[A cura di: Arianna Cornelli, centro studi CONFAPPI-FNA] Nel caso in cui un pedone si procuri delle lesioni a seguito di una caduta su una grata per l’aerazione di un edificio (su cui insiste un sportellino sporgente pericoloso), posizionata su un marciapiede di proprietà privata, ma soggetto ad uso pubblico, a rispondere del danno è l’amministratore comunale. Non in quanto custode del bene, ma poiché tenuto a determinate “regole di condotta”, tra cui anche quelle previste dagli artt. 2 e 14 del Codice della Strada.
Si tratta, infatti, di una responsabilità di natura aquiliana (extracontrattuale) per violazione del principio del “neminem ledere”, per negligenza, imprudenza ed imperizia, secondo le previsioni dell’art. 2043 del Codice Civile (e non da custodia ex art. 2051 del Codice Civile).
Lo ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6141 del 14 marzo 2018. Il Comune – affermano i giudici – che consente alla collettività l’utilizzo, per pubblico transito, di un’area di proprietà privata, si assume l’obbligo di accertare che la manutenzione dell’area e dei relativi manufatti non sia trascurata. Ne consegue che l’inosservanza di tale dovere di sorveglianza, che costituisce un obbligo primario della P.A., per il principio di non recare danni a terzi, integra gli estremi della colpa e determina la responsabilità per il danno cagionato all’utente dell’area in questione.
La colpa civile cui si riferisce l’art. 2043 c.c., consiste nella deviazione da una regola di condotta. La “regola di condotta” è non soltanto la norma giuridica, ma anche qualsiasi doverosa cautela concretamente esigibile dal danneggiante. Stabilire se quest’ultimo abbia o meno violato norme giuridiche o di comune prudenza è accertamento che va compiuto in base ai canoni di diligenza di cui all’art. 1176 c.c., comparando la condotta concretamente tenuta dal responsabile con quella che un soggetto delle medesime qualità e condizioni avrebbe tenuto, nelle stesse circostanze di tempo e luogo.
In tale contesto, non può non aver rilievo il fatto che l’ente proprietario della strada aperta al pubblico transito è obbligato a garantire la sicurezza della circolazione (art. 14 C.d.S.) e ad adottare i provvedimenti necessari ai fini della sicurezza del traffico sulle strade (D.Lgs. 26 feb-braio 1994, n. 143, art. 2). Da queste previsioni – se non discende l’obbligo del Comune di provvedere direttamente alla manutenzione dei fondi privati – deriva, tuttavia, l’obbligo:
L’adempimento di quell’obbligo – considerata anche la finalità cui esso è proposto (cioè, assicurare la sicurezza della circolazione di veicoli e pedoni) – richiede “un comportamento più attivo e attento di quello postulato dai giudici a quibus (secondo cui, un intervento del Comune nei sensi predetti avrebbe potuto considerarsi esigibile solo ove l’insidia fosse stata segnalata da alcuno agli uffici comunali o fosse percepibile ad un “mero esame visivo” dei luoghi) e con esso l’adozione di una diligenza rapportata ai mezzi e alle possibilità di monitoraggio dell’amministrazione comunale, apparendo di contro evidente che la decisione di merito adotta a parametro la stessa diligenza pretendibile dall’utente della strada”.
Così decidendo, la Cassazione ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Lecce, rinviando alla Corte di Appello (diversa Sezione), per decidere il caso in base ai principi enunciati. La Corte di Appello Territoriale, infatti, aveva respinto la domanda di risarcimento ritenendo che nella fattispecie non fosse configurabile una responsabilità da custodia (art. 2051 c.c.), trattandosi di strada privata, ancorché ad uso pubblico, né che fosse configurabile una responsabilità per colpa, a norma dell’art. 2043 c.c., non essendo risultata provata una segnalazione agli uffici comunali del carattere insidioso per i pedoni, dello sportellino esistente sulla grata metallica, né potendo desumersi l’insidia da un mero esame visivo dello stato dei luoghi.