[A cura di: prof. avv. Rodolfo Cusano e avv Amedeo Caracciolo]
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CORTE DI CASSAZIONE
II sez. civ.,
sent. n. 7561 del 18 marzo 2019
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L’acquisto di immobili in condominio spesso reca con sé il problema di definire la natura giuridica dell’eventuale diritto al parcheggio in aree comuni.
Il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, confermato dalla sentenza in commento, afferma che occorre indagare, per ciascuna singola fattispecie concreta, se si ha a che fare con un diritto reale di godimento su cosa altrui ovvero, diversamente, se ci si trovi innanzi ad un diritto personale di godimento. Ciò postulerebbe una attenta analisi interpretativa del titolo d’acquisto per comprendere se la volontà delle parti contraenti era diretta nel senso della costituzione di una servitù o un diritto meramente obbligatorio.
La II sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, aderisce, dunque, a tale filone interpretativo che presuppone un punto di partenza di non poco conto: la ritenuta ammissibilità, nel nostro ordinamento, della cd. “servitù di parcheggio”.
Come è noto, la servitù è un diritto reale su cosa altrui consistente in un “peso” imposto su di un fondo (cd. servente) per l’utilità di un altro fondo (dominante) appartenente a diverso proprietario.
Per casi come quello in esame, dunque, sarebbero le aree comuni condominiali ad essere gravate dal “peso” consistente nel diritto (reale) del proprietario di una unità immobiliare di parcheggiarvi all’interno.
Sarebbe, pertanto, una mera questione di interpretazione della volontà contrattuale delle parti stabilire se le stesse abbiano inteso costituire una servitù con riferimento ai fondi (nel caso del condominio, solitamente, all’unità immobiliare ed alle aree comuni destinate a parcheggio) o se da quella singola convenzione tra privati nasca un diritto meramente obbligatorio riferibile, viceversa, non più agli immobili, ma ai soli soggetti contraenti.
Tale orientamento si pone in contrasto con altro indirizzo interpretativo diametralmente opposto, che la stessa sentenza in commento definisce “assolutamente prevalente” alla stregua del quale il diritto di parcheggiare le auto su uno spazio di proprietà altrui (nel nostro caso, del condominio) sottende sempre e solo una utilità di carattere strettamente personale, non essendo configurabile una servitù di parcheggio (Cass. 23708/2014, 5769/2013), poiché manca il requisito della realità ovvero dell’inerenza dell’utilità al fondo dominante.
Ancora, sempre nel solco di tale diverso orientamento, si è affermato che il contratto volto alla costituzione di una servitù di parcheggio sarebbe nullo per impossibilità dell’oggetto stante il divieto di dar vita a servitù meramente personali. Al più, una tale convenzione porterebbe alla configurazione di un differente schema contrattuale tipico (locazione, comodato).
Ora, con il nuovo filone interpretativo, cui aderisce la sentenza in commento, si statuisce che la servitù di parcheggio è ammissibile e che la facoltà di parcheggiare è attribuita proprio come vantaggio a favore del fondo (non del proprietario) per una sua migliore utilizzabilità, a cui corrisponde una limitazione a carico di altro e diverso fondo.
Il vero problema che deriva dalla ritenuta ammissibilità nel nostro ordinamento della servitù – atipica – di parcheggio risiede nella circostanza che ne potrebbe derivare, quale diretta conseguenza pratica, la costituzione della stessa, oltre che per contratto, anche per usucapione (art. 1031 c.c.).
È necessario premettere che, anche per la servitù di parcheggio, varrebbero gli stessi principi generali previsti per l’acquisto per usucapione delle servitù prediali. L’appena richiamato art. 1031 c.c., deve, infatti, essere letto in combinato disposto con ulteriore norma, art. 1061 c.c., il cui contenuto si riporta testualmente.
“Art. 1061 – Servitù non apparenti
Le servitù non apparenti non possono acquistarsi per usucapione o per destinazione di padre di famiglia.
Non apparenti sono le servitù quando non si hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio.”.
Si tratta dunque di stabilire quali siano le opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù di parcheggio. Tale operazione non risulta affatto semplice e non può prescindere da una valutazione caso per caso.
Se si guarda alla giurisprudenza sul punto, un’opera (da intendere non necessariamente come artificiale) deve consistere in segni materiali obiettivamente denotanti l’esistenza della servitù e deve risultare inequivoca, dato lo stato dei luoghi e la funzionalità per il relativo esercizio. Si pensi ad una strada, ad un balcone, a delle condutture o a un ponte (Cass. 10861/2007).
In riferimento alla diversa fattispecie della servitù di passaggio, ad esempio, essa è considerata apparente (e, dunque, usucapibile) solo laddove vi sia un tracciato specificamente a ciò destinato.
Ancora, proprio con riferimento alla servitù di parcheggio, si è affermato che l’apparenza deve dipendere dalle oggettive caratteristiche dell’opera e non dal modo in cui questa è utilizzata (Cass. 15334/2009).
Con esclusivo riferimento al caso in commento la Corte, nel cassare la sentenza impugnata, delinea anche le fasi del procedimento interpretativo volto a comprendere se la volontà dei contraenti era quella di costituire una servitù o, viceversa, un diverso diritto personale di godimento.
La qualificazione giuridica, si legge in sentenza, consta di due momenti:
Per concludere, la Cassazione, non ritiene necessario, probabilmente perché non chiamata a decidere su quell’esclusivo aspetto, rimettere alle Sezioni Unite la questione – preliminare – della ammissibilità della servitù di parcheggio, limitandosi a risolvere il caso concreto e contribuendo, allo stesso tempo, ad acuire il contrasto giurisprudenziale sul punto.