[A cura di: prof. avv. Rodolfo Cusano – avv. Amedeo Caracciolo]
La Sezione VI/II della Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza 33039 dello scorso 20 dicembre (ud. 20 settembre 2018), nel rigettare il ricorso proposto da un condominio avverso una sentenza della Corte d’Appello di Genova, ha ribadito il principio alla stregua del quale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di contributi per spese condominiali, “il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla annullabilità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione” ferma restando la rilevabilità, anche d’ufficio, della diversa e più grave forma di invalidità della delibera, ovvero la nullità della stessa.
Fino a qui tutto bene o, se si preferisce, “niente di nuovo sul fronte condominiale”. Occorre, tuttavia, andare oltre e (tentare di) comprendere, anche sulla scorta dei più recenti orientamenti giurisprudenziali, quando una deliberazione dell’assemblea che violi i criteri di riparto delle spese sia annullabile e quando sia radicalmente nulla.
Orbene, fermo restando che tali criteri possono essere derogati da accordo unanime dei condòmini, in quanto la norma in questione non rientra nell’elencazione di quelle previste come inderogabili dal penultimo comma dell’art. 1138 c.c., la giurisprudenza ha pacificamente individuato la distinzione tra violazione in astratto e violazione in concreto dei criteri di riparto delle spese, sanzionando la prima con la nullità della deliberazione e la seconda con la mera annullabilità.
Si ha violazione in astratto dei criteri legali, e conseguente nullità della delibera, quando si deroga agli stessi in assenza di accordo unanime dei partecipanti al condominio mentre, viceversa, ricorre la meno grave ipotesi di annullabilità della delibera quando si effettuano dei riparti che in concreto vadano a violare (rectius a mal applicare) i criteri già stabiliti dalla legge, come nel caso in cui, pur rispettando l’astratto criterio normativo, si deroghi allo stesso, per errore, nel singolo caso concreto.
Tale orientamento può dirsi del tutto consolidato (Cass. civ. II, sent. 6714/2010) e fonda la sua autorevolezza nel ben noto precedente arresto delle Sezioni Unite (Cass. n. 4806/2005) alla stregua del quale occorre partire dal rilievo che le attribuzioni dell’assemblea ex art. 1135 c.c. sono circoscritte alla verificazione e all’applicazione dei criteri stabiliti dalla legge e non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri stessi, se non all’unanimità.
Più difficile è l’applicazione pratica: questione delicatissima se solo si pensa alle conseguenze derivanti dal diverso regime di invalidità della delibera ed ai relativi termini di impugnazione.
In forza di un rapido esame delle varie pronunce della giurisprudenza sul punto, emerge la circostanza che ove la deroga sia contenuta implicitamente nel deliberato, come nel caso di applicazione del criterio della ripartizione con attribuzione esclusiva dei costi a un solo condomino o “per quote uguali”, la conseguenza sarà la nullità della delibera in oggetto.
È, viceversa, annullabile la deliberazione che ad esempio, per errore, escluda uno o più condòmini dalla ripartizione, o anche quella che erroneamente ricomprenda dei costi relativi ad “altre poste” all’interno di un riparto basato su criteri legali oppure la concreta applicazione fondata su un criterio legale corretto ma, tuttavia, effettuata in base ad un errato criterio applicativo.
Nell’ordinanza in commento, la Cassazione, pur riaffermando il già descritto e pacifico principio di diritto, finisce poi per confermare la decisione della Corte d’Appello ligure la quale aveva dichiarato nulla la deliberazione affetta da errore che, a ben vedere, era probabilmente da qualificarsi come errore in concreto (nella specie, il ricorrente lamentava che le somme ripartite non erano da lui dovute in quanto riferibili, in parte, ad un immobile in comproprietà e, per altro verso, ad altra unità immobiliare).
Sembra venire meno, dunque, con tale interpretazione, la dicotomia tra i binomi errore in astratto-nullità ed errore in concreto-annullabilità. L’operazione di sussunzione dell’invalidità della delibera in questione sotto il paradigma della nullità rischia di suscitare, ove fosse confermata da altri arresti in tal senso, conseguenze “a cascata” e di non poco conto.
In primo luogo, “sdoganare” la fattispecie della nullità della delibera assembleare anche per tali tipi di violazione dei criteri di riparto può portare a “riaprire” i termini di impugnativa per una serie infinita di deliberazioni che sino “a ieri” potevano considerarsi valide (ed al più annullabili nel termine di trenta giorni successivi alla stessa, per i condomini presenti, ovvero, per gli assenti, dalla ricezione del verbale). Ciò svilisce la ratio dell’ultima riforma in materia condominiale volta, anche, alla riduzione e/o alla deflazione del contenzioso.
Quanto sopra, inoltre, può rischiare di minare il principio, oramai anche di stampo comunitario, di certezza del diritto e circolazione dei beni. Quid iuris nel caso in cui si debba procedere ad effettuare nuovamente un riparto (magari anche ad anni di distanza dalla delibera poi dichiarata nulla) coinvolgendo soggetti che, nelle more, hanno acquistato immobili da precedenti proprietari che erano partecipanti all’assemblea?
Resta comunque il dato di fatto in forza del quale l’orientamento che ritiene annullabili le delibere viziate da errore “in concreto” nello stato di riparto, è, allo stato, assolutamente prevalente anche in seno alla giurisprudenza di merito. La declaratoria di nullità è comminata solo per le delibere aventi oggetto illecito o impossibile, prive di elementi essenziali, quelle prese non in assemblea o che incidono sulla proprietà esclusiva o comunque quelle riguardanti un oggetto che esorbiti dalle attribuzioni dell’assemblea.
Ad esempio, è sicuramente nulla la clausola del regolamento condominiale contrattuale che esoneri il costruttore dal pagamento degli oneri condominiali relativi agli immobili invenduti (C. App. Roma IV Sez. Civile, 25/07/2018).