[A cura di: avv. Lorenzo Cottignoli – presidente Laic, Lega amministratori immobiliari condominiali] Salvi rari casi, difficilmente si potrà affermare di riconoscere alla attività di recupero crediti verso i condòmini morosi la palma della branca più soddisfacente tra quelle tutte che caratterizzano la professione dell’amministratore: sarà, certamente, di maggior gratificazione il risultato del completamento di lavori straordinari per il rifacimento di parti comuni, o il chiudere un bilancio particolarmente ostico, o ancora il condurre in porto una assemblea irta di argomenti spinosi, piuttosto che doversi attivare per diffidare, ingiungere, precettare e pignorare, peraltro contro la clientela, il patrimonio altrui, così assumendosi una responsabilità non proprio gradevole e che forse appartiene più naturalmente alla professione forense.
Invero, la previsione di cui all’art. 1129 c. 12 n. 6), che definisce “grave irregolarità” l’avere omesso “di curare diligentemente l’azione [giudiziaria] e la conseguente esecuzione coattiva” introduce una correlazione tra l’attività del legale e quella dell’amministratore immobiliare, imponendo ad entrambi un dialogo e un comune ragionamento, che non possono evidentemente nascere nella sola fase dell’azione in giudizio, la cui introduzione, ben lungi dal considerarsi un doveroso automatismo, dovrà essere preceduta da una comune visione strategica e da una tattica condivisa per la gestione della morosità e la sua risoluzione.
In particolare, deve essere chiaro ad entrambi i professionisti come un percorso che conduca a dare luogo all’azione giudiziaria dovrà essere primariamente condiviso mediante una valutazione che consideri ogni aspetto dalla vicenda, prima di decidere quale strada intraprendere:
la mera azione monitoria, senza una strategia di recupero del credito, rischierà di rivelarsi una vuota iniziativa, fonte di ulteriori spese, invece che di ristoro di quelle pregresse.
La collaborazione tra gli studi dell’amministratore e dell’avvocato dovrà per prima cosa portare a valutare il contesto generale nel quale l’azione di recupero andrà a radicarsi. Un caso lampante (e non sempre raro, purtroppo), è costituito dalla presenza di più esecuzioni immobiliari nello stesso immobile, il che – salva la valutazione del singolo caso concreto – potrà eventualmente condurre a sconsigliare di intraprendere un’ulteriore azione esecutiva immobiliare, al fine di evitare il detrimento dell’efficacia delle altre e conseguentemente di quella ultima, e consiglierà di limitarsi, per esempio, una volta ottenuto il decreto ingiuntivo, ad iscrivere ipoteca a garanzia del credito, valutando altre strade di esecuzione coattiva, o attendendo l’estinguersi dei pignoramenti pregressi.
Diversamente, una volta chiarita la possibilità di procedere, sarà necessaria una prima fase di raccolta di informazioni, partendo dalla scheda anagrafica condominiale, che l’amministratore trasmetterà al legale, e che questi utilizzerà come base di lavoro per le verifiche anagrafiche e patrimoniali presso gli Uffici competenti, sia prima dell’eventuale ottenimento del titolo (Catasto, Conservatoria, PRA, Camera di Commercio, etc.), sia successivamente (Centro per l’Impiego, Anagrafe Tributaria, etc.), sia eventualmente incariando una Agenzia investigativa per completare il proprio dossier.
Non peregrina, ma anzi foriera di interessanti spunti, potrebbe essere l’ipotesi dell’attivazione, in luogo o prima di una eventuale azione monitoria, di una procedura di mediazione, particolarmente in quei casi nei quali, non l’incapienza del condomino-debitore, ma asserite motivazioni in fatto o in diritto, lo conducono a contrastare le richieste di pagamento, o lo indurrebbero, pertanto, prevedibilmente, ad una opposizione al decreto ingiuntivo che si notificasse nei suoi confronti. Dunque, con la garanzia degli effetti interruttivi dei termini decadenziali e prescrizionali, e con la prospettiva di prevenire un giudizio certo, la procedura di mediazione (peraltro obbligatoria, in caso di opposizione a d.i.), potrebbe costituire un’utile medicina preventiva, o alternativa, all’azione in giudizio, vieppiù in quanto non solo essa potrebbe essere estesa a tutti i condòmini (particolarmente in caso di condominio minimo o piccolo) ma anche allargata, nell’oggetto, a tematiche che esulano dall’immediata pretesa, per toccare questioni litigiose ulteriori – più o meno palesi – che possono minacciare la civile convivenza della comunità condominiale. Per certo, la procedura di mediazione assolverebbe alla sua funzione più essenziale, ovvero la tutela di quell’interesse “alla relazione” (sociale, commerciale, istituzionale) per la quale è stata pensata ed attuata e che, nel contesto condominiale, costituisce un bene la cui tutela risulta di assoluta delicatezza ed importanza. È verosimile ritenere, pertanto, che un auspicato successo della mediazione non solo risolverebbe la lite sulla morosità, ma probabilmente preverrebbe o definirebbe anche quelle latenti ragioni di contrasto, interno al condominio, che vi hanno dato luogo.
