omesso utilizzo per l’uso cui normalmente era destinato.
Le restrizioni previste nei vari D.P.C.M. che si sono susseguiti nelle scorse settimane, hanno avuto come estrema conseguenza – da un punto di vista meramente giuridico – non più la “parziale” quanto bensì la “totale” impossibilità sopravvenuta di adempiere in modo corretto e tempestivo alle obbligazioni derivanti dai contratti di locazione per motivi evidentemente non riconducibili alla volontà della parte (conduttrice).
A norma dell’art. 1256 c.c. tale impossibilità può rivestire il carattere della temporaneità oppure può essere assoluta.
A ben vedere, nel caso di specie, trattasi di una impossibilità oggettiva dovuta all’emanazione di disposizioni di legge. L’estrema conseguenza di questo ragionamento ha portato una delle parti – più spesso il conduttore – a richiedere lo scioglimento del vincolo contrattuale evidentemente divenuto insostenibile e certamente non più utile, mediante il recesso dal contratto “per gravi motivi”, recesso che è previsto sia per le locazioni ad uso diverso che per quelle ad uso abitativo.
Nello specifico, per le locazioni commerciali è l’art. 27 della Legge n. 392/1978 a stabilire che: “Indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata” mentre per le locazioni ad uso abitativo è l’art. 3, ultimo comma, della Legge n. 431/1998 a prevedere che: “Il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto, dando comunicazione al locatore con preavviso di sei mesi”.
È opportuno leggere l’art. 1256 c.c. sopra richiamato in combinato disposto con l’art. 1467 c.c. il quale disciplina il caso della risoluzione contrattuale per eccesiva onerosità sopravvenuta. Tale articolo stabilisce che: “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.
Nello specifico, l’onerosità deve essere sopravvenuta ma non deve intervenire quando il contraente è già in mora. L’emergenza epidemiologica ha reso, in molti casi, il puntuale adempimento contrattuale non già impossibile quanto piuttosto più oneroso alterando le prestazioni delle parti o, quantomeno, della parte conduttrice che, a questo punto, si vedeva costretta a chiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità.
Tuttavia, il locatore, per evitare la fine del rapporto locatizio, può proporre nuove condizioni contrattuali più vantaggiose tali da ristabilire – almeno per un lasso di tempo ben definito – l’equilibrio tra le parti.
Nel caso della locazione abitativa, una soluzione certamente valida per entrambe le parti contrattuali potrebbe essere quella di risolvere il “vecchio” contratto ordinario – per intenderci il classico 4+4 con opzione di cedolare secca – e stipulare un nuovo contratto di locazione agevolata. Infatti, procedendo in questa maniera, la parte conduttrice può avvalersi di una riduzione del canone di locazione determinato poi sulla scorta dell’accordo territoriale vigente in quel Comune ove è ubicato l’immobile, mentre il locatore, se da un lato andrà a percepire un canone inferiore, con tale forma contrattuale avrà però anche una minore pressione fiscale in considerazione del fatto che l’aliquota sarà rideterminata in misura del 10% – naturalmente anche in tal caso abbinando la cedolare secca – nonché avrà diritto ad una riduzione I.M.U. del 25%.
La normativa di riferimento è l’art. 2 comma 3 della Legge n. 431/98: “In alternativa a quanto previsto dal comma 1, le parti possono stipulare contratti di locazione, definendo il valore del canone, la durata del contratto, anche in relazione a quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, nel rispetto comunque di quanto previsto dal comma 5 del presente articolo, ed altre condizioni contrattuali sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative, che provvedono alla definizione di contratti-tipo. Al fine di promuovere i predetti accordi, i comuni, anche in forma associata, provvedono a convocare le predette organizzazioni entro sessanta giorni dalla emanazione del decreto di cui al comma 2 dell’articolo 4. I medesimi accordi sono depositati, a cura delle organizzazioni firmatarie, presso ogni comune dell’area territoriale interessata”.
Con il decreto “Rilancio”, invece, entra in scena un nuovo credito d’imposta per le locazioni ad uso diverso. Il beneficio è pari al 60% del canone di locazione mensile versato nei precedenti mesi di marzo, aprile e maggio. L’agevolazione, invece, scende al 30% in caso di affitto d’azienda. Potranno fruire di tale bonus i soggetti esercenti attività d’impresa, arte e professione, con ricavi o compensi non superiori ai cinque milioni di euro e che hanno subìto un calo di fatturato di almeno il 50% nel mese di riferimento rispetto allo stesso mese del periodo d’imposta precedente. Considerate le difficoltà del momento, alle strutture alberghiere, il credito d’imposta spetta indipendentemente dal volume di affari registrato.