La pandemia da Covid-19 ha messo in ginocchio molte attività commerciali, liberi professionisti e lavoratori in generale, con la conseguenza che un numero consistente di persone, in attesa dei ristori stanziati dal Governo, si è di colpo ritrovato in difficoltà economiche. Una situazione che si è riversata anche sul condominio, dove il problema della morosità imperversava già nel periodo antecedente al Coronavirus.
Con lo scoppio della pandemia, a differenza di quanto deciso in altri contesti (si pensi agli enti locali che hanno sospeso il pagamento di determinati tributi, ad esempio la Tassa rifiuti) il legislatore non ha previsto alcun “aiuto” per i condòmini a corto di liquidità che non riescono a pagare le quote per l’erogazione dei servizi condivisi e la conservazione e manutenzione delle parti comuni dello stabile.
Una situazione complessa da gestire per l’amministratore di condominio, il soggetto che a norma dell’articolo 1129 del Codice civile, salvo che sia stato espressamente dispensato dall’assemblea, «è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell’articolo 63, primo comma, delle Disposizioni per l’attuazione del presente codice».
Quest’ultima norma, in particolare, prevede che «per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi». Sul punto, è bene precisare che se da un lato l’amministratore può comunicare i dati dei morosi ai creditori, dall’altro non può svelarne l’identità ad altri soggetti, in quanto violerebbe le norme previste dal Codice sulla privacy. Il Garante per la protezione dei dati personali, infatti, ha spiegato a più riprese che in nessun caso l’amministratore può esporre in bacheca i dati riguardanti le posizioni di debito e credito dei singoli condòmini, con le comunicazioni tra le parti che devono avvenire sempre ed esclusivamente in forma privata.
L’articolo 63 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile dispone, altresì, che «i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini». Ciò significa che le azioni esecutive dei fornitori di servizi devono prima concentrarsi sui soggetti inadempienti e, soltanto nel caso in cui tali azioni risultassero infruttuose (come d’altronde avviene nella maggior parte dei casi) potranno rivalersi sui condòmini in regola con i pagamenti.
Dal canto suo l’amministratore, in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre «può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato». Anche su questo punto però a regnare è il caos, con il contenuto del Codice che si scontra con una norma superiore quale l’articolo 32 della Costituzione Italiana, secondo cui «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Si pensi, ad esempio, al condomino moroso che non versa la quota spettate relativa all’erogazione dell’acqua o alla manutenzione dell’impianto ascensore. Codice civile alla mano l’amministratore, sempre a patto che il servizio condiviso preveda un utilizzo separato, è legittimato a interrompere la fruizione di entrambi i servizi che però, secondo la Costituzione, andrebbero certamente a minare il diritto alla salute: non si può togliere l’acqua a nessuno e, nel caso dell’ascensore, come pensare di vietarne l’utilizzo a un condomino anziano o disabile?
Con l’ordinanza del 15 settembre 2017, il Tribunale di Bologna ha deciso che un condominio non può sospendere al condomino moroso servizi “essenziali” e “indispensabili” quali acqua e riscaldamento. In quell’occasione il giudice ha menzionato il dpcm 29 agosto 2016 recante “Disposizioni in materia di contenimento della morosità nel servizio idrico integrato”, secondo cui «l’interruzione della somministrazione di acqua all’utente moroso deve tenere conto di molteplici fattori di varia natura, da quelli alimentari, igienico-sanitari e di tutela della salute e della tipologia di utente a quelli di tutela della risorsa fino alla necessità di copertura dei costi del servizio a garanzia dell’equilibrio economico finanziario della gestione», sottolineando poi che «il quantitativo minimo di acqua vitale necessario al soddisfacimento dei bisogni essenziali alimentari, igienico sanitari e di tutela della salute è stabilito in 50 litri per abitante al giorno» che «nelle utenze in documentate condizioni economiche disagiate deve essere garantito anche in caso di morosità».
Lo strumento a disposizione dell’amministratore per combattere la morosità – si diceva – è il decreto ingiuntivo. In caso di inadempienza di uno o più condòmini, il professionista ha sei mesi di tempo per agire nei confronti dei ritardatari e qualora questi continuino a ignorare i solleciti, senza bisogno dell’autorizzazione dell’assemblea, il professionista ottiene un decreto ingiuntivo “immediatamente esecutivo”. Attraverso questo strumento e sulla base delle prove fornite, il giudice competente (se l’importo delle spese condominiali non pagate è inferiore a 5000 euro il giudice di pace, per importi superiori il tribunale ordinario) può obbligare il moroso a versare quanto dovuto, pena il pignoramento dei suoi beni.
Più facile a dirsi che a farsi. L’iter di cui sopra non è esente delle lungaggini burocratiche tipiche dei tribunali e così, in attesa che le quote mancanti tornino a rinfoltire la casse condominiale, ad accollarsi il debito sonno i condòmini in regola con il pagamento, che contribuiscono ciascuno in proporzione dei rispettivi millesimi di proprietà, ricalcolati con l’esclusione dell’inadempiente.
Ad ogni modo, nella richiesta di ingiunzione devono essere indicati i dati del giudice di pace o del tribunale, l’indirizzo del condominio e gli estremi dell’immobile; i dati dell’amministratore, i dati del rappresentante legale del condominio; i dati del condomino moroso; l’importo delle spese condominiali non versate. L’amministratore è tenuto, inoltre, ad allegare il verbale dell’assemblea condominiale con le delibere di approvazione del bilancio consuntivo e preventivo e di eventuali spese straordinarie; i prospetti di ripartizione dei bilanci e delle spese straordinarie; diffide e lettere di sollecito inviate dall’amministratore al condomino moroso.
Per mettersi al riparo da spiacevoli inconvenienti, il condominio può istituire (ma non vi è alcun obbligo sancito dalla legge) il cosiddetto “fondo cassa morosi”, un salvadanaio comune costituito in assemblea con il voto unanime dei condòmini proprietari. Ogni partecipante versa una quota proporzionale ai millesimi in suo possesso, con il denaro che viene custodito dall’amministratore e utilizzato al momento del bisogno.
Avv. Silvio Rezzonico