[A cura di avv. Andrea Marostica – www.avvocatoandreamarostica.it] L’omissione è la condotta penalmente rilevante più ricorrente per l’amministratore di condominio. Egli, infatti, a causa della natura stessa del suo ufficio, è per lo più chiamato a rispondere di ciò che non ha fatto pur avendone l’obbligo.
Mentre la responsabilità commissiva si fonda sulla violazione di una norma-divieto (al soggetto è vietato tenere un certo comportamento ed il rimprovero che gli viene mosso è di avere tenuto quel comportamento vietato), la responsabilità omissiva si fonda sulla violazione di una norma-comando (al soggetto è fatto obbligo di tenere un certo comportamento ed il rimprovero che gli viene mosso è di non averlo tenuto, cioè di averlo omesso).
I reati omissivi si distinguono in omissivi propri ed omissivi impropri (o commissivi mediante omissione):
Mentre i reati omissivi propri sono previsti da apposite norme, collocate nella parte speciale del codice penale, i reati omissivi impropri sono punibili sulla base della combinazione dell’art. 40, co. 2, c.p. e delle singole fattispecie incriminatrici, che sono costruite sul modello del reato commissivo. In altre parole: l’art. 40, co. 2, c.p. converte i reati commissivi (non tutti, solo quelli suscettibili di essere convertiti) nelle rispettive versioni omissive. Per questa ragione l’art. citato può essere definito moltiplicatore di tipicità, in quanto rende penalmente rilevanti condotte non espressamente sanzionate.
L’art. 40, co. 2, c.p. recita: “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Vale a dire: esiste un soggetto che ha l’obbligo giuridico di impedire un evento e, poiché non lo impedisce, viene punito. La situazione del soggetto gravato da un obbligo giuridico di impedire un evento si chiama posizione di garanzia.
La giurisprudenza ritiene che l’obbligo giuridico di impedire l’evento possa nascere da qualunque ramo del diritto, e quindi anche dal diritto privato, e specificamente da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata, come è nel rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente tra il condominio e l’amministratore (1). Dunque la fonte della posizione di garanzia dell’amministratore di condominio nasce dal contratto concluso tra lui e la compagine condominiale.
Per quanto riguarda, in particolare, i reati di omicidio colposo e lesioni colpose verificatisi per cause insite nelle parti comuni dell’edificio, è opportuno sottolineare che la giurisprudenza di legittimità (2) considera l’amministratore di condominio custode delle parti comuni: “In tema di condominio, la figura dell’amministratore nell’ordinamento non si esaurisce nell’aspetto contrattuale delle prerogative dell’ufficio. A tale figura il codice civile e le leggi speciali imputano doveri ed obblighi finalizzati ad impedire che il modo d’essere dei beni condominiali provochi danno ai terzi. In relazione a tali beni l’amministratore, in quanto ha poteri e doveri di controllo e poteri di influire sul loro modo d’essere, si trova nella posizione di custode, pertanto deve curare che i beni comuni non arrechino danni agli stessi condòmini od a terzi”.
Se è custode delle parti comuni, deve impedire che ne possano derivare eventi lesivi ai terzi (morte, lesioni personali); se omette di impedire ciò, può esserne chiamato a rispondere. Si precisa che è la stessa legge a prevedere in capo all’amministratore il potere di agire per evitare situazioni pericolose e di rischio:
In senso contrario si è osservato (3) che si tratta di un’impostazione che va incontro a due obiezioni:
La Corte di Cassazione si è recentemente espressa (4) in merito ad una interessante fattispecie nella quale la responsabilità penale emergeva sia in capo ad un condomino sia in capo all’amministratore di condominio.
La proprietaria di una unità immobiliare situata in un edificio in condominio veniva condannata in primo grado per i reati di omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina (art. 677 c.p.) e di lesioni personali colpose (art. 590 c.c.) perché aveva omesso di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo di crollo di calcinacci dal balcone di sua proprietà, calcinacci che effettivamente si distaccavano e colpivano alla testa un passante.
