[A cura di: avv. Lorenzo Cottignoli] Nell’ambito delle diverse strategie per il recupero del credito condominiale, dopo la novella normativa introdotta dalla Riforma del 2012, spicca la facoltà, in capo all’amministratore, di sospendere la fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato nei confronti dei condòmini morosi.
Per quanto rientrante tra quelle attività meno gradevoli, incidendo in modo diretto sul diritto all’abitare e conseguentemente sulla qualità e sul tenore di vita del debitore, spesse volte, a fronte di situazioni di morosità cronica, tale eventualità deve seriamente essere presa in considerazione nella prospettiva di un’efficace attività di recupero del credito.
Si tratta di una facoltà riconosciuta all’amministratore ai sensi dell’art. 63 co. 3 disp. att. c.c., il quale, novellato dalla Riforma, prevede che “in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l’amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato”.
Tale facoltà pare cozzare, ad una prima analisi, con quei prinicipi giuridici fondanti il nostro ordinamento che traggono origine dalle riflessioni illuministiche del Beccaria (“Dei delitti e delle pene”, cap. 34) e dell’Amidei (“Sopra la carcere dei debitori”), i quali, nel tardo Settecento, argomentavano – e inducevano il legislatore dell’epoca ad adeguare conseguentemente le proprie norme – sulla ingiustizia del comminare una pena (in quel caso, detentiva) a chi incolpevolmente (rectius, non dolosamente) si trova ad essere debitore di terzi: in forza di tali principi, appare iniquo gravare di una pena chi non ha voluto, ma ha subìto, una condizione debitoria, dovendosi limitare il creditore all’esazione del debito mediante l’aggressione del patrimonio, nei limiti consentiti dalla legge, ma non alla punizione restrittiva della libertà personale del debitore.
Viene facilmente alla mente il parallelismo tra la carcerazione del debitore e la privazione del diritto all’abitare, mediante l’esclusione dello stesso dalla fruizione di quei servizi ad esso correlati ed indispensabili, quali l’acqua, il riscaldamento, talora l’ascensore, in quanto incidenti, quale immediata conseguenza, sul diritto alla vita e alla salute, costituzionalmente garantiti.
Dunque, nel rispetto di quei principi che dall’Illuminismo sono giunti a noi, e che oggi partecipano quali elementi fondanti del nostro sistema giuridico, non deve certamente leggersi tale facoltà, né applicarsi la stessa, in chiave punitiva, bensì con l’intento di arginare le perdite subite per causa della morosità e nella prospettiva di limitare il danno patito dal creditore, qui inteso quale la parte virtuosa della collettività condominiale, il quale non può avere detrimento – e, talora, beffa – dalla fruizione sregolata ed indisciplinata di taluni servizi, peraltro non tutti indispensabili (v. ad es. l’antenna radiotelevisiva, il posto auto a rotazione nel cortile condominiale, etc.).
Per conoscere quale sia l’orientamento giurisprudenziale riferito a detta norma deve interpellarsi la giurisprudenza di merito, dacché risulta scarsa se non inesistente l’attività decisoria della Suprema Corte di Cassazione. Se ne comprende il motivo analizzando la dinamica con la quale l’amministratore dà corso a tale istituto: esso, ben lungi dall’attivarsi di propria iniziativa per procedere, personalmente o tramite tecnici, a sospendere l’erogazione di servizi comuni nei confronti di condòmini morosi, essendo in gioco diritti costituzionalmente garantiti, come sopra anticipato, dovrà preliminarmente rivolgersi all’Autorità giudiziaria, convenendo in giudizio, nelle forme d’urgenza previste ex art. 700 c.p.c., il debitore moroso (o i debitori morosi), nei confronti del quale intende procedere.
Dovrà lamentare, pertanto, la sussistenza della morosità da oltre un semestre, decorrente evidentemente non solo dalla approvazione del bilancio consuntivo e preventivo, ma dalla scadenza della prima rata impagata di riparto, così comprovando il c.d. fumus boni juris, dovrà, in ciò, tener conto dell’eventuale previsione contenuta nel regolamento condominiale, specialmente se contrattuale, ed altresì dovrà argomentare l’urgenza, c.d. periculum in mora, derivante dalla sussistenza di elevati costi a carico del condominio correlati ai servizi dei quali si chiede la sospensione, e dalla impossibilità di attendere i tempi (biblici, per l’italico sistema giudiziario) del giudizio ordinario per poter dare luogo ad una efficace tutela del credito del condominio.
