[A cura di: avv. Paolo Ribero] Ogni proprietario di unità immobiliare facente parte di uno stabile condominiale è altresì titolare di una quota (proporzionale al valore millesimale del proprio bene) delle parti comuni (si pensi al cortile, androne, tetto, locale portineria, ecc.).
Secondo la tesi tradizionale risalente al diritto romano la cosa appartiene a ciascun condomino per quote astratte, bene di cui nessuno è proprietario esclusivo. Per tale ragione nessun partecipante può disporre in modo esclusivo della cosa comune o di una porzione di questa senza in consenso degli altri. Alienando la propria unità immobiliare aliena contestualmente la quota sulle parti comuni.
In forza di tale principio, ogni condomino può usufruire – a parità di condizione – del cortile comune destinato a parcheggio condominiale mentre occupare permanentemente (salvo accordo tra tutti i partecipanti alla comunità condominiale) un determinato spazio potrebbe considerarsi illegittimo (nel caso di esiguità di dimensione del cortile) in quanto verrebbe impedito agli altri condòmini di farne parimenti uso (art. 1102 c.c.). Sul punto la giurisprudenza ha individuato la violazione dell’art. 1120 c.c. nella delibera che ha riservato ai soli condòmini titolari di una determinata quota millesimale il parcheggio nel cortile comune (Pret. Modugno 29/5/1987).
L’assemblea condominiale può anche deliberare di locare il bene comune (es. locale portineria, facciata per cartellonistica pubblicitaria, tetto per ripetitori telefonici ecc.). In tali fattispecie la Giurisprudenza ritiene sufficiente la maggioranza semplice (purché la locazione non ecceda i nove anni) a determinate condizioni.
La Suprema Corte con sentenza n. 4131/01 (ribadendo il principio espresso in Cass. n. 8528/94, n. 6010/84 e 312/82) ha affermato che “qualora non sia possibile l’uso diretto della cosa comune da parte di tutti i partecipanti alla comunione, proporzionalmente alla quota di ciascuno, ovvero promiscuamente oppure con sistemi di turni temporanei o frazionamenti degli spazi, l’uso indiretto della cosa comune (nella specie mediante locazione, che è atto di ordinaria amministrazione) può essere deliberato dall’assemblea dei condòmini a maggioranza costituendo l’indivisibilità del godimento o l’impossibilità dell’uso diretto il presupposto per l’insorgenza del potere assembleare circa l’uso indiretto”. Principio sostenuto anche dalla sentenza della Cassazione n. 13763/04.
In pratica, la Suprema Corte ritiene possibile locare il bene comune con delibera assunta a maggioranza ogni qualvolta non si ravvisi la possibilità per i condòmini di utilizzare – o in modo promiscuo, turnario, frazionando gli spazi – il bene comune; quindi il presupposto per la validità della delibera non è l’indivisibilità del bene ma l’impossibilità di un uso diretto.
Tale principio però si ritiene sia eccessivamente rigido, considerato che – in astratto – è facile ipotizzare un possibile utilizzo promiscuo o frazionato: si pensi ad esempio alla possibilità di sfruttare il locale comune come deposito o per riunioni oppure dividere lo spazio con pareti o armadietti utilizzabili dai diversi condòmini.
Al riguardo una pronuncia, risalente però al 1994 n. 8528, aveva aggiunto ai requisiti autorizzanti l’uso indiretto della cosa comune (impossibilità di uso promiscuo, turnario o frazionato) l’aggettivo “ragionevole”, permettendo pertanto al Giudice di valutare la scelta adottata dall’assemblea di locare il bene comune anche considerando la logicità e ragionevolezza di tale scelta senza dover ipotizzare astratti usi del bene.
Un altro importante principio che si desume dalla pronuncia della Cassazione è che la locazione del bene comune viene considerato un atto di ordinaria manutenzione. Si esprime infatti in tal modo la Cassazione con la pronuncia n. 4131/01 (richiamando la sentenza 10446/98): “La locazione di cosa comune non integra un’innovazione, ai sensi dell’art. 1120 del codice civile non risolvendosi né in una modifica materiale di un bene comune né in un mutamento della sua destinazione economica (l’utilizzazione indiretta di un immobile non si differenzia da quella diretta), l’unica alternativa che si pone è quella del suo inserimento tra gli atti di amministrazione ordinaria, per i quali la ratifica richiede una deliberazione adottata a maggioranza semplice, ovvero tra quelli di amministrazione straordinaria per i quali, anche in seconda convocazione, è necessaria la maggioranza prescritta dall’art. 1136, secondo comma c.c…… Ad avviso di questa Corte la conclusione di un contratto di locazione di un appartamento condominiale è un atto di amministrazione ordinaria essendo possibile conseguire la finalità del “miglior godimento delle cose comuni” (art.1106 c.c.) anche con l’accrescimento dell’utilità del bene mediante la sua utilizzazione indiretta (locazione, affitto)”.
La pronuncia in commento trae origine dall’impugnazione di una delibera da parte di un condomino che contestava la scelta del condominio di locare il bene comune ad un terzo anziché allo stesso condomino. La Cassazione ha rigettato la pretesa del condomino pretermesso affermando che solo la contrarietà alla legge o al regolamento di condominio può essere causa dell’invalidità della delibera, rientrando nel potere dell’assemblea la scelta del conduttore del locale comune anche se questo è terzo rispetto al condominio.
Bisogna però sottolineare che la locazione a terzi del bene comune, per poter essere approvata a maggioranza, deve essere sempre a titolo oneroso: onerosità che può però anche derivare da un’utilità diversa dal pagamento del canone (la Cassazione, con sentenza 270/1976, ha ritenuto legittima la delibera dell’assemblea di locare ad un condomino il locale ove è situata la caldaia, a fronte della conduzione dell’impianto stesso).
Da ultimo si rileva che rientra nel potere discrezionale dell’assemblea stabilire la modalità di utilizzo degli importi ricevuti a titolo di canone di locazione (solitamente viene istituito un fondo cassa da utilizzare per le spese di ordinaria manutenzione ma è legittima una diversa scelta). Tali importi, pur ricevuti dal condominio locatore, rappresentano entrate per i singoli condòmini che saranno tenuti ad indicarli pro quota nelle rispettive dichiarazioni dei redditi.