Stando alla più recente giurisprudenza di legittimità, appare chiaro come l’amministratore non sia tenuto, quasi meccanicamente, ad introdurre il procedimento di ingiunzione, in quanto il testo dell’art. 63 comma 3 disp. att. c.c. recita testualmente che esso “può ottenere” (e dunque non usa una formula imperativa) un provvedimento di ingiunzione contro il condomino moroso. La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24920 del 20.10.2017, decide, in particolare, un caso nel quale l’amministratore era stato riconosciuto responsabile, in primo grado, per non aver recuperato il credito condominiale, così pagando tardivamente la polizza per la garanzia del fabbricato, e dando luogo ad una mancata copertura assicurativa che aveva impedito il risarcimento del danno derivante dall’incendio del tetto, avvenuto nel frattempo. Afferma la Suprema Corte come tale responsabilità non fosse configurabile, in quanto l’amministratore aveva correttamente e tempestivamente, mediante lettere di diffida, messo in mora i debitori, e non era obbligato, ai sensi della norma di cui sopra, a dare corso a procedimenti monitori.
Rimanendo in tema di strategie alternative al procedimento monitorio, e con riferimento, in particolare alla problematica relativa alla interruzione dei servizi comuni nei confronti del condomino moroso, risulta interessante analizzare altresì la recentissima Ordinanza del 3.4.2018 (R.G. 15093/2017) del Tribunale di Bologna il quale, a fronte di un procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., in sede collegiale di reclamo avverso il provvedimento del giudice unico che in prima istanza rigettava la richiesta del condominio di interrompere il servizio idrico, il riscaldamento e la fruizione dell’antenna televisiva ad un condomino moroso, accoglieva le richieste del condominio argomentando dettagliatamente sui punti focali che animano l’attuale contrasto giurisprudenziale sulla questione.
In primo luogo, il Tribunale sviluppa alcune lineari considerazioni in merito alla tutela del diritto alla salute, di cui all’art. 32 Cost. rilevando come contro di esso non contrasti il disposto di cui all’art. 63 co. 3 disp. att. c.c., e così tenendo in considerazione sia il diritto del condomino moroso, sia quello dei condòmini restanti. Osserva il Tribunale, in particolare, come “in nome del diritto alla salute di colui che resta inadempiente, finirebbe per esser leso il medesimo diritto di coloro che, viceversa, adempiono diligentemente le obbligazioni proprie e, altresì, altrui, i quali – in ragione di tale obbligo di solidarietà coattiva e del maggior impegno finanziario che esso comporta – potrebbero dover subire a loro volta l’interruzione del servizio somministrato”.
Inoltre, con riferimento alla normativa giuspubblicista di cui al D.P.C.M. 29 agosto 2016, emanato in attuazione del collegato ambientale alla Legge di Stabilità del 2016, che prevede un quantitativo minimo di erogazione di acqua pari a 50lt/die da garantirsi in ogni caso, rileva il Tribunale come “solo riguardo al servizio idrico è dettata una disciplina espressamente posta a tutela dell’utente moroso che versi in condizioni di documentato stato di disagio economico-sociale”, e tuttavia la mancata costituzione del debitore convenuto e la conseguente mancata prova del proprio stato di bisogno, come richiesto dalla normativa, non consentivano di ritenere verificate le condizioni di legge. Nessuna disposizione limitativa, invece, doveva ritenersi prevista per gli altri servizi (riscaldamento, antenna tv, energia elettrica, etc.).
Il Tribunale felsineo, pertanto, ritenendo meritevole di tutela l’interesse del condominio, verificata la sussistenza dei requisiti di legge (morosità ultrasemestrale e fruibilità separata dei servizi comuni), autorizzava il distacco dei servizi idrico, riscaldamento ed antenna televisiva nei confronti del condomino moroso.
Appare opportuno, dunque, nell’accingerci al non facile compito del recupero del credito condominiale, condividere con il professionista forense una strategia adeguata, che sia calibrata sul singolo caso concreto, in ragione delle informazioni in nostro possesso e degli strumenti – giudiziali e stragiudiziali – a nostra disposizione, in forza di una analisi che, laddove adeguatamente approfondita e condivisa, ci condurrà al recupero delle somme dovute, nella massima misura possibile, secondo il percorso più efficace e con la migliore ottimizzazione di tempi e risorse, nell’interesse precipuo del condominio.