La condanna veniva soltanto parzialmente riformata in secondo grado. La Corte d’appello affermava infatti che la proprietaria era titolare di una posizione di garanzia in virtù del rapporto di particolare prossimità con il bene, la cui tutela veniva ad esserle affidata attraverso l’imposizione dell’obbligo di agire e predisporre i lavori necessari per la rimozione di pericolo.
La condomina, svolgendo la propria difesa, affermava che fosse onere dell’amministratore di condominio, pur nominato soltanto oralmente, provvedere alla messa in sicurezza dello stabile, con conseguente esonero di responsabilità di lei. Ma la Corte asseriva che: la condomina era nelle condizioni concrete di rendersi conto dello stato di degrado dell’immobile di sua proprietà, nonostante essa risiedesse in un altro luogo e si recasse presso l’edificio soltanto saltuariamente durante le vacanze; una delega di funzioni enunciata oralmente e priva di forma scritta non può considerarsi efficace e comunque non avrebbe esonerato l’imputata da responsabilità penale per i fatti alla stessa ascritti.
La proprietaria proponeva ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di secondo grado, poiché riteneva, in merito all’efficacia della delega conferita oralmente all’amministratore di condominio, che la Corte d’appello si fosse posta in contrasto con gli acclarati principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità (5), la quale ha sempre pacificamente statuito che per la nomina dell’amministratore di condominio si applica l’art. 1392 c.c., secondo cui la procura che conferisce il potere di rappresentanza può anche essere verbale o tacita; la nomina può altresì risultare, indipendentemente da una formale investitura, da un comportamento concludente dei condòmini che abbiano considerato l’amministratore tale a tutti gli effetti. Precisava inoltre la proprietaria che la nomina dell’amministratore, seppure non suffragata da un formale contratto scritto, era circostanza nota a tutti i condòmini e conduttori del medesimo condominio.
I giudici di legittimità hanno ritenuto che, se pure una delega era stata impartita (e ciò non risulta, non potendosi considerare efficace una delega di funzioni enunciata oralmente e priva di forma scritta), essa non sarebbe valsa ad esonerare la proprietaria da responsabilità. La delega, infatti, costituisce nient’altro che una modalità di adempimento degli obblighi penalmente sanzionati, in forza della quale il delegante, assumendo su di sé il rischio dell’inadempimento altrui, assume l’onere di controllare che il delegato adempia puntualmente ai compiti attribuitigli. Ne conseguirebbe che il delegante dovrà essere chiamato a rispondere per il reato proprio, sia quando il conferimento della delega non sia stato adeguato (per dolo o per colpa) all’assolvimento dell’obbligo, sia quando non sia intervenuto, potendolo fare, per garantire l’adempimento da parte del delegato degli obblighi, di cui rimane pur sempre titolare. Nell’uno come nell’altro caso, l’imputata non poteva essere mandata esente da responsabilità, essendo nelle sue possibilità, e quindi dovendo pretendersi – ammesso e non concesso che possa parlarsi di delega efficace – che si attivasse nel modo più confacente per l’adempimento degli obblighi su di lei gravanti.
In proposito, la succitata dottrina ritiene (6) che non sia corretto fare ricorso all’istituto della delega di funzioni, sorto nell’ambito del diritto penale dell’impresa; a prescindere, infatti, dalla validità di tale costruzione sul piano teorico, non sembra che si possa equiparare il condominio alle imprese di determinate dimensioni con riferimento alle quali la stessa è stata elaborata.
NOTE
(1) Cass. pen., 6 settembre 2012, n. 34147. (2) Cass. pen., 16 ottobre 2008, n. 25251. (3) Triola, Il condominio, Milano, 2007, 624. (4) Cass. pen., 20 febbraio 2019, n. 7665. (5) Cass. civ., 4 febbraio 2016, n. 2242. (6) Triola, cit., 624.