Ne discende che le più rilevanti pronunce in materia sono oggi emesse da Tribunali territoriali, competenti a giudicare sui procedimenti cautelari d’urgenza attivati dagli amministratori che hanno inteso agire ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c..
Alcune pronunce, nell’ambito dell’orientamento favorevole alla sospensione (Ord. Trib. Brescia n. 427 del 13.2.2014 – Ord. Trib. Modena 5 giugno 2015), premettendo che non si ritiene sussitere un rapporto di proporzionalità tra la sospensione e la morosità, rinvengono il diritto del condominio a procedere alla sospensione dei servizi comuni, nella morosità conclamata dai bilanci condominiali approvati, e le ragioni d’urgenza nel disinteresse dei condòmini morosi al procedimento cautelare attivato, essendo alcuni di essi rimasti contumaci, arrivando ad autorizzare la sospensione del servizio solo nei confronti dei condòmini che non si sono costituiti nell’ambito del procedimento stesso.
Un orientamento contrario (v. Ord. Trib. Brescia n. 15600 del 29.9.2014), ritiene, invece, che la fornitura di acqua non sia servizio condominiale, ma fornito dell’Ente erogatore, e che i singoli condòmini virtuosi potrebbero concludere contratti privati e superare così il problema della morosità, mentre, al contrario, l’interruzione dell’erogazione del servizio idrico nei confronti dei morosi comprometterebbe diritti costituzionalmente garantiti alla vita e alla salute, così negando al condominio la facoltà di sospendere tale servizio.
A tale orientamento aderiva anche il Giudice di prima istanza del Tribunale di Bologna (Ord. Trib. Bologna R.G. 9076/2017 del 3.4.2017), salvo poi venire smentito dal Collegio del medesimo Tribunale che, in sede di reclamo, accoglieva le doglianze del condominio ricorrente, affermando come, impedendo la sospensione del servizio idrico “si arriverebbe alla conseguenza per cui o il condominio continua a sostenere i costi dell’unità immobiliare morosa o, viceversa, dovrebbe sopportare a sua volta il distacco delle forniture da parte dell’ente erogatore” col rischio che, per tutelare il diritto alla salute di un condòmino, si possa compromettere quello di tutti gli altri: il Tribunale arriva ad affermare come, perché si consideri – eccezionalmente – di non sospendere il servizio idrico, si dovrà concretamente e compiutamente provare l’effettivo “stato di bisogno” dovuto a “concrete condizioni di indigenza” del proprietario.
In tal senso si veda anche la successiva pronuncia del Tribunale felsineo del 21.9.2018 (RG 7297/2018) che richiama l’orientamento favorevole al distacco ed altresì quella del medesimo Tribunale del 11.4.2019 (RG 1727/2019) che segue il medesimo orientamento, degna di nota, in specie in quanto ritiene ammissibile il ricorso cautelare nonostante l’ammissione del debitore a procedura di liquidazione della crisi da sovraindebitamento (ex l. 3/2012) dalla quale non fa discendere de plano la prova dello stato di indigenza del debitore stesso, che anzi considera non sussistente, sulla scorta di documentazione probatoria prodotta dal condominio.
Di rilievo, in quanto in senso contrario, ma per ragioni procedurali, è certamente la pronuncia del Tribunale di Piacenza del 20.12.2018, la quale ritiene inammissibile il ricorso cautelare poiché carente del requisito della “residualità”, in quanto, “essendo pendente una procedura esecutiva immobiliare nei confronti del condomino moroso, il ricorrente per tutelare le proprie ragioni ha a disposizione gli strumenti tipici previsti dagli artt. 559 comma 2 cpc e 560 comma 2 cpc con due conseguenti effetti: a) la possibilità di chiedere al G.E. la sostituzione immediata del custode del bene pignorato in vece del debitore esecutato; b) la possibilità di chiedere al G.E. la liberazione dell’immobile”. Potendo così “le esigenze del condominio trovare tutela urgente mediante altri rimedi giurisdizionali”, il Tribunale piacentino rigettava il ricorso.
Con riferimento, inoltre, all’impianto di riscaldamento, il Tribunale di Milano (Ordinanza del 21.10.2015), ne negava la possibilità di sospensione in periodo invernale, ritenendo che la sua interruzione compromettesse diritti costituzionalmente garantiti alla vita e alla salute e crei pertanto un danno irreparabile.
La tutela del condominio, dunque, nel caso di sospensione di servizi comuni al condomino moroso, dovrà confrontarsi con l’orientamento prevalente del Tribunale competente a decidere sul procedimento d’urgenza che dovrà essere azionato dall’amministratore per essere autorizzato ad agire.