[A cura di: dott.ssa Silvia Zanetta] Per appianare più o meno sul nascere un numero considerevole di diatribe basterebbe, giustamente, far riferimento al regolamento condominiale. Anche questo strumento, tuttavia, è caratterizzato da un’ampia e complessa disciplina, che si riassume di seguito nei punti salienti.
In generale si distinguono due categorie di regolamenti:
Per quanto riguarda la seconda ipotesi, ai sensi dell’art. 1138, comma 2 c.c., “ciascun condomino può prendere l’iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente”. Ne consegue che il singolo condomino può convocare l’assemblea al fine di richiedere l’adozione del regolamento condominiale.
Se nel condominio ci sono più di dieci condòmini, l’adozione del regolamento è obbligatorio (cfr. art. 1138, comma 1 c.c.). In caso di inerzia dell’assemblea, ogni condomino può rivolgersi all’autorità giudiziaria, la quale sostituendosi all’assemblea stessa, dovrà redigere un regolamento secondo le esigenze proprie del condominio stesso. Nel redigere giudizialmente il regolamento, l’autorità deve limitarsi alla sola redazione delle c.d. clausole regolamentari e non potrà, pertanto, incidere sui diritti individuali dei singoli condòmini.
Nel caso in cui, nessun condomino si attivi per la formazione anche giudiziale del regolamento, sebbene vi siano più di dieci condomini, non è tuttavia prevista alcuna sanzione per il condomino.
Una volta approvato, il regolamento deve essere allegato al verbale dell’assemblea con cui ne è stata deliberata l’assunzione. Al regolamento condominiale andranno altresì allegate le tabelle millesimali.
Quale quorum è necessario per la delibera volta a costituire il regolamento? Risponde a tale quesito l’art. 1138, comma 3 c.c., secondo il quale “Il regolamento deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell’articolo 1136”. La delibera deve essere approvata dal voto favorevole della maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio.
Parte della dottrina ritiene che, nel caso in cui non siano presenti tutti i condòmini, per costituire il regolamento basterebbe il voto favorevole di 500 millesimi, e non di 500 + 1, perché l’art. 1136 cod. civ. richiede il consenso di tanti condòmini che rappresentino “almeno la metà del valore dell’edificio”.
Quale quorum serve, invece, per modificare e/o integrare il regolamento? Nel caso di modifiche e/o integrazioni del regolamento medesimo è necessaria la stessa maggioranza sopra prevista (voto favorevole della maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio).
Nell’ipotesi in cui la modifica e/o l’integrazione riguardi clausole aventi natura contrattuale, che incidano sui diritti dei condòmini, la delibera deve essere approvata dall’unanimità dei condòmini.
Per chiarire ulteriormente le regole del quorum, giova citare, a titolo esemplificativo, la Cassazione che si è espressa sul punto in numerose sentenze conformi tra loro.
“Le clausole dei regolamenti condominiali predisposti dall’originario proprietario dell’edificio condominiale ed allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condòmini, hanno natura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condòmini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare. Ne consegue che, mentre le clausole di natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall’unanimità dei condòmini e non da una deliberazione assembleare maggioritaria, avendo la modificazione la medesima natura contrattuale, le clausole di natura regolamentare sono modificabili anche da una deliberazione adottata con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma 2, c.c.”. (cfr. Cass. Civ. sentenza n. 943/1999).
In senso conforme, “Le clausole dei regolamenti che limitano i diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o comuni e quelle che attribuiscono ad alcuni di loro maggiori diritti rispetto agli altri hanno natura contrattuale e sono modificabili soltanto con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione, che deve essere manifestato in forma scritta, essendo esse costitutive di oneri reali o di servitù prediali da trascrivere nei registri immobiliari della conservatoria per l’opponibilità ai terzi acquirenti di appartamenti o di altre porzioni immobiliari dell’edificio condominiale; mentre per la variazione di clausole che disciplinano l’uso delle cose comuni è sufficiente la deliberazione assembleare adottata con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma 2, c.c.”. (Cfr. Cass. sentenza n. 5626/2002).
Il regolamento di condominio può essere impugnato dai condòmini dissenzienti o dai condòmini assenti (cfr. art. 1138 c.c.) nel termine di trenta giorni. Tale termine, nel caso di condòmini dissenzienti, decorre dall’approvazione, mentre nel caso di condomino assente, decorre dalla comunicazione della delibera.
Secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, tale termine è soggetto a sospensione feriale (Cfr. Corte Cost. n. 42/1990).
Per maggiore precisione, fermo il termine di impugnazione, è necessario distinguere tra:
Nel caso 1, l’impugnazione avrà per oggetto i vizi del procedimento di approvazione del regolamento e si applicano le regole di cui all’art. 1137 c.c..
Nel caso 2, la normativa di riferimento è quella contenuta nell’art. 1107 cod. civ..
L’art. 1138 cod. civ. indica il contenuto del regolamento, ossia “le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione”.
Limite per l’autonomia dei condòmini per adozione delle norme del regolamento è che non possono “in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137” (co. 4, art. 1138 cod. civ.).
Questi ultimi articoli citati fanno riferimento alle disposizioni imperative del codice civile e come tali inderogabili dalle parti. Se una norma del regolamento viola tale limite, sarà radicalmente nulla.